Suo padre Darío era un banchiere che fondò un'organizzazione dedita a insegnare a giocare a calcio a bambini poveri. Anche suo fratello maggiore Santiago era calciatore. Si formò nella squadra giovanile del Colegio Calasanz e successivamente passò, nel 1989, all'Atlético Nacional con cui vinse vari campionati e riuscì a conquistare la convocazione in Nazionale, di cui fu titolare ai Mondiali di Italia 1990. Selezionato anche per il campionato del mondo 1994, il 22 giugno 1994 realizzò un'autorete contro gli Stati Uniti che permise ai nordamericani di battere i colombiani per 2-1, estromettendoli dal prosieguo del campionato.
Morte
Ritenuto in qualche modo "colpevole" dell'eliminazione della sua Nazionale a causa dell'autogol segnato nel match contro gli statunitensi, Escobar andò incontro alla morte al ritorno in patria: fu ucciso nel parcheggio del nightclub “El Indio” di Medellín con 6 colpi di pistola da un'ex guardia del corpo, Humberto Muñoz Castro, nella notte del 2 luglio 1994 dopo una lite con i fratelli a capo dei Pepes.[1] Movente possibile dell'omicidio furono le grandi perdite subite dal giro di scommesse clandestine a causa di quell'autorete.[2][3]
L'assassino di Escobar fu inizialmente condannato a 43 anni di carcere ma, con la riforma del codice penale del 2001, la pena fu ridotta a 26 anni e nel 2005, con una sentenza giudicata controversa, fu rimesso in libertà dopo 11 anni di carcere.[4][5] Andrés Escobar è stato sepolto nel cimitero di San Pietro, nella sua città natale di Medellín.