Alberto Andreani (Crotone, 1º gennaio 1902[2] – Massa, 3 ottobre 1951[3]) è stato un militare e partigiano italiano, ufficiale di carriera del Regio Esercito, decorato con la Medaglia d'oro al valor militare a vivente nel corso della seconda guerra mondiale.
Biografia
Nato a Crotone il 1º gennaio 1902[2][3] e figlio del generale di corpo d'armata Ghino Andreani[N 1], iniziò la carriera militare nel luglio 1921 come Allievo Ufficiale di complemento. Una volta ricevuta la nomina a sottotenente di fanteria, frequentò la Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, dove conseguì la laurea e, nel settembre 1926, ottenne la promozione a tenente in servizio permanente effettivo (s.p.e.).[3]
Nel gennaio 1928 venne trasferito nel Regio Corpo Truppe Coloniali della Cirenaica[N 2], assegnato al 31º Battaglione eritreo.[1] Nel giugno dello stesso anno venne decorato con la Croce di guerra al valor militare.[1] Tra il novembre 1933 e il giugno 1936 frequentò la Scuola di guerra dell'esercito di Torino prestando poi servizio di Stato maggiore presso il Comando della 5ª Divisione fanteria "Cosseria".
Ottenuta la promozione a capitano nel gennaio 1937, prestò servizio nel 2° e 3º Reggimento fanteria carrista[1] e poi presso il Comando del Corpo d'armata di Genova. Ottenne in seguito il grado di maggiore e partecipò ai combattimenti sul fronte occidentale contro le truppe francesi.[1] Dal febbraio 1941 al giugno 1942 combatté nella campagna nordafricana al comando del VII Battaglione carri M13/40.[1]
Trasferito successivamente al 31º Reggimento carri,[4] nel luglio 1942 fu promosso tenente colonnello, e nel maggio 1943, rientrato in Patria, fu trasferito al Quartier generale del XIX Corpo d'Armata mobilitato.[1]
All'atto dell'armistizio dell'8 settembre 1943, entrò a far parte alla Resistenza italiana in seno ad alcune organizzazioni clandestine[1] facenti parte del CLN di Verona, dove il 1º aprile 1944 gli venne affidato il comando di alcuni battaglioni partigiani.[3]
Nell'ottobre 1944 fu catturato dai militari nazisti insieme al tenente colonnello Giovanni Fincato[1] e sottoposto ad incessanti interrogatori[5] e a torture per farlo parlare.[1] Non cedendo agli interrogatori, nonostante le gravissime lesioni fisiche subite,[N 3] fu deportato nel campo di concentramento di Bolzano, dove poi verrà liberato, in condizioni di salute assai precarie, nell'aprile del 1945.[3] Curato nell'ospedale militare di Verona, riprese servizio nel novembre 1948, quando ricevette la nomina a vice comandante del 132º Reggimento carri della Divisione corazzata "Ariete", assumendone anche il comando per un breve periodo dal 21 settembre al 14 novembre 1949.[1]
Nel giugno 1950 fu promosso al grado di colonnello presso il Comando territoriale di Padova, e nel gennaio 1951 gli venne affidato il comando del distretto militare di Massa Carrara.[1]
Morì a Massa il 3 ottobre 1951[3]. Una via di Mizzole, frazione del comune di Verona e una piazza di Porto Azzurro sono intitolate a suo nome.
Onorificenze
«
Subito dopo l'armistizio, soldato deciso e fedele, intraprendeva la lotta di liberazione molto distinguendosi per esimie doti di animatore e di organizzatore e fornendo, in numerose e difficili circostanze, belle e sicure prove di coraggio. Attivamente ricercato dai tedeschi finiva per cadere, insieme ad un collega, in mani nemiche. Interrogati sulla organizzazione partigiana venivano, a causa del fiero silenzio, sottoposti ad inaudite sevizie che, protrattesi per più giorni, causavano la morte del collega e compagno di martirio che spirava fra le braccia del tenente colonnello Andreani. Per altri sei giorni si protraevano sul vivente le torture senza poterlo indurre a deflettere dal nobile ed esemplare atteggiamento. Ridotto una larva di uomo, pressoché cieco ed ormai mortalmente lesionato, trovava ancora la forza di tenere alta, fra i compagni di prigionia, in un campo di concentramento germanico la fede nell'avvenire della Patria. Verona, ottobre 1943 - aprile 1945.[6]»
«Comandante di mezza compagnia di battaglione eritreo, in aspro combattimento durato oltre otto ore in terreno insidioso e contro forze preponderanti, seppe con esempio e sprezzo del pericolo guidare i suoi ascari travolgendo l'avversario in precipitosa fuga. Bosco di Scenescen (Cirenaica), 3 giugno 1928.»
Note
Annotazioni
- ^ Mutilato durante la prima guerra mondiale.
- ^ Rimase in servizio presso tale Corpo fino al marzo 1931.
- ^ Rimase quasi cieco, affetto da piaghe su tutto il corpo e con la spina dorsale lesionata.
Fonti
- ^ a b c d e f g h i j k l UNUCI n.1/2, gennaio-marzo 2016, p. 12.
- ^ a b Ministero della Guerra, Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del Regio Esercito Italiano e nel personale dell'amministrazione militare, 1930, p. 1085.
- ^ a b c d e f Chiavacci, Colella 1991, p. 31.
- ^ UNUCI n.1/2, gennaio-marzo 2016, p. 13.
- ^ Il tenente colonnello Fincato moriva dopo due giorni ininterrotti di interrogatorio, a causa delle torture subite.
- ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
Bibliografia
- Bruno Benvenuti, Ugo Colonna, Carri armati in servizio tra le due guerre. Vol.1, Roma, Edizioni Bizzarri, 1972.
- (EN) John Joseph Timothy Sweet, Iron Arm: The Mechanization of Mussolini's Army, 1920-1940, Mechanicsburg, PA, Stackpole Books, 2007.
- Valdo Valdi, Nascita, vita e vicende di Porto Azzurro, Torino, Age Editrice, 1986.
Periodici
- Roberto Chiavacci, Fortunato Colella, Le Medaglie d'oro al valor militare conferite agli elbani dal Risorgimento alla Seconda Guerra Mondiale, 1991, pp. 31-33.
- Alberto Andreani, in UNUCI, n. 1/2, Roma, Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia, gennaio-marzo 2016, p. 14.
Voci correlate
Collegamenti esterni