«La città dell'Aquila fu, non è; le case sono unite in mucchi di pietra, li remasti edifici non caduti stanno cadenti. Non so altro che posso dire di più per accreditare una città rovinata.»
La prima grande scossa si verificò il 14 gennaio ed ebbe una magnitudo momento di 6.8[1] con una devastazione pari all'XI grado della scala Mercalli che colpì principalmente Cascia, Leonessa, Montereale e Norcia. Un secondo catastrofico evento si verificò il 2 febbraio, giorno della Candelora, e si stima che abbia avuto una magnitudo momento di 6.7[1] causando devastazioni del X grado della scala Mercalli ed oltre 6 000 vittime;[5]L'Aquila venne praticamente rasa al suolo, con danni gravissimi per ciò che riguarda il suo patrimonio artistico e architettonico.
È noto per essere uno dei più gravi disastri sismici della storia italiana per estensione geografica ed entità delle distribuzioni, nonché la più intensa delle sequenze note agli storici ad aver interessato l'area aquilana dell'Appennino centrale.[7] Nel complesso, l'intera crisi sismica fece registrare 9 671 vittime,[3] di cui 7 694 nell'Abruzzo Ulteriore e 1 977 in Umbria.[8]
Precedenti
La storia dell'Aquila era già stata caratterizzata da terremoti catastrofici, tra cui il maggiore fu il sisma del 1461 (magnitudo 6.4),[9] causato tuttavia da sorgenti sismiche diverse da quelle attivatesi nella sequenza del 1703.[10]
Lo sciame sismico in questione cominciò, con ogni probabilità, all'inizio del 1702[13] con il movimento della faglia del Monte Vettore e con una serie di scosse di lieve intensità.[7]
Il primo evento di rilievo si verificò il 18 ottobre 1702, in un'area al confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, vicino all'abitato di Norcia, ed ebbe una magnitudo momento di 5.1;[1] l'evento venne avvertito in tutto il centro Italia, Roma compresa, come testimoniato dalle numerosissime corrispondenze con cui si riportano anche i danni subiti dalle città prossime all'epicentro.[N 2]
Un'altra scossa con la stessa intensità ci fu il 14 novembre 1702 con epicentro a Spello.[1]
Il terremoto del 14 gennaio 1703
«Circa le due ore della notte, giorno di domenica li 14 gennaio 1703 fù così terribile terremoto, che si credè essere già la vigilia del giorno del giudizio universale, perché con lo strepitio e sgomento dello scotimento della terra ci fù accompagnato un vento grandissimo ed una pioggia tanto grande, che convenne a molti perire sotto le macerie e ruine del terremoto per non restare annegati nell’acqua.»
(Giovannantonio Petroni, Ad perpetuam rei memoriam, conservato nell'archivio parrocchiale di Vallunga[14][15])
Il 14 gennaio 1703 si registrò un violentissimo terremoto con epicentro nei pressi di Accumoli,[2] al margine settentrionale dell'Abruzzo Ulteriore.[16] Il sisma avvenne in serata, probabilmente dopo le 18:00 (tra l'1:00 e le 2:00 dell'ora italica),[2] durò circa 20 secondi e si stima abbia avuto una magnitudo momento di 6.8[1] causando devastazioni del XI grado della scala Mercalli; fu, per intensità, il maggiore tra gli eventi dello sciame sismico. Una violenta replica si registrò poco dopo la scossa principale, alle 19:25 (circa le 3 dell'ora italica).[2]
Secondo gli storici, fu generato non dalla faglia del Monte Vettore bensì dal movimento delle tre faglie appartenenti al sistema di Norcia.[17]
Il sisma devastò una vasta area tra i Monti Sibillini, i Monti Reatini e i Monti dell'Alto Aterno. A Norcia, già danneggiata dal terremoto dell'anno precedente, si registrarono, tra i numerosi danni, la distruzione della cattedrale di Santa Maria Argentea e della Castellina del Vignola e le lesioni gravissime alla basilica di San Benedetto; nel contado norcino, su un totale di 10 767 abitanti, vi furono circa 1 400 morti, di cui 800 in città.[3]Cascia venne completamente rasa al suolo causando la distruzione di pressoché tutti gli edifici compreso il palazzo Apostolico e la residenza del governatore; scomparvero totalmente i castelli di Avendita e Maltignano, e in tutta la zona si registrarono 680 morti su un totale di 5 032 abitanti.[3]
Nella provincia aquilana le vittime furono oltre 1 600. Il sisma devastò Montereale, provocando 230 vittime in città e quasi 600 nelle ville circostanti per un totale di 800 morti su un totale di circa 1 000 abitanti.[18] Anche nel circondario di Leonessa i morti furono 800 e vennero praticamente rase al suolo le ville di Collesecco, Pianezza, Piedelpoggio, Sant'Angelo, San Clemente, Vallimpuni e Viesci; crollarono inoltre il castello di Terzone, il palazzo dei Priori, la chiesa di San Pietro, la chiesa di Santo Spirito e la tribuna della chiesa di San Francesco.[19]
Gravissimi crolli e morti si registrarono anche ad Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona e Cittareale. Una vittima e moltissimi danni vi furono anche a Spoleto e nei borghi vicini.[20] A Rieti si registrarono numerosi edifici lesionati ma nessuna vittima.[19] All'Aquila il terremoto causò gravi lesioni nelle case e crolli nelle chiese (furono distrutte le facciate delle chiese di San Pietro di Sassa e San Quinzano[13]) ma non vi furono morti.[N 3] Il 15 gennaio venne organizzata una processione di penitenza.
Il terremoto del 16 gennaio 1703
Il 16 gennaio, a soli due giorni dall'evento precedente, un nuovo sisma causò danni stimati nell'VIII grado di intensità della scala Mercalli.[15] L'analisi storica e geo-sismologica di questo evento è dibattuta: secondo alcune ipotesi, il terremoto fu causato dalla faglia di Montereale attivatasi due giorni prima per via della scossa principale mentre, secondo altre fonti storiche, il sisma non sarebbe mai avvenuto.[17]
Una forte replica si verificò alle 19:30 circa, le 3:00 dell'ora italica.
Il terremoto del 2 febbraio 1703
«(...) rovinò buona parte della città, e fu veduto in più luoghi aprirsi la terra (...) la terra continuamente esalava puzzolenti vapori, l'acqua nei pozzi cresceva e gorgogliava, gli acquedotti della città rimasero infranti, e per 22 ore la terra si sentì muovere.»
Il 2 febbraio, giorno della festività della purificazione di Maria e del connesso rito della Candelora, alle ore 11:05[1] (le 18:15 dell'ora italica[4]) un nuovo devastante terremoto distrusse quasi completamente L'Aquila, causando gravissimi danni in tutta la sua provincia.
Il sisma, con epicentro nei pressi di Pizzoli[4] — circa 20 km a nord-ovest dell'Aquila — ebbe una magnitudo momento di 6.7[1] ed un'intensità del X grado della scala Mercalli.[1] Fu provocato dalla faglia del Monte Marine,[23][24] localizzata tra Barete, Pizzoli e Arischia, con propagazione nella direttrice sud-est.[7][17] I documenti dell'epoca descrissero la scossa come particolarmente violenta ed ondulatoria, a differenza di quella della prima, definita maggiormente sussultoria.[25] Si tratta del più intenso e devastante, tra gli eventi sismici noti agli storici, ad aver colpito l'area aquilana; l'energia rilasciata fu circa 5 volte maggiore di quella del terremoto del 2009.[7]
Si verificò poco prima di mezzogiorno quando i fedeli erano radunati nelle chiese per le celebrazioni liturgiche. Inoltre, la diocesi dell'Aquila era in quel momento priva di un vescovo poiché la carica di Ignacio de la Cerda, morto nel 1702, era stata affidata temporaneamente ad un vicario; mancò dunque una guida — come fu quella di Amico Agnifili nel terremoto del 1461 — che evitasse l'assembramento di una gran quantità di gente negli edifici ecclesiastici.[13] Il sisma difatti sorprese alcune centinaia di persone (800 secondo le fonti storiche) che si trovavano in quel momento nella chiesa di San Domenico dove si concedeva una comunione generale; le capriate del tetto cedettero seppellendo i presenti[26] e causando un numero stimato di 600 morti.[15]
La scossa causò peraltro la morte del camerlengo cittadino Alessandro Cresi, eletto appena un mese prima, che rimase sepolto nel crollo del palazzo di famiglia.[31] Alla guida della città venne quindi chiamato temporaneamente Alessandro Quinzi, dell'omonima famiglia.
In totale L'Aquila contò tra i 2 500 e i 3 000 morti[30] — cioè circa un terzo della popolazione, stimata in un numero tra le 8 000 e le 10 000 unità[32] — ma il terremoto fece vittime anche nelle città vicine per un bilancio totale di oltre 6 000 vittime,[5] come da dispaccio del monsignor Giovanni Andrea Lorenzani.[33] Secondo la dettagliata relazione di Alfonso Uria De Llanos, legato del viceré del Regno di Napoli, nel territorio del contado aquilano si registrarono 7 694 morti e 1 136 feriti.[30]
Alla scossa principale, per ventidue ore ne seguirono altre durante le quali la terra esalava pessimi odori e l'acqua dei pozzi cresceva e gorgogliava a causa dei gas.[25] Secondo le fonti dell'epoca, nei giorni successivi e fino al 26 febbraio, si registrarono 160 forti repliche.[25] Alcune grandi spaccature nel terreno si aprirono nei pressi di Cittareale — dove gli effetti catastrofici del terremoto furono amplificati dallo scoppiare di un incendio — e Pizzoli; tra Montereale e Ville di Fano, tre corsi d'acqua sotterranei fuoriuscirono dalle montagne e formarono un lago nella pianura sottostante.[25]
Danni e vittime
«La nobile, ricca ed antica città di Aquila, capitale della provincia di Sannio, la quale e per gli magnifici templi e per li sublimi palazzi e per lo numero dei nobili e per la ricchezza era la più illustre fralle altre città del regno Napoletano; tutta è già diroccata ed adeguata al suolo, né altro vi resta che la facciata del tempio di S.Bernardino, e le esterne fortificazioni di Castro, mentre gli altri edifizii sono stati atterrati.»
Pochi giorni dopo la tragedia venne inviato da Napoli il Marchese della Rocca, Marco Garofalo, che venne investito dei poteri di commissario straordinario; il vicario organizzò i soccorsi e tenne sotto controllo l'ordine pubblico, riuscendo anche a far desistere i sopravvissuti dall'idea di abbandonare definitivamente L'Aquila[6]. Vennero emanate due ordinanze, una il 12 febbraio ed una il 18, che obbligavano la cittadinanza al coprifuoco e all'acquisizione di una specifica licenza per l'estrazione dei cadaveri e degli oggetti personali negli edifici danneggiati[13].
Nel novembre del 1703 il Marchese riuscì a far approvare l'esenzione fiscale per i cittadini colpiti per un tempo proporzionale ai danni subiti; per L'Aquila in particolare il pagamento delle tasse venne sospeso per dieci anni, un provvedimento che fu giudicato vitale per far ripartire l'economia e dare slancio all'opera di ricostruzione[32]. Parallelamente venne però istituita una tassa straordinaria per permettere la realizzazione di 92 baracche per gli sfollati nella Piazza del Duomo, in una delle quali trovò posto anche il Consiglio Comunale[6].
Nella diocesi di Rieti, ad un anno dal sisma, si registravano ancora un migliaio di persone sfollate in alloggi di fortuna e molte chiese trasferite in strutture temporanee; le precarie condizioni igieniche degli sfollati favorirono inoltre il diffondersi di epidemie.[19] Conclusa la gestione dell'emergenza, della ricostruzione si occupò soprattutto monsignor Antonino Serafino Camarda, vescovo di Rieti dal 1724 al 1754.[19]
In breve tempo, sul terreno occupato in precedenza da dimore crollate, sorsero i palazzi delle nuove rampanti famiglie aquilane — tra questi, i Bonanni, gli Oliva, i Pica e i Romanelli[37] — mentre molte tra le principali chiese della città vennero pesantemente modificate o riedificate secondo il nuovo gusto settecentesco.
Gli interventi urgenti riguardarono le abitazioni civili e le infrastrutture, come ad esempio l'acquedotto,[13] cosicché per quasi due anni le principali architetture danneggiate rimasero ricoperte di macerie; il primo intervento di ricostruzione del patrimonio architettonico cittadino, il Palazzo degli Agostiniani, venne iniziato solo nel 1705. Due anni più tardi, nel 1707 venne realizzato il progetto di restauro dell'adiacente chiesa di Sant'Agostino ad opera di Giovan Battista Contini, allievo del Bernini, che prevedeva una nuova pianta ellittica e la rotazione del prospetto principale su piazza San Marco; la chiesa venne completata nel 1725, mentre i lavori sul monastero vennero interrotti a più riprese e portati a termine in maniera definitiva solo nel XIX secolo con la realizzazione del Palazzo della Prefettura in stile neoclassico. Anche la chiesa di Santa Caterina Martire venne ricostruita a pianta ellittica e facciata a cuneo stondato, mentre nelle chiese di San Marciano e Santa Maria Paganica si perpetuò la rotazione della pianta con la facciata principale non più rivolta sul lato lungo dell'edificio, ma su quello corto.[37]
Decisamente complessa fu la vicenda legata alla cattedrale dei Santi Massimo e Giorgio la cui ricostruzione, iniziata nel 1708 ad opera di Sebastiano Cipriani, risparmiò solo il perimetro murario su via Roio; i lavori furono molto lunghi e la chiesa venne riaperta, seppur priva di cupola e facciata, solamente nel 1780.[37]
Nel 1712, alla vigilia del termine del periodo di esenzione fiscale, venne istituito un censimento per valutare il pagamento da versare alla Corona. All'Aquila risultarono 2 684 abitanti divisi in 670 famiglie, di cui ben 149 erano forestiere attratte dalle possibilità offerta dalla ricostruzione: di queste le più numerose erano quelle di origine milanese che già da qualche secolo avevano avviato una immigrazione verso l'Abruzzo Ultra e l'aquilano in particolare, mentre le altre provenivano per buona parte dal contado,[32] il che attivò un processo di ruralizzazione cittadina.
Nel ventennio successivo, fino al 1732, arrivarono 160 nuovi fuochi, famiglie povere del contado o ricchi proprietari terrieri interessati ad accrescere la propria posizione sociale, che contribuirono al ripopolamento della città.
La tragedia incise comunque profondamente la comunità, tanto da spingere a modificare gli storici colori della città — il bianco e il rosso — nel nero e nel verde attuali, rispettivamente uno a ricordo del lutto e l'altro in segno di speranza. Venne inoltre introdotto il culto di Sant'Emidio da Ascoli Piceno, considerando il protettore contro i terremoti. Anche le principali festività subiscono il ricordo del terremoto tanto che il carnevale aquilano non antecede mai il 2 febbraio, giorno della Candelora, iniziando ufficialmente il giorno seguente, festa di San Biagio, e può essere quindi considerato il più corto del mondo.[13][41]
^Il terremoto dell'ottobre 1702 è segnalato in due corrispondenze da Roma del 21 ottobre pubblicate rispettivamente dalla Gazzetta di Fuligno (27 ottobre 1702, p.1) e dalla Gazzetta di Bologna (31 ottobre 1702, p.1).
^Il dato dell'assenza di vittime all'Aquila dopo la scossa del 14 gennaio 1703 è riportato nella Gazzetta di Napoli (30 gennaio 1703, p.67).
^Raffaele Colapietra, L'incidenza dei terremoti del 1703 e 1706 nella storia sociale, culturale e artistica del Settecento abruzzese, in Antonio Alfredo Varrasso (a cura di), I terremoti e il culto di Sant'Emidio, Chieti, 1989, pp. 335-354.
^ Clara Verazzo, Le tecniche della tradizione: Architettura e città in Abruzzo citeriore, Roma, Gangemi Editore, 2015, p. 58.
^abcd Maria Rita Bernardi (a cura di), Breve storia dell'Aquila, Pisa, Pacini, 2008.
^ Luigi Vicari, Due architetti romani operanti ad Aquila nei primi anni del sec. XVIII: Sebastiano Cipriani e Giovan Battista Contini, in Bollettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, LVII-LIX, L'Aquila, 1967-1968, p. 207.
^ Marco Volpe, Santa Maria del Suffragio dall'archetipo settecentesco all'attuale progetto di ricostruzione: storia di una drammaturgia aquilana a più voci, in Arcidiocesi dell'Aquila (a cura di), Recuperare e Condividere, L'Aquila, luglio-dicembre 2012, p. 15.
^ab Maria Gabriella Pezone, Il progetto della chiesa di Santa Maria del Suffragio all'Aquila, in Carlo Buratti. Architettura tardo barocca tra Roma e Napoli, Napoli, Alinea, 2008, p. 154.
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