La Tarentilla è una fabula palliata del commediografo e tragediografo latinoGneo Nevio. Si tratta, dunque, di una commedia latina di argomento greco; il titolo è traducibile in italiano come La ragazza di Taranto, e deriva dal nome latino della città, Tarentum. È la meglio conservata tra le commedie di Nevio, ed è l'unica delle trentacinque di cui si ha notizia di cui sia possibile ricostruire, seppure sommariamente, la trama. Fu tratta da una commedia greca di cui non è rimasta alcuna notizia, e ottenne a Roma un grandissimo successo di pubblico.
Contenuto
L'opera si apre con un prologo a carattere polemico, in cui Nevio sottolineava come uno schiavo potesse in Grecia criticare una tragedia o una commedia, mentre a Roma non era ammesso che lo facesse un uomo libero: Nevio intendeva, dunque, sostenere che uno schiavo in Grecia godeva di una libertà maggiore di quella di un cittadino libero romano.
(LA)
«Quae ego in theatro hic meis probavi plausibus ea non audere quemquam regem rumpere: quanto libertatem hanc hic superat servitus.»
(IT)
«Quello che qui in teatro io ho approvato con i miei applausi, non c'è sovrano che possa distruggerlo: quanto qui la condizione di schiavo è superiore a questa vostra libertà.»
(Frammento 62 Traglia; trad. di G. Pontiggia.)
La vicenda vera e propria inizia dopo il prologo: due giovani si recano a Taranto assieme ai loro servi; lì sperperano il patrimonio dei loro padri organizzando banchetti,[1] dedicandosi agli stravizi[2] e frequentando una ragazza di facili costumi, che viene così descritta:
(LA)
«Quasi pila in choro ludens datatim dat se[se] et communem facit. Alii adnutat, alii adnictat, alium amat, alium tenet. Alibi manus est occupata, alii pervellit pedem; anulum dat alii [ex]spectandum, a labris alium invocat, cum alio cantat, attamen alii <suo> dat digito litteras.»
(IT)
«Come al gioco della palla, si porge dandosi a vicenda e si concede a tutti: a uno fa cenni, a un altro ammicca; fa l'amore con uno, tiene stretto un altro; ha la mano occupata con uno, un altro la stuzzica con il piede; a uno fa ammirare l'anello, a un altro parla col movimento delle labbra; mentre canta a uno, a un altro traccia lettere col dito.»
(Frammento 63 Traglia; trad. di G. Pontiggia.)
A porre fine alla situazione in cui si trovano i due giovani, giungono i loro padri:[3] i figli, aiutati dai servi, impauriti,[4] tentano di far finta di nulla, ma vengono smascherati. Tuttavia si riconciliano con i genitori, che concedono loro il perdono dopo averli rimproverati.[5]