Rudens (La gomena) è una commedia di Tito Maccio Plauto scritta tra la fine del III e l'inizio del II secolo a.C.[1]. Risulta tra le più innovative dell'epoca in quanto ambientata, non come di consueto, in una città, ma su una spiaggia. Per la stesura Plauto si è ispirato al modello greco, offertogli da Difilo, e a sua volta ha ispirato altri importanti autori successivi, come Shakespeare ne La tempesta, Ariosto nella Cassaria e Ruzzante nella Piovana[2].
Personaggi
Personaggi principali
Plesidippo, adulescens della commedia, che deve conquistare con l'aiuto del suo servo Tracalione l'amore di Palestra, rapita da un lenone.
Tracalione, servus callidus di Plesidippo, che con scaltri atteggiamenti rivela spesso la sua componente ironica.
Palestra, fanciulla, fonte dei desideri amorosi di Plesidippo, nonché figlia di Demone.
Demone, vecchio onesto che ha perso la propria figlia in giovane età. Nella commedia protegge e aiuta le due fanciulle, Palestra e Ampelisca, a fuggire dalla prigionia del lenone; infine, grazie al ritrovamento di un bauletto, si scopre essere il padre della prima.
Labrace, antagonista e ostacolo per l'adulescens; per ingannare Plesidippo, tenta di fuggire con le due fanciulle, ma a causa di un naufragio ritorna sull'isola di Cirene, dove si oppone con tutte le forze al giovane.
Ampelisca, compagna di Palestra, con la quale dopo il naufragio cerca rifugio nel tempio di Venere.
Gripo, pescatore che ritrova in mare un bauletto, in cambio del quale ottiene da Demone, suo padrone, la libertà.
Sceparnione, servo di Demone, dal quale ottiene l'ordine di proteggere Palestra e Ampelisca, ospitate nel tempio di Venere.
Personaggi secondari
Ptolemocrazia, sacerdotessa del tempio di Venere.
Carmide, anziano ospite di Labrace.
Pescatori dell'isola di Cirene.
Schiavi fustigatori, inviati da Demone in difesa di Palestra e Ampelisca.
Prologo
Arturo, stella del Grande Carro, ha il compito di scendere sulla terra e di riferire a Giove i comportamenti degli umani. A Giove in seguito spetterà di segnare su dei registri i buoni e i malvagi, punendo questi ultimi. La stella così incomincia a esporre l'argomento della commedia:
Demone, esiliato da Atene, giunge a Cirene, città nella quale era stata condotta sua figlia, Palestra, rapita in giovane età e venduta a un lenone. Un giovane vede la fanciulla e se ne innamora a tal punto da promettere al lenone un'ingente somma di denaro in cambio della sua libertà. Ma il lenone, non rispettando il patto, fugge con una nave portando con sé la fanciulla e la sua compagna Ampelisca e, in balia di una tempesta, naufraga insieme alle due fanciulle proprio sulla spiaggia da cui era partito.
Trama
Primo Atto
Plesidippo, recatosi al santuario di Venere per incontrarsi con il lenone, si imbatte in Demone e Sceparnione, suo servo. Il giovane tuttavia, domandando loro informazioni riguardo all'arrivo dell'uomo e delle due fanciulle, ottiene una risposta negativa e subito si rende conto dell'inganno. Nel frattempo Sceparnione si accorge della presenza di alcuni uomini naufragati sulla spiaggia, di conseguenza Plesidippo decide di recarsi sul luogo.
Le due ragazze, Palestra e Ampelisca, dopo essersi ricongiunte sulla spiaggia, in seguito al naufragio si recano in cerca di aiuto al santuario, dove incontrano la sacerdotessa Ptolemocrazia che offre loro protezione.
Secondo Atto
Tracalione, alla ricerca del padrone Plesidippo, chiede invano a un gruppo di pescatori lì vicino notizie su di lui, decidendo dunque di recarsi da Ptolemocrazia. Durante il suo tragitto incontra Ampelisca che, inviata alla ricerca di acqua e argilla dalla sacerdotessa per eseguire un sacrificio, lo porta a conoscenza del naufragio e dell'imbroglio teso al suo padrone. Inoltre dal dialogo fra i due emerge che Palestra, ospitata nel santuario, sia sconvolta dalla perdita della cassetta che le avrebbe permesso di riconoscere i suoi genitori.
Nel frattempo, sulla spiaggia, Carmide e Labrace intraprendono un'accesa discussione nel corso della quale il lenone viene rimproverato dal suo ospite per avergli fatto perdere tutti i suoi averi. Lasciando da parte le divergenze, decidono di intraprendere la ricerca delle due fanciulle, venendo così a sapere da Sceparnione che si trovano presso il tempio di Venere.
Terzo Atto
Tracalione, in cerca di aiuto per la sacerdotessa e le sue ospiti, assalite nel tempio dal lenone che le aveva raggiunte, incontra Demone e lo supplica di aiutarle. Prontamente questo si reca sul luogo con alcuni suoi servi e ordina loro di catturare il lenone. Mentre Palestra e Ampelisca fuggono sconvolte dal tempio, Tracalione offre loro protezione e il lenone viene condotto da Demone. Si apre così un dibattito in cui ciascuno rivendica le fanciulle. Durante la controversia Tracalione svela le origini ateniesi di Palestra così che Demone è ancora più motivato a difenderla, essendo quest'ultima sua concittadina e riportandogli alla mente la figlia perduta. Tracalione decide di andare a chiamare Plesidippo, mentre Demone lascia di guardia gli schiavi così che controllino le fanciulle. Plesidippo, arrivato al tempio, decide di condurre Labrace in tribunale e quest'ultimo, spaventato, chiede aiuto al suo ospite Carmide che lo nega. Intanto le ragazze vengono condotte dagli schiavi nella casa di Demone.
Quarto Atto
Gripo, intento nella pesca, scopre di aver raccolto con le proprie reti un bauletto dall'ignoto contenuto. Tuttavia Tracalione intravede la scena e minaccia il pescatore di svelare il furto, salvo ottenere da lui un'ingente ricompensa. Non giungendo a un equo accordo, decidono di lasciare il giudizio a un terzo, scelto da Tracalione ignaro che questo fosse il padrone del suo contendente. Giunti a casa di Demone, tra i tre si scatena un acceso dibattito che si conclude con il riconoscimento degli oggetti presenti nel bauletto da parte di Palestra, che Demone scopre essere sua figlia. Nonostante Gripo rivendichi il contenuto del baule, il padrone saggiamente non gli concede nulla e ordina a Tracalione di andare alla ricerca del giovane Plesidippo per concedergli in sposa la figlia. Il servo consegna il messaggio al padrone e insieme si recano da Demone.
Quinto Atto
Labrace, dopo essere stato condannato dal tribunale per avere estorto un bene, si reca al tempio di Venere in cerca di Ampelisca, dove sente Gripo parlare di un baule. Avvicinatosi al pescatore che pretende una ricompensa per il baule pari a un talento, costringe il lenone a un giuramento. Raggiunto l'accordo, si recano da Demone, che restituisce il baule al legittimo proprietario e Gripo rivendica la somma di denaro che gli spetta. Il lenone rinnega il patto ma Demone interviene in difesa del proprio servo, riuscendo a ottenere il talento, grazie al quale Ampelisca e Gripo ottengono la libertà. La commedia si conclude con una cena a casa di Demone.
Argumentum
L'argumentum è un breve riassunto introduttivo che caratterizza le opere plautine, eccetto Bacchides, Captivi e Vidularia. Esso è posto prima del prologo ed è strutturato in versi secondo il modello dell'acrostico, tramite il quale è possibile leggere il titolo della commedia.
(LA)
«Reti piscator de mari extraxit vidulum, Ubi erant erilis filiae crepundia, Dominum ad lenonem quae subrepta venerat. Ea in clientelam suipte inprudens patris Naufragio eiecta devenit: cognoscitur Suoque amico Plesidippo iungitur[3].»
(IT)
«Un pescatore con la sua rete tirò su dal mare un bauletto in cui erano contenuti i giocattoli della figlia del padrone. Questa era stata rapita ed era andata a finire in mano a un lenone ma, sbalzata fuori dalla nave in seguito a un naufragio, fu gettata a terra e capitò senza saperlo proprio sotto la protezione di suo padre. Viene riconosciuta e può sposare il suo amico Plesidippo[3].»
Ambientazione
La commedia è ambientata nella città di Cirene, e in particolare sulla spiaggia , presso il tempio della sacerdotessa di Venere e nella casa di Demone. Ai tempi dell'autore Cirene era una colonia greca che si affacciava sul Mar Mediterraneo, attualmente il suo centro si trova nella Libia orientale, presso la città di Shahhat; è inoltre un bene protetto dall'UNESCO.
Espedienti comici
Nella commedia troviamo varie componenti che generano comicità.
Il servus callidus innanzitutto, con i suoi atteggiamenti scaltri e sfacciati, molto spesso prevale sulla figura del padrone, ribaltando così gli usuali rapporti sociali.
(LA)
«Sceparnio: "Et impudicum et impudentem hominem addecet molestum ultro advenire ad alienam domum, cui debeatur nihil"
[4]
.»
(IT)
«Sceparnione: Deve essere un uomo spudorato e sfacciato colui che si presenta senza essere invitato a dar noia in casa altrui, quando non gli si deve nulla[3].»
Si incontrano inoltre espliciti riferimenti sessuali, tipico elemento di una comicità di basso livello.
(LA)
«Ampelisca: Non ego sum pollucta pago. potin ut me abstineas manum? Sceparnio: Non licet saltem sic placide bellam belle tangere? Ampelisca: Otium ubi erit, tum tibi operam ludo et deliciae dabo; nunc quam ob rem huc sum missa, amabo, vel tu mi aias vel neges. Sceparnio: Quid nunc vis? Ampelisca: Sapienti ornatus quid velim indicium facit. Sceparnio: Meus quoque hic sapienti ornatus quid velim indicium facit[5].»
(IT)
«Ampelisca: Non sono mica qui alla mercé di tutti! Sei capace di tenere le mani a posto? Sceparnione: Perché non si può darti una toccatina, bellezza? Ampelisca: Quando avremo tempo ti darò il modo di divertirti e di godertela. Per ora limitati a darmi o rifiutarmi quello per cui sono stata mandata qui. Sceparnione: Dimmi che cos'è. Ampelisca: Per una persona intelligente questo arnese spiega la mia richiesta. Sceparnione: Anche il mio arnese spiega cosa voglio a una persona intelligente![3]»
Si trovano anche giochi di parole come per esempio anafore.
(LA)
«Daemones: Dicito daturum meam illi filiam uxorem Trachalio: Licet. Daemones: Et patrem eius me novisse et mi esse cognatum. Trachalio: Licet. Daemones: Sed propera. Trachalio: Licet. Daemones: Iam hic fac sit, cena ut curetur. Trachalio: Licet. Daemones: Omnia licet? Trachalio: Licet. Sed scin quid est quod te volo? Quod promisisti ut memineris, hodie ut liber sim. Daemones: Licet. Trachalio: Fac ut exores Plesidippum, ut me manu emittat. Daemones: Licet. Trachalio: Et tua filiá facito oret: facile exorabit. Daemones: Licet. Trachalio: Atque ut mi Ampelisca nubat, ubi ego sim liber. Daemones: Licet. Trachalio: Atque ut gratum mi beneficium factis experiar. Daemones: Licet. Trachalio: Omnia licet? Daemones: Licet: tibi rursum refero gratiam. Sed propera ire in urbem actutum et recipe te huc rursum. Trachalio: Licet. Iam hic ero. Tu interibi adorna ceterum quod opust. Daemones: Licet. Hercules istum infelicet cum sua licentia! Ita meas replevit auris quidquid memorabam "licet" [6]»
(IT)
«Demone: Annunciagli che gli darò mia figlia in sposa. Tracalione: Bene. Demone: Digli che conosco suo padre e sono a lui legato da parentela. Tracalione: Bene Demone: Ma sbrigati! Tracalione: Bene. Demone: Fallo venire qui subito perché si possa pensare alla cena. Tracalione: Bene. Demone: Ma tu rispondi sempre "bene"? Tracalione: Si. Ma sai cosa voglio da te? Che ti ricordi quello che hai promesso, cioè che oggi io sia reso libero. Demone: Bene. Tracalione: Prega Plesidippo di impormi la mano per liberarmi. Demone: Bene. Tracalione: E dì a tua figlia che si unisca alla preghiera: lo persuaderà facilmente. Demone: Bene. Tracalione: Chiedi anche in sposa Ampelisca per me, quando sarò libero. Demone: Bene. Tracalione: E ch'io mi accorga dei fatti che la mia collaborazione è stata apprezzata. Demone: Bene. Tracalione: Dici sempre "bene"? Demone: Si. Ti rendo la pariglia. Ma adesso corri in città e torna qui subito. Tracalione: Bene. Sarò qui in un baleno. Tu intanto prepara tutto il necessario. Demone: Bene. Che Ercole lo maledica con tutti i suoi "bene"! Mi ha riempito le orecchie, rispondendo "bene" a ogni cosa che dicevo![3]»
Si riscontrano, infine, battute ironiche riguardanti o l'aspetto fisico dei personaggi o i loro ruoli; risposte inappropriate e offensive.
(LA)
«Trachalio: Ecquem adulescentem huc, dum hic astatis, expedite, vidistis ire strenua facie, rubicundum, fortem, qui tris semihomines duceret chlamydatos cum machaeris? Piscatores: Nullum istac facie ut praedicas venisse huc scimus. Trachalio: Ecquem recalvom ac Silanum senem, statutum, ventriosum, tortis superciliis, contracta fronte, fraudulentum, deorum odium atque hominum, malum, mali viti probrique plenum, qui duceret mulierculas duas secum satis venustas? Piscatores: Cum istius modi virtutibus operisque natus qui sit,
eum quidem ad carnificem est aequius quam ad Venerem commeare[7].»
(IT)
«Tracalione: Mentre eravate qui, avete visto, ditemi, un giovanotto che camminava con aria decisa, rosso in viso, forte, che aveva con sé tre mezze cartucce vestite con la clamide e armati di spada? Pescatori: Non ci risulta che uno con l'aspetto che tu ci descrivi sia venuto qui. Tracalione: E un vecchio mezzo pelato come Sileno, ben messo, con una grande pancia e folte sopracciglia, con la fronte aggrottata, un imbroglione in odio agli dei e agli uomini, un furfante, maestro di vizi e di porcherie, che trascina con sé due donnette piuttosto belline? Chi abbia queste caratteristiche e questi attributi è meglio che vada dal carnefice piuttosto che al tempio di Venere![3]»
Metateatro
Come in molte commedie plautine anche in Rudens ci si imbatte in elementi riguardanti il metateatro.
Nel prologo è presente il primo esempio, infatti Arturo asserisce di dover esporre l'argomento della commedia stessa.
(LA)
«Arcturus: Nunc, huc qua causa veni, argumentum eloquar[8].»
(IT)
«Arturo: Ora vi esporrò l'argomento della commedia per cui sono venuto qui[3].»
Nella settima scena del quarto atto il pescatore Gripo, estraniandosi dalla parte, rende esplicito il suo ruolo di attore nella commedia.
(LA)
«Gripus: Spectavi ego pridem comicos ad istúnc modum sapienter dicta dicere atque eis plaudie, cum illos sapientis mores monstrabant poplo: sed cum inde suam quisque ibant divorsi domum, nullus erat illo pacto ut illi iusserant[9].»
(IT)
«Gripo: Mi è altre volte capitato di assistere a commedie in cui gli attori dicevano parole sagge di questo genere, raccogliendo applausi, per il fatto appunto di indicare alla gente una condotta saggia. Ma poi, quando ognuno degli spettatori tornava a casa sua, nessuno si comportava nel modo che costoro avevano suggerito[3].»
Nell'ultima scena, infine, Demone si rivolge direttamente agli spettatori, causando così la rottura della quarta parete.
(LA)
«Daemones: Sequimini intro. Spectatores, vos quoque ad cenam vocem, ni daturus nil sim neque sit quicquam pollucti domi, nive adeo vocatos credam vos esse ad cenam foras. Verum si voletis plausum fabulae huic clarum dare, comissatum omnes venitote ad me ad annos sedecim. Vos hic hodie cenatote ambó Labrax, Gripus: Fiat. Daemones: Plausum date[10].»
(IT)
«Demone: Seguitemi in casa. Anche voi, spettatori, inviterei volentieri a cena se avessi qualcosa da darvi, almeno gli avanzi delle vittime sacrificate: ma non ho niente e certamente sarete già stati invitati a cena fuori. Però se vorrete dedicare un forte applauso a questa rappresentazione, venite pure tutti a farvi una bella mangiata da me... tra sedici anni. Quanto a voi due, vi confermo l'invito per oggi. Labrace e Gripo: Grazie. Demone: Applaudite[3].»
Agnizione
Le commedie plautine sono state oggetto di studio e catalogate in più gruppi, Rudens rientra nella categoria dell'agnizione, nella quale, al termine della commedia, si ha un improvviso e imprevedibile riconoscimento di uno dei personaggi. In particolare qui si scopre che Palestra è la figlia di Demone, rapita in giovane età[11].
Note
^G. Garbarino, L. Pasquariello, Latina, Paravia 2008, p. 61