La regalità è una condizione peculiare riconosciuta al capo di uno Stato, detentore del titolo di re, principe, duca regnante, o altra qualifica nobiliare.[1]
Sebbene sia stata progressivamente identificata col regime monarchico a partire dallo sviluppo degli Stati assoluti del XVII secolo,[1] come quello francese, in cui una sola persona esercitava il potere supremo, la regalità tuttavia aveva un significato più ampio, connotando ad esempio anche le repubbliche di Genova o di Venezia, e anticamente lo stesso regno di Francia, che erano contemporaneamente monarchici, aristocratici e democratici.[2]
La regalità pertanto non andrebbe identificata in maniera unilaterale con forme politiche come la sovranità, o l'impero, né con la tirannia che è un regime in cui chi esercita il potere è libero da ogni limitazione.[1]
La persona regale, il più delle volte, emanava dal mondo divino o riceveva dagli Dèi un avallo che la rendeva sacra, elevandola al di sopra dello status puramente umano.[7] Presso i popoli germanici era presente una concezione magica e persino taumaturgica della regalità, sicché Louis Rougier osserva: «tra i Germani, i re erano considerati esseri discendenti dagli Dèi, dotati di potere magico sulla natura, tutti scelti per elezione dalla stessa famiglia [...] che risale a Wotan».[8]
Viene menzionato anche nel salmo 110 come personalità regale che assomma in sé la carica sacerdotale, assegnata al re Davide come prefigurazione del futuro Messia:[11] «tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».[12] Nella lettera agli Ebrei si afferma che Gesù realizza il sacerdozio regale di Melchisedec profetizzato nel Salmo suddetto: «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita».[13]
«Possiamo dire che alla sintesi primordiale, espressa dalla nozione della Regalità Divina, subentrò allora la separazione e poi l'antitesi appunto di autoritàspirituale e di potere temporale e, a dir vero, nei termini di una spiritualità che non è più regale ma sacerdotale, e di una regalità che non è più spirituale e sacrale ma semplicemente e materialmente "politica" e laica: la tensione gerarchica si allenta, l'apice frana, si produce come una frattura, che fatalmente dovrà prolungarsi fino ad intaccare dalle fondamenta l'integrità del Tutto tradizionale.[7]»
(Julius Evola, cit. in Apolitia: scritti sugli orientamenti esistenziali, 1934-1973, a cura di Riccardo Paradisi, Roma-Napoli, Controcorrente, 2004, pag. 57)
^Il re dei Franchi, infatti, fu per lungo tempo eletto dai rappresentanti delle famiglie dell'aristocrazia, e gli abitanti delle città avevano sempre mantenuto il diritto di eleggere propri rappresentanti, consoli, fiduciari, ecc. nei comuni.