In linguistica, è detto "referente" l'entità, la realtà o la situazione extralinguistica cui fa riferimento (tramite designazione) un segno linguistico.[1][2]
Per l'analisi linguistica non è centrale il problema se esista un referente come il centauro o l'unicorno. Essa è piuttosto interessata alle condizioni di esistenza di un referente testuale (o "referente di discorso", discourse referent[5]) e alla creazione di un universo del discorso. Si intende per "referente testuale" una entità che sia stata già evocata all'interno di un testo e che può essere ripresa anaforicamente. Il referente testuale, nel momento in cui viene evocato, si aggiunge a quelli già presenti nell'universo del discorso.[1] Il linguista Lauri Karttunen ha osservato che un sintagma nominaleindefinito instaura un referente solo a condizione che non sia presente nel predicato che domina il sintagma un verbo che neghi l'esistenza del referente (ad esempio, avere l'intenzione, fingere di, dimenticare ecc.).[1][6] E ancora, appunto in riferimento all'anafora:
«La comparsa di un sintagma nominale indefinito instaura un referente testuale solo nel caso in cui essa giustifica la posteriore ricorrenza nel testo di un pronome coreferenziale[7] o di un sintagma nominale definito.[8]»
Nell'immagine a sinistra, la somiglianza tra segno e referente è minima. A destra, nel carattere cinese che rappresenta la donna, la cultura occidentale non può ravvisare alcuna somiglianza.
Il problema definitorio nasce dunque dal fatto che la ripresa anaforica è possibile anche quando Karttunen esclude l'instaurazione del referente.[6] Così, ad esempio, risulta agrammaticale la frase
Giovanni non ha un gatto ed esso è nero.
ma è invece possibile dire
Giovanni non ha un'automobile, ma presto la comprerà.
o anche
Io non sono un avvocato, ma tu lo sei.
A fronte di queste difficoltà, Karttunen ha avanzato l'idea che alcuni referenti testuali hanno natura provvisoria, "a breve termine", come nel caso di
Giovanni vuole prendere un pesce e cucinarlo con noi.
che, peraltro, non ammetterebbe un seguito come:
Eccolo lì.
Già in Discourse Referents, Karttunen, come accennato, invoca le nozioni di specificità e non-specificità. In questo senso, un sintagma nominale specifico instaura sempre un referente, mentre un sintagma nominale non-specifico instaura un referente solo a certe condizioni.[6] Su questa scorta, il tipo di caso più studiato è quello di strutture ambigue come
Giovanni vuole acquistare un volpino.
Questa frase prevede due interpretazioni distinte e solo in una di queste è instaurato un referente (cioè, un certo volpino).[6]
Iconismo del significante
Come nell'arte René Magritte ha sfidato l'iconicità del manufatto artistico in Il tradimento delle immagini, così il concetto di icona è stato sottoposto a critica da Umberto Eco. Il Gruppo di Liegi, che riprende Eco in questo, discute l'idea che l'icona sia fondata sulla somiglianza tra significante e referente. Così, ad esempio, nel segno che ritrae sagome stilizzate di un uomo e di una donna e che va inteso come WC, il grado di somiglianza con un vero uomo e una vera donna è alquanto limitato: la testa è staccata dal corpo, la sagoma è monocroma, mancano mani e piedi ecc. Nelle altre due immagini, la somiglianza è minima in quella a sinistra o, in quella a destra, impossibile da cogliere per chi non proviene dalla cultura giapponese.[9]
Funzione referenziale
Tra le funzioni del linguaggio enucleate dal semiologo russo Roman Jakobson (1896-1982), figura la funzione referenziale, che è incentrata appunto sul referente (la cosa di cui si parla), all'interno di un contesto situazionale, in particolare nella manualistica professionale.[1]
Cipriani, E. (2015). The Descriptivist vs. Anti-Descriptivist Debate between Syntax and Semantics. Philosophy Study, 5, 8, pp. 421-30 doi: 10.17265/2159-5313/2015.08.005
Cipriani, E. (2016). Some reflections on Chomsky's notion of reference. Linguistics Beyond and Within, 2, 1, pp. 44-60 https://doi.org/10.31743/lingbaw.5637