Tale ideologia ha permeato - e tuttora è molto importante - la maggior parte dei partiti politici argentini odierni, sia di destra sia di sinistra. I principali partiti peronisti sono il Partito Giustizialista, fondato nel 1946 e il Fronte per la Vittoria, nato nel 2003 (kirchnerista).
Storia
Le origini
Il fenomeno peronista nasce nel 1943, ma le sue origini vanno cercate più indietro, nella struttura stessa della società argentina. Essa era retta fino agli anni '20 da un'oligarchia egemonizzata dai grandi allevatori e commercianti di carne, con un proletariato urbano in crescita, una classe media urbana ed un proletariato rurale impiegato nell'allevamento. L'economia era pesantemente controllata da britannici e statunitensi (circa il 50% delle imprese) e la situazione sociale caratterizzata da ampi fenomeni di immigrazione interna e dall'Europa, che favorì la formazione e lo sviluppo di espressioni politiche complesse (in un primo momento socialisti, anarchici, anarco-sindacalisti e comunisti).
Un primo colpo di Stato si ebbe nel settembre 1930 da parte del generale José Félix Uriburu, che sollevò dall'incarico il presidente Hipólito Yrigoyen, ponendo fine allo stato liberale ed instaurando un governo autoritario e populista, ma pur sempre ispirato all'oligarchia. Il regime cade due anni dopo, ma ormai la rottura dell'equilibrio si era verificata.
Fino al 1940 si ebbe una crescita costante del movimento sindacale (Confederación General del Trabajo, CGT), sia per adesioni che per rivendicazioni. L'inizio della guerra e l'invasione dell'URSS spaccò l'unità del movimento operaio (dal 1942 esistono due diversi CGT) ma anche nel resto della società argentina, creando divisioni tra fascisti ed antifascisti sul comportamento da tenere nei confronti della guerra.
Dalle elezioni presidenziali del 1932 era al potere la coalizione radicale Concordancia, espressione del cosiddetto decennio infame, emanazione della vecchia aristocrazia latifondista e della borghesia commerciale e finanziaria, alleata dell'imperialismo britannico, che tendeva ad escludere dalla rappresentanza politica le nuove forze sociali - i piccoli e medi datori di lavoro industriali e il vasto proletariato urbano - nate negli ultimi dieci anni dell'intensa industrializzazione del paese.
Le forze armate erano divise tra i vertici, governativi, e un'ala più filofascista e nazionalista.
Il 4 giugno 1943 questi ultimi, insieme al Grupo de Oficiales Unidos (GOU) realizzarono un colpo di Stato, che fu chiamato la Rivoluzione del '43, impedendo l'elezione a presidente del filo-britannico Robustiano Patrón Costas.
Il colonnello Juan Domingo Perón, appartenente a questo gruppo di ufficiali intermedi delle Forze armate, entrò nel governo nel novembre 1943 alla guida del Ministero del Lavoro e della previdenza. Peron, alla fine degli anni trenta, aveva vissuto nell'Italia fascista come osservatore militare dello Stato Maggiore argentino e studiò all'Università di Bologna Scienze Politiche ed Economia Corporativa[2], vedendo con simpatia la politica e l'ideologia fascista, poi alla base del movimento peronista.[3]
Con la guerra in corso l'Argentina si trovava in forte crescita economica, grazie ad una fortissima richiesta di prodotti agricoli e d'allevamento da parte di tutti i belligeranti ed allo spostamento della produzione industriale nelle aree che non erano teatro di guerra.
Perón si lega alla CGT 2, autonomista, realizzando tra il 1943 ed il 1945 quanto non era stato raggiunto nei precedenti decenni di lotta di classe: assicurazioni obbligatorie per incidenti sul lavoro e malattie professionali, la giornata lavorativa di otto ore, lo statuto dei giornalieri, tredicesima mensilità, ferie retribuite, estensione del sistema pensionistico, riconoscimento ufficiale dello status giuridico dei sindacati, ecc. La sua popolarità divenne talmente forte da permettergli di assumere nel febbraio 1944, sostenuto dal GOU, anche la carica di Ministro della Guerra e in giugno di Vicepresidente del generale Edelmiro Julián Farrell.
Essendo però ancora forte, l'oligarchia al potere, contraria a queste misure, tentò di fermare Perón, con un colpo di stato all'interno delle forze armate. Fu dimissionato e arrestato il 12 ottobre 1945, ma provocando una sollevazione popolare che porterà alla sua liberazione il 17 ottobre dello stesso anno.
Fu concordato un nuovo gabinetto di governo tra Farrell e Perón, con uomini fedeli a quest'ultimo.
Pochi giorni dopo fu fissata la data delle elezioni: il 24 febbraio 1946.
La presidenza Perón: la "rivoluzione" dei descamisados
(ES)
«El peronismo será revolucionario o no será nada!»
(IT)
«Il peronismo sarà rivoluzionario o non sarà niente!»
(Evita Perón)
Nel 1946 Perón scelse perciò di correre da solo alle elezioni, con una lista appoggiata dai settori sindacalisti sia nazionalisti che socialisti. Vinte le elezioni, il primo governo godette di una congiuntura favorevole, grazie alle abbondanti riserve di oro e valuta straniera, con un saldo commerciale positivo e un mercato interno in espansione. Ciò favorì un ampio processo di redistribuzione della ricchezza, ma anche una continuazione della contrapposizione peronismo-antiperonismo, visto il carattere comunque autoritario del governo. Questo infatti operò una serie di arresti nei confronti dei gruppi legati al marxismo ed alla lotta di classe: i settori sindacali internazionalisti - tra cui Cipriano Reyes ed altri dirigenti che collaborarono alla sua liberazione l'anno precedente - e sciolse lo stesso Partito Laburista d'Argentina per creare quello Giustizialista.
Nel primo piano quinquennale argentino venne creato l'Istituto di promozione e intercambio (IAPI), si nazionalizzano il Banco centrale, le imprese dei servizi pubblici (ferrovie, acqua, gas, telefoni) e si dà impulso all'edilizia popolare e all'alfabetizzazione delle classi più povere.
Il sistema formatosi provoca l'allontanamento dei potentati economici e finanziari statunitensi ed inglesi, realizzando una sintesi tra industria nazionale e lavoratori, in una terza via tra capitalismo e comunismo.
Nel 1949 Perón promulga la nuova Costituzione argentina che, tra l'altro, riconosce il diritto di sciopero, alla salute ed all'istruzione, il monopolio del commercio estero da parte dello Stato.
Una prima crepa nel regime si aprì con la morte della moglie di Peron il 26 luglio 1952, Eva Duarte de Perón (detta Evita), popolare intrattenitrice radiofonica di umili origini, dotata di carisma e capacità comunicativa, e gestore dell'immagine pubblica del marito.
Dallo stesso anno l'economia comincia a perdere posizioni, a causa dell'esaurimento delle riserve internazionali accumulate durante la guerra, quando l'Argentina costituiva la sesta potenza economica mondiale.
Successivamente l'ostilità della Chiesa cattolica (scatenata tra l'altro dall'approvazione della legge sul divorzio), in comunione con quella angloamericana e dei potentati economico-finanziari, sindacali e dei partiti tradizionali interni (vengono fatti chiudere i quotidiani La Vanguardia, La Prensa e La Nación) determineranno il crollo del sistema peronista.
Il 16 giugno 1955 venne organizzato un colpo di Stato militare da parte della Marina militare, che bombarda la Casa Rosada tentando di uccidere il presidente. Il 18 giugno Perón è costretto a fuggire in esilio prima in Paraguay e poi nella Spagna di Franco.
Ad una intervista della tv inglese, che gli chiede cosa intenda fare per tornare in Argentina, Perón risponde: “Nulla. Faranno tutto i miei nemici”.
Il peronismo resistente
Inizia quindi il "peronismo della resistenza". All'interno del movimento si formarono due correnti: un settore socialista nazionale, associato ai movimenti rivoluzionari sudamericani, ed un'ala conservatrice. Il primo entrò in clandestinità, organizzando movimenti di resistenza alla giunta militare a partire fin dal 1955.
«Se siente, se siente, Perón está presente»
(Coro lanciato nei cortei peronisti argentini dopo l'esilio di Peron[4])
Il 20 settembre 1955 assume il potere in Argentina il tenente generaleEduardo Lonardi, che avvia il ritorno alla democrazia, ma subisce a sua volta un colpo di Stato da parte del tenente generale Pedro Eugenio Aramburu (capo di stato maggiore dell'esercito), che blocca nel sangue una rivolta peronista nel giugno 1956, giustiziando 38 peronisti ed eseguendo migliaia di arresti. Il mese successivo l'Assemblea Costituente ripristina la Costituzione liberale del 1853.
Con le elezioni del marzo 1962 i peronisti sono nuovamente ammessi alle elezioni, ottenendo il 35% dei consensi. Il presidente Frondizi viene accusato di cedere alle pressioni peroniste e viene perciò destituito dalle forze armate, che lo sostituiscono con il presidente del Senato José María Guido. Peronisti e comunisti vengono nuovamente messi al bando.
Fa la sua nascita il gruppo armato dei Montoneros e dall'esilio Perón plaude alle loro azioni di guerriglia terrorista[senza fonte].
Negli anni successivi i dirigenti della resistenza, tutti rifugiatisi a Cuba, gettarono le basi per la costruzione di un fronte peronista di liberazione nazionale. Tra di essi Fernando Abal Medina e Norma Arrostito, dirigenti dei Montoneros, e John William Cooke, uno degli ideologi di riferimento dei guerriglieri peronisti e organizzatore della fusione fra i movimenti studenteschi e operai.
«Tutta la nostra lotta deve partire dall’auto-consapevolezza di vivere in un paese semi-coloniale, paese che è, a sua volta, membro di un continente anch’esso semi-coloniale. [...] Il nazionalismo è possibile solo se inteso come una politica conseguente all’anti-imperialismo»
«In Argentina l’oligarchia dominante si è legata al capitale multinazionale [...] per cui, lo sfruttamento nel mio paese si identificava con la presenza prima inglese e poi statunitense. Il nazionalismo, quindi, è sempre stato sinonimo di liberazione e i due termini, se presi separatamente, non avrebbero avuto senso. Il fenomeno peronista costituiva un’unione variegata: i delusi del Partito Comunista, i settori cattolici più radicali, i militanti che avevano conosciuto il Che, i sottoproletari delle villas miseria, le baraccopoli di Buenos Aires, ma anche una parte consistente della piccola borghesia. Dal 1975 iniziò l’adesione operaia in massa, unendosi al movimento studentesco che lottava soprattutto contro l’eccessiva invadenza statunitense. Il peronismo, dunque, è nato come movimento politico di massa. Più tardi, il ricorso alla lotta armata, non è stata una scelta, ma l’unica forma di resistenza possibile.»
(Miguel Bonasso, militante Montonero e giornalista italo-argentino)
Il declino economico e sociale dei diversi governi che si susseguirono negli anni sessanta, incalzati anche dall'attività di guerriglia dei Montoneros, aprì la strada al ritorno di Perón.
Alle elezioni dell'11 marzo 1973 fu riammesso il partito giustizialista, ma a Perón fu vietato di parteciparvi. Gli elettori elessero però Héctor Cámpora, un suo sostenitore. Questi si dimise nel luglio dello stesso anno, decretando nuove elezioni a cui questa volta partecipò anche Perón stesso, che tornò in Argentina, venendo eletto presidente per la terza volta nell'ottobre del 1973.
La situazione argentina era però cambiata notevolmente nel frattempo ed il nuovo regime peronista rimase bloccato dai conflitti tra le sue diverse anime, e in particolare tra l'ala conservatrice e quella socialista nazionale, condizionando l'ordine pubblico e obbligando il governo a provvedimenti d'urgenza.
Dopo la morte di Perón il 1º luglio 1974 vi fu la successione della vicepresidente, la seconda moglie Isabel Martínez de Perón, che durò però meno di due anni.
Vi fu un nuovo rovesciamento, sanzionato dal golpe militare del 24 marzo 1976, con Isabel Perón agli arresti per cinque anni.
Il movimento peronista, dopo una prima sconfitta elettorale da parte di radicali e socialisti, tornò al potere in diverse occasioni (per la prima volta nel 1989), ma mantenendo differenze tra peronisti conservatori come il presidente Carlos Menem (1989-1999) e socialisti nazionalisti come Néstor Kirchner (2003-2007) o sua moglie Cristina Fernández de Kirchner (2007-2015), fautori del kirchnerismo. Infatti, dopo la scissione del partito giustizialista alle elezioni generali del 2003, che videro arrivare al ballottaggio due candidati peronisti (Kirchner e Menem), negli anni successivi si sono create diverse fazioni "peroniste" che si sono presentate alle elezioni.
Per differenziare il proprio movimento da un partito politico, Perón stesso mise sempre in risalto il carattere composito del peronismo. Esso era costituito non solo da un partito politico con due branche, maschile e femminile, ma anche da organizzazioni sindacali, studentesche, sportive ecc. che confluivano nel movimento a cui spettava rappresentare la totalità degli interessi nazionali.
Collocazione politica
Il sociologo antifascistaGino Germani, emigrato in Argentina nel 1934 dopo essere stato incarcerato per "propaganda sovversiva" in Italia, nelle sue analisi sul movimento peronista riportò che, sebbene vi fu una differenza nel tipo di mobilitazione di massa rispetto al fascismo italiano (in Argentina essa fu primaria, ossia all'interno di una società non industriale, e monopolizzata dalla classe sociale inferiore), sul piano politico il peronismo appartiene alle correnti che, dopo la Grande Guerra e la crisi del 1929, proclamarono in Europa la necessità di una Terza Via: fascismo, nazionalsocialismo, corporativismo e falangismo.[7]
Nel peronismo si mostrò anche quella tendenza al sindacalismo rivoluzionario, nazionale ed autogestionario proprio dei fascismi europei. Perón stesso dichiarò più volte che il movimento operaio era la base portante del suo movimento[8], fatto che mosse verso di lui critiche di filocomunismo. Ma il carattere prettamente nazionale[9] del socialismo perseguito dal generale Perón, lo rese inviso sia al capitalismo angloamericano che al marxismo sovietico, tanto che furono queste forze a determinarne la crisi del 1955, insieme alle pressioni della Chiesa.
Nel peronismo compaiono perciò tutte le caratteristiche politiche del fascismo (Terza Via, socialismo e sindacalismo nazionale, corporativismo e socializzazione, autoritarismo e populismo)[2][10], ma addirittura anche gli uomini stessi che dettero vita ai fascismi europei tra il 1919 ed il 1945.[4]
Caso emblematico è quello di Giuseppe Spinelli, ex operaio cremonese divenuto Ministro del Lavoro durante la Repubblica Sociale Italiana. Dopo la sconfitta militare italiana, insieme a decine di migliaia di fascisti, si trasferì in Argentina e, dopo la vittoria di Perón nel 1946, gli venne affidato l'incarico di capo del dipartimento dell'immigrazione della Marina Argentina ed affiancato a Perón stesso come consigliere economico in materia di socializzazione e corporativismo, assi portanti della politica economica peronista come di quella dei regimi europei.[11]
Nel 1969 Perón, ricordando il periodo passato in Italia da ufficiale di Stato Maggiore argentino trent'anni prima, spiegò in una sua intervista il legame profondo ed il collegamento tra peronismo e fascismo italiano:
«[...] lì si stava facendo un esperimento. Era il primo socialismo nazionale che appariva nel mondo. Non voglio esaminare i mezzi di esecuzione che potevano essere difettosi. Ma l’importante era questo: un mondo già diviso in imperialismi e un terzo dissidente che dice: No, né con gli uni né con gli altri, siamo socialisti, ma socialisti nazionali. Era una terza posizione tra il socialismo sovietico e il capitalismo yankee.»
(Juan Domingo Perón, Corriere della Sera, Perón, un caudillo tra comunismo e capitalismo yankee di Sergio Romano, 29 giugno 2005)
Sempre Perón in una sua dichiarazione ad un giornale inglese: “Gli argentini sono al 30 per cento socialisti, al 20 per cento conservatori, un altro 30 per cento è di radicali [...]”; al che il giornalista lo interrompe domandandogli: “E i peronisti?”. “No, no, peronisti sono tutti quanti”, affermò il Presidente Argentino con estrema naturalezza.[12]
Sulla matrice politica del peronismo, peraltro, taluni autori[13] vedono il movimento argentino come la risultante dell'apporto di diverse idee politiche, portate da intellettuali cattolici e marxisti, come da esponenti della stessa classe operaia, forze che, d'altronde, furono alla base dello stesso fascismo italiano.
Principi
I principi che caratterizzarono il peronismo sono i seguenti:[14]
giustizia sociale, impostata non sulla lotta di classe, bensì sulla collaborazione tra le classi sociali all'interno del corpo statale;
indipendenza economica del paese dai monopoli internazionali;
terzomondismo in politica estera, inteso come un atteggiamento neutrale nei confronti dei due grandi blocchi che, durante gli anni del suo governo, si fronteggiavano nella guerra fredda.
«in campo economico il peronismo assicura che tutto il patrimonio argentino sia degli argentini e che si sostituisca alla politica economica di sfruttamento capitalista una politica economica sociale per cui la nostra ricchezza possa essere distribuita proporzionalmente tra tutti coloro che con il proprio sforzo concorrono a formarla»
In politica economica vengono nazionalizzate la Banca centrale, le imprese dei servizi pubblici (ferrovie, acqua, gas e telefonia) e quelle legate al settore energetico (centrali idroelettriche, gas naturale e carbone). In particolare Perón, che durante gli anni di servizio presso l'Ambasciata argentina a Roma aveva maturato ammirazione per Benito Mussolini, si ispira alla legislazione sociale del Fascismo[3], quando, all'inizio della carriera politica, riveste l'incarico di Ministro del Lavoro: salario minimo garantito, assicurazioni obbligatorie per incidenti sul lavoro e malattie professionali, la giornata lavorativa di otto ore, lo statuto dei giornalieri, tredicesima mensilità, ferie retribuite, estensione del sistema pensionistico, riconoscimento ufficiale dello status giuridico dei sindacati, etc.
In politica estera l'Argentina mantiene una stretta neutralità nei confronti dei due grandi blocchi contrapposti.
«Tutti i paesi sono più o meno dominati, direttamente o indirettamente, dall'influenza imperialista, che è strumentalizzata dall'imperialismo americano o da quello sovietico [...] Yalta ha diviso il mondo in due «riserve di caccia» a vantaggio delle due potenze imperialiste. [...] l'unificazione di tutti coloro che lottano per la stessa causa (la sovranità nazionale, ndr)»
In Italia il peronismo riscuote successo sia nella destra sia nella sinistra radicale.
Lotta Continua sul proprio quotidiano definisce il peronismo come "uno dei fenomeni sociali, politici e ideologici più incompresi del nostro secolo".[19]
Il congresso del Movimento Sociale Italiano a Roma nel 1949 si apre con tutti i delegati che gridano ”Viva Perón!”, mentre Il Borghese si schiera apertamente in favore del presidente argentino anche nella lotta contro il Vaticano, in quella che ritiene “la battaglia per impedire che la formula della DC si estenda anche al Sud America”.[20]
Terza Posizione guarda con simpatia alla lotta dei Montoneros, movimento rivoluzionario peronista di ispirazione socialista nazionale, nato durante l'esilio del presidente Perón.[21]
Note
^Come i sostenitori di Perón che si erano accampati davanti al palazzo presidenziale senza camicia, a causa del gran caldo
^abcCarlos Jesús Rodríguez Mansilla, La Idea Peronista, Diario Clarín, 1982.
^abcLudovico Incisa di Camerana, I caudillos, Corbaccio, 1994.
^Renzo De FeliceLe interpretazioni del Fascismo, Laterza, Bari, 1969
^"Così come la classe lavoratrice sta sostituendo i rappresentanti dell'individualismo capitalista all'interno del panorama politico, ugualmente, nel sistema economico, la classe lavoratrice sta sostituendo le imprese individuali con le cooperative", Juan Domingo Perón, Presidencia de la Nación, 1952.
^"Il giustizialismo è una forma di socialismo, un socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita dell'Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall'antico liberalismo «democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell'imperialismo yankee", Parla Juan Domingo Perón. Intervista a cura di Jean Thiriart. Traduzione E. Massari ”Aurora”, 1997
^abEnnio Di Nolfo Storia delle Relazioni Internazionali, Edizioni Laterza, 1994
^Enrico Vidali, Il socialismo di Patecchio, Persico, 2004.
^ Antonello Sacchetti, JUAN DOMINGO PERON, su ilcassetto.it, Il Cassetto - quindicinale online, 18 ottobre 2006 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2007).
^Giuseppe Federico Benedini, secondo cui sulla formazione politica di Perón grande influenza ebbe la figura di Benito Mussolini, "ma ridurre il peronismo ad una mera versione sudamericana del fascismo vorrebbe dire non rendere giustizia ad una dottrina che, nel corso degli anni, ha potuto contare sul contributo d'intellettuali cattolici e marxisti, sull'appoggio della classe operaia [...]", Giuseppe F. Benedini Il peronismo. La democrazia totalitaria in Argentina, 2009.
^Juan Domingo Perón, Catecismo de doctrina Nacional Justicialista.
^Giuseppe Federico Benedini, Il peronismo. La democrazia totalitaria in Argentina, Editori Riuniti, 2010, pp. 288, ISBN 978-88-6473-012-7.
^Franz Maria D'Asaro, Il Fascismo di Peron, Silva e Ciarrapico Editore.
^Alfredo Helman Il Peronismo 1945-1955, Edizioni clandestine, 2005.
^Vanella Ferrero Luis Peron e l'Italia. Peron e il giustizialismo tra Destra e Sinistra, M & B Publishing, 2001.
^Luis Vanella Ferrero Regis, Perón e il giustizialismo tra destra e sinistra, 2001
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