Peire Raimonde Tolosa o Toloza (fl. 1180-1220[1]) è stato un trovatorefrancese proveniente da una famiglia di mercanti di Tolosa.
Viene variamente citato come lo Viellz ("il Vecchio") e lo Gros ("il Grasso"), sebbene questi appellativi qualcuno li crede riferiti a due persone diverse.[1] D'altra parte, lo Viellz potrebbe riferirsi al suo appartenere a una generazione più antica di trovatori.[2] Di Peire Ramon sopravvivono diciotto poesie e una canso con melodia.[1]
Biografia e opere
Il nome di Peire Ramon (come Petrus Raimundus) appare in due documenti di Tolosa, risalenti al 1182 e al 1214.[1] Secondo la sua vida, diventa menestrello e viaggia arrivando alla corte di Alfonso II di Aragona, il quale lo accoglie con grande onore.[2] Il primo componimento databile di Peire Ramon è un planh scritto per la morte del re Enrico il Giovane nel 1183.[1] In base alla sua vida Peire passa "un lungo periodo" alle corti di Alfonso, Guglielmo VIII di Montpellier, e di un certo "Conte Raimondo", il quale potrebbe riferirsi a Raimondo V di Tolosa o, più probabilmente, Raimondo VI.[1][2] Trascorse inoltre un periodo in Italia (Lombardia e Piemonte), alle corti di Tommaso I di Savoia, Guglielmo Malaspina e Azzo VI d'Este.[1] La figlia di Azzo, Beatrice, era la destinataria di una delle poesie di Peire.[1] Alla fine Peire si stabilisce con la moglie a Pamiers e quivi morì.[2]
Peire era reputato un cantore e un compositore di cansos.[2] La sua opera è caratterizzata da temi riguardanti la natura e da uno stile ermetico.[3] Imitava i trovatori Cadenet e Arnaut Daniel ed era a sua volta imitato da Bertran de Born, soprattutto per quanto riguarda il suo uso di immagini naturalistiche.[4] Bertran arrivò addirittura a copiare un'intera stanza della poesia di Peire "No.m puesc sofrir d'una leu chanso faire".[5] In "Us noels pessamens", Peire inoltre anticipa il poeta toscanoDante Alighieri.[6] Peire si duole della sua amante, che sembra prima voler accennare a un'intesa, ma poi si mostra restia, quando dice:
(OC)
«Desmezura conosc hueymai Que fai ma dona, ses mentir, Pus que a se·m fetz aissi venir, E so que·m promes er m'estray; Que qui non a vezat aver Gran be, plus leu sap sostener Afan, que tals es belhs e bos, Que·l maltraitz l'es plus angoissos, Quan li sove·l benanansa.[7]»
(IT)
«So ormai a dismisura cosa fa la donna mia, senza mentire, poiché mi fa qui a sé venire
e ciò che lei promette non mi dona; chi il grande bene non è avvezzo ad avere, meglio sa l'affanno sopportare, e ciò è bello e buono, ché più pena gli darebbe la sciagura quando della sua felicità si sovviene.»
L'unica melodia di Peire sopravvissuta è fiorita (florid) come quella di Cadenet e meno melismatica di quella di Daniel.[8] Il suo stile impiega un insolito alto numero di grandi intervalli, compresi tritoni. La poesia con la melodia viene costruita su una innovativa metafora:
(OC)
«Atressi com la candela
Que si meteissa destrui Per far clartat ad autrui, Chant, on plus trac greu martire Per plazer de l'autra gen. E car a dreit escien Sai qu'eu fatz folatge, C'ad autrui don alegratge Et a mi pen'e tormen, Nulha res, si mal m'en pren, No·m deu planher del damnatge.[9]»
(IT)
«Simile a una candela, che sola si consuma per dare luce agli altri, canto, e soffro nel martirio, per il piacere della gente. E anche se son conscio che faccio una follia, ché agli altri do allegria e a me tormento e pena, nessuno, per il male che mi mena, deve dolersi della mia sciagura.»
(EN) Aubrey, Elizabeth. The Music of the Troubadours. Indiana University Press, 1996. ISBN 0-253-21389-4.
(EN) Egan, Margarita, ed. e trad. The Vidas of the Troubadours. New York: Garland, 1984. ISBN 0-8240-9437-9.
(EN) Gouiran, Gérard. "The Classical Period: from Raimbaut d'Aurenga to Arnaut Daniel." The Troubadours: An Introduction. Simon Gaunt and Sarah Kay, edd. Cambridge: Cambridge University Press, 1999. ISBN 0 521 574730.