«E quei che verso il Reno ora digrigna
ed or sorride livido di bile
col ceffo nella sua birra sanguigna,
l’invasor che sconobbe ogni gentile
virtù, l’atroce lanzo che percosse
vecchi e donne col calcio del fucile,
il saccardo che mai non si commosse
al dolore dei vinti e lordò tutto
del fango appreso alle sue suola grosse,
(...)
Egli è l’angelicato impiccatore,
l’Angelo della forca sempiterna.
Mantova fosca, spalti di Belfiore,
fosse di Lombardia, curva Trieste,
si vide mai miracolo maggiore?
La schifiltà dell’Aquila a due teste,
che rivomisce, come l’avvoltoio,
le carni dei cadaveri indigeste!
Altro portento. Il canapo scorsoio
che si muta in cordiglio intemerato
a cingere il carnefice squarquoio
mentre ogni notte in sogno è schiaffeggiato
da quella mozza man piena d’anelli
che insanguinò la tasca del Croato!
(...)
Oh Alleanza mistica, salute!
Cantar voglio le tre sotto il posticcio
turbante auguste Podestà chercute
e d’austriaco sevo unto il molliccio
soldan che ascolta il suo martirologio
col bianco pelo irto per raccapriccio.»