Figlio della sorella di Galerio[2], Massimino nacque attorno all'anno 285[3] in Illyricum,[4] da una famiglia dedita alla pastorizia.[5] Fece la carriera militare, ricoprendo i ranghi di scutarius, Protector e tribunus. Il suo nome originario era «Daia»,[6] ma fu adottato da Galerio, di cui assunse il nome (il nome completo di Galerio era Gaio Galerio Valerio Massimo). Daia aveva una moglie e una figlia, i cui nomi sono ignoti, e un figlio di nome Massimo.
Nel 305, in seguito all'abdicazione degli augustiDiocleziano e Massimiano in favore di Galerio e Costanzo Cloro, fu nominato cesare per l'Oriente su indicazione di Galerio, che si premurò anche di scegliere Flavio Severo come cesare d'Occidente. Gli fu assegnato il governo delle province orientali. Nel 310 si autoproclamò augusto, in contrasto con le delibere del convegno di Carnuntum del 308 che per lui prevedevano la conferma della dignità di cesare. Sappiamo che condusse una campagna militare vittoriosa in Armenia, contro un popolo che in passato si era dimostrato alleato dei Romani, ma che ora abbracciava la religione cristiana, nemica dell'imperatore poiché "estremamente rispettosa della pietà verso Dio". Secondo Giovanni Malalas (che confonde Massimino Daia con Massenzio, figlio di Massimiano), Massimino condusse in modo vittorioso le operazioni militari, sia contro gli Armeni, sia contro i Persiani di Sapore II, che ai primi si erano alleati e avevano invaso l'Osroene. In seguito a questi successi sembra che abbia distribuito i prigionieri nelle province di Armenia I e Armenia II, ed abbia ottenuto il titolo vittorioso di Persicus (312/313), insieme agli altri Augusti, Costantino I e Licinio (questi ultimi non avendovi però partecipato direttamente).[1]
Uomo ambizioso e ostile ai cristiani,[8] è descritto da Lattanzio come un creatore di scandali e autore di condanne ingiuste. Anche Eusebio di Cesarea ne traccia una pessima descrizione, ma gli studi più recenti tendono a considerare queste opinioni come propaganda diretta a colpire un nemico di Costantino e a ritenere che Massimino non sia stato un sovrano incapace.[9]
Man mano che il cristianesimo continuava a diffondersi in Egitto, il titolo di faraone era sempre più incompatibile con la nuova religione. Lo status di Massimino Daia come non cristiano ha concesso ai sacerdoti dell'Egitto l'opportunità di chiamarlo Faraone, allo stesso modo in cui altri governanti stranieri d'Egitto erano stati designati con lo stesso titolo, inclusi i predecessori di Massimino al titolo imperiale. Detto questo, gli imperatori romani per lo più ignorarono lo status loro accordato dagli egiziani, e il loro ruolo di re-divinità fu sempre e solo riconosciuto dai soli egiziani come parte della loro identità nazionale.[10]
Massimino Daia sarebbe stata l'ultima persona a cui è stato concesso il titolo di faraone: nessun imperatore cristiano romano/bizantino, né leader islamico, ha proseguito l'antica tradizione del faraone re-divinità dell'Egitto.[10]
^Lattanzio (De mortibus persecutorum xviii.14) lo vuole parente di Galerio, mentre l'Epitome De Caesaribus 40.1 e 40.18 lo identificano come figlio della sorella di Galerio, informazione confermata da Zosimo, II,8,1.
^L'anno di nascita di Massimino è sconosciuto. Lattanzio (De mortibus persecutorum xviii.14) lo definisce adulescens all'epoca dell'elevazione dal rango di Cesare, il che significa che nel 305 poteva avere tra i 18 e i 30 anni; la sua monetazione lo raffigura come un uomo di circa venticinque anni (J. Maurice, Numismatoque Constantienne I, 1908, 66, citato in Christensen, p. 11 n.8); un suo busto quale imperatore lo raffigura come ventenne. Questo lo rende verosimilmente contemporaneo di Costantino, anche lui definito adulescens da Lattanzio (Christensen, p. 12).
^Sesto Aurelio Vittore, Liber de caesaribus, 40,1, «Illyricorum indigena». Il nome «Daia» è di origine tracia e Galerio veniva da Felix Romuliana, una città della nuova provincia della Dacia ripensis creata da Aureliano e che comprendeva parte della Tracia; è quindi possibile che la sua famiglia vivesse in Tracia.
^Così riferiscono Lattanzio (De mortibus persecutorum xix.6, «Daia uero sublatus nuper a pecoribus et siluis») e l'Epitome De Caesaribus (40.18, «ortu quidem at que instituto pastorali»).
^Lattanzio (De mortibus persecutorum, xviii.13 e xix.4) testimonia che Daia fosse il suo nome originario; l'Epitome De Caesaribus 40.18 concorda, ma riporta il nome come «Daca»; CILVIII, 10784 conferma la grafia «Daia», insieme con IK-12, 00311a.
^abO'Neill, Sean J. (2011), "The Emperor as Pharaoh: Provincial Dynamics and Visual Representations of Imperial Authority in Roman Egypt, 30 B.C. - A.D. 69", Dissertions of the University of Cincinnati
Bibliografia
Torben Christensen, C. Galerius Valerius Maximinus: Studies in the Politics and Religion of the Roman Empire AD 305-313, The Theological Faculty Copenhagen University,