La magistratura italiana designa il complesso degli organi istituzionali dotati di funzioni giurisdizionali nella Repubblica Italiana, nonché depositari del potere giudiziario. Tali prerogative consistono nell'esercizio della funzione giudicante ovvero requirente. In suo seno, si distingue la magistratura ordinaria, competente in ambito civile e penale, dalla magistratura speciale, compentente in ambito amministrativo, contabile e fiscale, quali circuiti giurisdizionali costituzionalmente autonomi.[1]
In seguito all'unità d'Italia la disciplina in materia contemplata dalla legge 23 ottobre 1859 n. 3702 venne estesa al neonato Regno d'Italia; il primo nuovo testo legislativo disciplinante l'ordinamento giudiziario italiano fu il Regio Decreto 6 dicembre 1865, n. 2626, in base al quale le funzioni giudiziarie furono affidate a un corpo di magistrati di carriera nominati dal governo e dotati di uno status che ne garantiva formalmente l’indipendenza, anche se tuttavia prevista solo per i magistrati che esercitavano funzione giudicante e non a quelli con funzione di pubblico ministero, posti invece alle dipendenze in modo diretto del ministro della giustizia.
Con la presa al potere del fascismo in Italia l'ordinamento giudiziario italiano venne disciplinato in modo organico dal R.D. 30 gennaio 1941 n. 12, norma mantenuta anche con la nascita della Repubblica Italiana e, nel secondo dopoguerra, La legge 9 febbraio 1963, n. 66 consentì alle donne di partecipare ai concorsi per l'accesso alla magistratura. Infine il decreto del 1941cè stato più volte modificato nel corso del tempo; le ultime modifiche sostanziali sono state apportate dalla legge 25 luglio 2005, n. 150 e dalla legge 30 luglio 2007, n. 111.
La Costituzione della Repubblica Italiana delinea i princìpi fondamentali sui quali si fonda il sistema giudiziario in Italia. Tali princìpi sono puntualmente integrati da leggi costituzionali nonché dalla legge ordinaria.
In virtù dell'Articolo 104 della Costituzione della Repubblica Italiana, il potere giudiziario è uno dei tre poteri indipendenti dello Stato, incaricato di interpretare e applicare le leggi della Repubblica Italiana.[2] L'Articolo 101 rafforza questa autonomia, disponendo che i giudici siano soggetti alla sola legge. In base a tale disposizione, il processo decisionale di ogni magistrato giudicante è isolato dagli altri poteri dello Stato, a meno che una legge o atto avente forza di legge venga adottata da questi (la cosiddetta "indipendenza esterna"). Come previsto dall'Articolo 107, comma 3, la previsione di una struttura non gerarchica tra magistrati con distinzioni basate solo sulle funzioni loro attribuite (la cosiddetta "indipendenza interna") contribuisce a tale indipendenza.[3]
Gli uffici dei pubblico ministero sono indipendenti, non essendo soggetti né al potere legislativo, né a quello esecutivo e neppure al potere politico in generale. Il pubblico ministero dispone di un monopolio legale sull'azione penale, nonostante questi rivesta una qualche responsabilità, diretta o indiretta, nei confronti del pubblico. Tuttavia, l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio ai sensi dell'Articolo 112, comma 1,[4] privando il pubblico ministero di qualsivoglia potere discrezionale.
L'Articolo 108 della Costituzione assicura l'indipendenza della magistratura speciale demandando alla legge l'attuazione di siffatto principio.[5]
L'Articolo 28 della Costituzione prevede la responsabilità penale, civile ed amministrativa dei funzionari pubblici e dei dipendenti per gli atti da loro compiuti in violazione dei diritti, estendendola allo Stato e agli enti pubblici coinvolti.[6]
I magistrati italiani non sono direttamente responsabili degli atti presi nell'esercizio delle loro funzioni. In attuazione dell'Articolo 28 della Costituzione, la legge no. 117/1988 del 13 aprile 1988 consente alle vittime di presentare una richiesta in risarcimento del danno contro lo Stato qualora un magistrato abbia agito con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni, o abbia causato un diniego di giustizia.[7] Qualora la responsabilità venga accettata o accertata in giudizio, lo Stato può chiedere il rimborso dei danni al magistrato interessato entro il limite di un terzo dello stipendio annuale.[8]
Pur richiedendo l'organizzazione di un concorso pubblico per provvedere alle nomine di tutti i magistrati, l'Articolo 106 della Costituzione ammette la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. In via eccezionale, il Consiglio Superiore della Magistratura può chiamare all'ufficio di consigliere di cassazione i professori universitari nelle discipline giuridiche o gli avvocati con almeno quindici anni d'esercizio ed ammessi dinanzi alle giurisdizioni superiori.[9]
Una volta nominati, i magistrati sono inamovibili a meno di prestare consenso al trasferimento o che l'organo di autogoverno competente ne disponga la rimozione per uno dei motivi previsti dall'ordinamento giudiziario italiano, fatta salva ogni garanzia giuridica.[10]
Il Consiglio Superiore della Magistratura è l'organo di autogoverno della magistratura ordinaria, con competenza esclusiva sulla disciplina e sull'organizzazione della magistratura ordinaria al fine di assicurarne l'indipendenza. Figurano tra le sue attribuzioni le nomine, le promozioni, i trasferimenti e il giudizio sulle azioni disciplinari, come previsto dall'Articolo 105 della Costituzione.[11] Quale organo di rilievo costituzionale, esso è presieduto dal Presidente della Repubblica Italiana ma guidato effettivamente da un vice-presidente eletto tra i membri del Parlamento.[12]
La disciplina e l'organizzazione della magistratura speciale sono assicurate da tre organi d'autogoverno indipendenti. La governance dei magistrati amministrativi spetta al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, istituito dalla legge ordinaria n. 205/2000, mentre la governance dei magistrati contabili e tributari è affidata rispettivamente al Consiglio di presidenza della Corte dei conti e al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Le due principali corti previste dalla Costituzione italiana sono la Corte Suprema di Cassazione ed il Consiglio di Stato.
La prima opera all'interno della giurisdizione ordinaria nonché in ambito tributario, secondo i principi stabiliti dall'Articolo 111 della Costituzione, funzionando quale corte di ultima istanza nel sistema d'appello.[13] Tale corte suprema garantisce l'esatta e uniforme applicazione della legge nelle controversie pendenti dinanzi le corti civili, penali e tributarie (la cosiddetta "funzione nomofilattica"), escluse le questioni puramente in fatto.[14] La Corte di Cassazione possiede una competenza constituzionale specifica quanto al regolamento di giurisdizione. [15]Nonostante essa eserciti un ruolo di coordinazione giuridica, le sentenze della Cassazione sono sprovviste di valore formalmente vincolante al di fuori della causa nella quale la corte interviene, alla luce dell'Articolo 101 della Costituzione che dispone "La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti solo alla legge".[16] Ciononostante, le sue sentenze sono altamente autorevoli e persuasive, sicché i principi di diritto enunciati influenzano l'interpretazione e l'applicazione del diritto allorquando, in futuro, si presentano delle questioni e dei casi simili.[17]
Il Consiglio di Stato, un altro organo costituzionale menzionato nell'Articolo 100 della Costituzione, esercita una duplice funzione. Agisce come organo consultivo del governo, assicurando la legittimità dell'azione amministrativa, nonché quale corte suprema amministrativa, proteggendo gli interesse legittimi e i diritti dei soggetti di diritto contro la pubblica amministrazione. L'Articolo 125 della Costituzione prevede l'istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica, con sede nel capoluogo regionale ed, eventualmente, delle sezioni distaccate.[18]
La Costituzione articola diversi princìpi che definiscono il quadro procedurale nel panorama giurisdizionale.
L'Articolo 25 impone la precostituzione del giudice a processo, garantendo che la funzione giurisdizionale venga esercitata imparzialmente. Nello stesso senso, l'Articolo 102, comma 2 proibisce l'istituzione di tribunali straordinari o speciali.[19] In virtù dell'Articolo 111, la giurisdizione deve essere attuata mediante il giusto processo, regolato dalla legge, nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.[20]
L'autorità giudiziaria, ovvero la magistratura requirente, dispone della polizia giudiziaria italiana.[21]
L'autorità giudiziaria italiana dispone direttamente della polizia giudiziaria;[22] i magistrati ordinari si distinguono solo per le funzioni e sono inamovibili, ovvero non possono essere dispensati dal servizio né trasferiti presso altra sede se non previa pronuncia del Consiglio Superiore della Magistratura.[23] Ai magistrati addetti agli uffici di istruzione nonché quelli del pubblico ministero è data possibilità di portare armi per difesa personale senza licenza.[24]
I magistrati di carriera - detti togati - si distinguono in:
Inoltre, l'art. 106 della Costituzione italiana stabilisce che l'ufficio di consigliere di cassazione può anche essere affidato, per meriti insigni, a docenti universitari in materie giuridiche nonché ad avvocati con almeno quindici anni di esercizio che siano iscritti negli albi per le giurisdizioni superiori.
La magistratura onoraria italiana è composta dal giudice onorario di pace, il vice procuratore onorario e il giudice onorario di tribunale. Infine e vi è la magistratura militare italiana, competenza relativa ai reati militari commessi da membri appartenenti alle forze armate italiane.
I magistrati rispondono penalmente, civilmente e disciplinarmente delle azioni da loro commesse a danno dei cittadini nell'esercizio delle loro funzioni; il principio della responsabilità civile dei magistrati ha il suo fondamento nell'art. 28 della Costituzione, secondo cui i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi da essa si estende allo Stato e agli enti pubblici. Secondo il codice di procedura civile italiano del 1942, la responsabilità era limitata solo al caso di dolo o colpa grave del magistrato, in tema è successivamente intervenuta la legge 13 aprile 1988, n. 117 che disciplinò il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e la responsabilità civile; la magistratura ha però contestato l'applicabilità di questa norma, rivendicando la prevalenza del principio di indipendenza in quanto ritenuta discutibile ai sensi dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale.[25]
Dopo una prima sentenza sul caso Traghetti del Mediterraneo[26], la Corte di giustizia dell'Unione europea ha emanato in proposito la sentenza del 24 novembre 2011: con essa, pur non entrando nel merito della responsabilità del magistrato dato che in Italia vige la responsabilità indiretta, ha ritenuto troppo limitativa la necessità della sussistenza della "colpa grave" per poter ottenere risarcimento, evidenziando la necessità di un requisito meno stringente quale la "manifesta violazione del diritto", che è il requisito richiesto dal diritto europeo. In attesa quindi di una riforma della legge Vassalli, si potrà far valere la "violazione manifesta del diritto" soltanto nell'applicazione del diritto europeo, e non invece in quello nazionale per il quale continuerà a sussistere la "colpa grave" come requisito minimo.[27]
Con la legge 27 febbraio 2015, n. 18[28] si è provveduto a modificare la legge del 1988 eliminando, tra l'altro, l'udienza-filtro[29]. Ad un anno dalla sua entrata in vigore, il segretario di Magistratura democratica Anna Canepa ha in proposito dichiarato: "si tratta di una legge che abbiamo combattuto e che continuiamo a ritenere sbagliata. Ma è giusto anche dire che all'atto pratico non si sta rivelando così disastrosa"[30].
Per diventare magistrati, sia ordinari (detti anche "togati") sia appartenenti alla magistratura onoraria italiana, occorre superare un concorso pubblico indetto dal Ministero della Giustizia. Per i magistrati ordinari i requisiti erano originariamente previsti dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 112, poi modicati dall'art. 2 del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, in particolare oltre al possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, è richiesto il conseguimento del titolo di avvocato e avere una anzianità lavorativa forense di almeno cinque anni nonché, se iscritti all'albo professionale degli avvocati, non esser incorsi in sanzioni disciplinari.[31] Sono tuttavia previsti alcuni requisiti alternativi al conseguimento dell'abilitazione forense, ovvero:[32]
Nel caso dei magistrati togati, si tratta di un concorso per esami ed il bando viene emanato con cadenza biennale, esso consta di una prova scritta, consistente nella redazione di tre elaborati aventi ad oggetto diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo ed una orale consistente in un colloquio interdisciplinare sulle seguenti materie:[35]
I vincitori del concorso acquisiscono la qualifica di "magistrato ordinario in tirocinio", come disposto riforma Mastella del 2007, che ha anche apportato alcune modifiche in tema di requisiti per l'accesso, quale ad esempio l'eliminazione del limite di età. Tuttavia la dichiarazione di non idoneità a concorsi precedentemente sostenuti, se conseguita per 3 volte alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, comporta l'impossibilità di ammissione ad ulteriori selezioni.[36]
Per i magistrati ordinari sono previste le seguenti attività formative:[37]
La “formazione permanente”, in precedenza svolta dal CSM (IX Commissione)[38], dall'autunno 2012 è passata gradualmente alla Scuola superiore della magistratura. L'inaugurazione delle attività formative presso l'unica sede di Villa Castel Pulci a Scandicci (Firenze) si è avuta il 15 ottobre 2012.[39]
L'ordinamento giudiziario italiano, attualmente, stabilisce che la progressione economica dei magistrati si articola automaticamente per classi crescenti di anzianità, scandite dalle valutazioni periodiche di professionalità. È riconosciuta la possibilità di conseguire una classe retributiva superiore a quella spettante per anzianità, nel caso si ottenga l'attribuzione di funzioni superiori per concorso. La legge[40], ancora vigente, prevede in totale otto classi biennali con aumenti del 6 per cento. All'interno di ciascuna classe sono previsti degli scatti biennali che corrispondono al 2,50% dell'importo dello stipendio, e dove presente, della classe in godimento. I passaggi di classe prevedono il cosiddetto effetto trascinamento, in base al quale gli anni di carriera pregressa non possono essere persi ai fini economici e devono essere trascinati nelle posizioni e qualifiche successive, dal momento che non è possibile riconoscere un'anzianità economica inferiore a quella di servizio effettiva.[41]
Attualmente gli avanzamenti di carriera in magistratura avvengono in base al positivo superamento di quadriennali valutazioni di professionalità, alcune delle quali (la I, la III dopo un anno, la V e la VII) determinano anche la progressione nelle classi retributive. I parametri utilizzati per verificare la professionalità del magistrato sono l'indipendenza, l'imparzialità e l'equilibrio - cosiddette precondizioni al corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali - e i parametri di capacità, laboriosità, diligenza e impegno. Il procedimento prevede un parere redatto dal Consiglio giudiziario d'appartenenza e un giudizio definitivo ad opera del Consiglio Superiore della Magistratura. Il giudizio positivo determina il superamento della valutazione, il giudizio non positivo (che riscontri carenze in uno o più parametri) implica una nuova valutazione trascorso un anno, il giudizio negativo (per carenze gravi in uno o più parametri) determina un nuovo esame trascorsi due anni[42]. In caso di nuovo giudizio negativo il magistrato è rimosso dall'ordine giudiziario.
Tale meccanismo è stato elaborato accogliendo le critiche al precedente sistema di progressione in carriera, basato esclusivamente sull'anzianità professionale senza tener conto della produttività, del merito e del grado di aggiornamento professionale. Non concorrono a determinare la progressione nelle varie classi l'assegnazione da parte del Consiglio Superiore della Magistratura degli incarichi semidirettivi o direttivi, poiché si ritiene che un sistema di nomine slegato dagli automatismi retributivi concorra ad attuare i valori costituzionali di autonomia e di indipendenza del singolo magistrato. Un siffatto sistema viene di sovente criticato, poiché determina una parità retributiva fra persone che hanno le medesime valutazioni di professionalità, in disparte dalle funzioni effettivamente esercitate. A ciò si potrebbe obiettare che il sistema, adottato pressoché in tutti gli Stati, in particolar modo quelli con una magistratura indipendente, permette a un magistrato di poter operare anche negli uffici giudiziari meno appetibili, evitando la fuga dei magistrati dagli uffici più disagiati. Esso, inoltre, garantisce una qualità del lavoro che la competitività tra operatori giudiziari comprometterebbe.[senza fonte]
La retribuzione complessiva del magistrato è la somma delle seguenti voci:[43]
Le ultime tabelle stipendiali sono state introdotte dalla legge 30 luglio 2007, n. 111; per tenere conto dell'effetto dell'inflazione, la retribuzione viene automaticamente adeguata su base triennale mediante un indice ISTAT che valuta la media degli aumenti stipendiali conseguiti, nel triennio precedente, dalle altre categorie del pubblico impiego[47] Speciali incentivi economici[48] e di carriera sono stati previsti dal decreto-legge 16 settembre 2008 n. 143 (convertito con modifiche nella legge 13 novembre 2008, n. 181) per i magistrati destinati alle cosiddette sedi disagiate[49]. Con sedi disagiate si intendono quelle sedi giudiziarie rimaste vacanti all'esito delle ordinarie procedure di trasferimento e con percentuale di posti vacanti superiore alla media nazionale. Tali incentivi economici consistono in:
Con DPCM del 2009[50], per magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, gli stipendi in vigore dal primo gennaio 2006, comprensivi dell'indennità integrativa speciale, vengono aumentati per il triennio del 10,13%, e, nel contempo, vengono riassorbiti gli aumenti già corrisposti per il 2007 e il 2009. In definitiva una valutazione sommaria delle retribuzioni mensili complessive al netto di tutte le ritenute e le trattenute, è il seguente:
Qualsiasi provvedimento giurisdizionale deve essere fondato esclusivamente sul dettato legislativo, che il giudice è chiamato ad applicare utilizzando la sola lingua italiana e l'organizzazione strutturale del testo normativo ai sensi dell'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale. I giudici, quindi tutti i magistrati, sono soggetti soltanto alla legge, ovvero in base alla lingua italiana sono "schiavi della legge" e non possono dare alla legge altro senso che quello che attribuisce ad essa la lingua italiana per due precise disposizioni normative:
Nel sistema di diritto vigente, la giurisprudenza non è ammessa tra le fonti del diritto e può essere citata solo in modo conforme (come si è visto con l'articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile): il giudice non può in alcun caso utilizzarla per relationem sostituendo le "motivazioni di diritto" a pena di nullità dell'atto. Dovrebbe essere di acclarata evidenza che il dare alle sentenze valore di determinazione del contenuto e del senso della legge di fatto costituisce un atto di "creazione della legge" che viene attuato da un soggetto, il giudice, a cui la Costituzione non ha attribuito tale potere.
Si potrebbe addirittura sostenere che se il giudice, o qualunque magistrato, si attribuisse il potere di interpretare la legge in base ad elementi che non sono dalla legge previsti (ovvero la sola lingua italiana) e assumesse decisioni giurisdizionali senza applicarla di fatto, applicando la legge in base alla sola lingua italiana, si verrebbe a concretizzare un fatto che produce un effetto che è previsto dalla legge come reato e per la precisione dall'articolo 283 c.p. per come modificato dall'articolo 83 legge 85/2006. Per altro verso, la funzione nomofilattica delle giurisdizioni superiori (ed in particolar modo della Corte di cassazione) consegue in via di fatto questo risultato di semi-cogenza del precedente, perché è assai probabile che l'organo sopraordinato in sede di impugnazione confermi la posizione che già espresse in casi analoghi, producendo così di fatto una preventiva adesione dell'organo sottordinato.
L'affermazione contenuta nell'articolo 101 Cost. "potrebbe essere letta sia nel senso di sostenere che l’interpretazione del giudice non possa andare al di là della legge, secondo l’impostazione tradizionale; sia nel senso che l’interpretazione del giudice è libera e non soggetta all’interferenza di altri poteri":[51] l'avverbio "soltanto" rimanderebbe, innanzitutto, al concetto di indipendenza "esterna" del giudice, vale a dire all'indipendenza da qualsiasi interferenza estranea alla legge. Il giudice, in altre parole, deve accertare i fatti e, una volta accertati i fatti, deve ad essi applicare le leggi senza arbitrarietà, senza discrezionalità (se non quando consentita espressamente dalla legge) e senza subire interferenze da alcun potere esterno.[52]
Gli organici, come gli accessi, sono separati tra giudici ordinari (civile e penali) ed altri tipi di giudici. Di seguito sono enunciati gli organici della magistratura ordinaria, a carico della tabella di bilancio del Ministero della giustizia e regolamentati dal Consiglio superiore della magistratura, dal quale dipende anche il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari:[53]
Di seguito invece sono elencati gli organici delle altre magistrature; quelli dei giudici speciali sono a carico della tabella di bilancio della Presidenza del consiglio dei ministri e sono regolati dai rispettivi Consigli di Presidenza (della giustizia amministrativa, contabile o militare).
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