L'ilemorfismo (o ilomorfismo o ileformismo), termine composto derivato dal greco antico ὕλη (hyle, «materia») e μορϕή (morfé, «forma»), vuole significare che ogni ente materiale è costituito da materia e forma. In particolare all'ilemorfismo fa riferimento la dottrina aristotelica dell'anima.
Ilemorfismo aristotelico
Nel tentativo di superare il dualismoplatonico, Aristotele intende l'anima come forma del corpo, e perciò non distinguibile da questo.
Definire un'anima e un corpo non significa distinguerli, ma solo articolare gli aspetti di un'unità in atto:
«Perciò non bisogna ricercare se l'anima e il corpo sono uno, come neppure [se lo sono]
la cera e la figura, né in generale la materia di ciascuna cosa e ciò di cui la materia [è
materia]. Infatti, benché l'uno e l'essere si dicano in molti modi, il principale è l'atto.[1]»
L'anima è «la vita in potenza» di un corpo:[2] espressione questa che ben rappresenta ciò che Aristotele intende per entelechia. In contrapposizione alla teoria platonica delle idee, egli sostiene infatti che ogni ente si sviluppi a partire da una causafinale interna ad esso, e non da ragioni ideali esterne come affermava invece Platone che le situava nel cielo iperuranio.
Entelechia è quindi la tensione di un organismo, unità inscindibile di materia e forma, mirante a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all'atto.
L'anima quindi per Aristotele rappresenta la capacità di realizzare le potenzialità vitali del corpo, e non è da questo separabile; materia e forma - ilemorfismo - fanno tutt'uno nel corpo vivente. Di conseguenza, l'anima sarebbe destinata a perire una volta che il corpo muoia ma su questa conclusione Aristotele non dà un giudizio definitivo:
«Se rimanga qualcosa dopo l'individuo, è una questione ancora da esaminare. In alcuni casi, nulla impedisce che qualcosa rimanga: per esempio, l'anima può essere una cosa di questo genere, non tutta, ma solo la parte intellettuale; perché è forse impossibile che tutta l'anima sussista anche dopo.[3]»
Dell'anima, a seconda delle funzioni, Aristotele distingue tre parti:
anima vegetativa, che governa le funzioni fisiologiche istintive (quelle che noi chiamiamo "animali", appunto: nutrizione, crescita, riproduzione);
anima sensitiva, che presiede al movimento e all'attività sensitiva;
Un principio di eternità riposa in effetti nell'anima intellettiva, che però opera senza il supporto di un organo corporeo. Aristotele non chiarisce i rapporti tra quest'anima e le altre, né se l'eternità dell'anima intellettiva sia anche individuale; del problema discuterà la filosofia medievale che tratterà dell'ilemorfismo universale secondo cui ogni realtà è costituita da un'unica materia e un'unica forma.[4]
Questa tesi fu condivisa dalla corrente agostinistamedievale, espressa dagli esponenti della scuola francescana, secondo cui ogni creatura è composta da una «materia prima» e una «forma sostanziale», due elementi unici e onnipresenti che si integrano però in maniera differente e particolare nella gerarchia della scala cosmica: da un lato la materia si fa sempre più rarefatta in prossimità del vertice,[6] costituito dagli angeli, dall'altro la forma riduce progressivamente il proprio livello di attività ai gradini più bassi.[5]
Tommaso d'Aquino rigettò invece questa tesi nel De substantiis separatis, affermando che l'anima, come gli angeli, sarebbe pura forma, e perciò priva di materia, essendo l'atto di cui il corpo materiale è la potenza.[7]
^Si trattava in ogni caso di una concezione innovativa della materia intesa non più come semplice mancanza di essere, ma come dotata di una sua sostanzialità, che ai gradi più alti della gerarchia cosmica si traduce persino in incorporeità (cfr. Romano Pietrosanti, Introduzione all'ilemorfismo universale, su mondodomani.org, Dialegesthai, 2004.)
^Battista Mondin, Ontologia e metafisica , ESD, 2022, pp. 152, 186-187.