L'anziana Safiye, di origine italiana, ferma in una stazione, racconta alla giovane Anita, che sta par partire per l'Oriente, la sua storia di concubina nell'harem del sultano Abdul Hamid II.
Agli inizi del Novecento, alla vigilia del crollo dell'Impero Ottomano, Safiye e l'eunuco Nadir stringono un patto per far sì che la ragazza diventi la favorita del sultano. Mentre portano avanti questo piano, i due finiscono per innamorarsi e, a dispetto della condizione di evirato di Nadir, a consumare il loro amore. Purtroppo tutto ciò che Safiye conquista crolla miseramente: il figlio che avrà dal sultano muore avvelenato da una delle sue invidiose rivali, l'harem viene chiuso (con Abdul Hamid II mandato nel 1909 in esilio sorvegliato a Salonicco), e per sopravvivere lei torna dopo moltissimi anni in Italia, dove si esibisce a teatro venendo presentata come «l'ultima favorita del sultano».
Produzione
Il film è stato girato a Istanbul e sono stati utilizzati più di 15 set. Tra quelli storicamente autentici ci sono lo studio di Abdul Hamid II, la stanza della Valide, alcuni interni dello Yıldız, il teatro e la centrale elettrica del 1901 che dava la luce al palazzo del sultano. L'harem originario, distrutto in un incendio negli anni 1920, è stato ricostruito in studio.
«Il revisionismo storico investe anche l'harem: che, nel film di Ferzan Özpetek, l'autore del fortunato Il bagno turco, non è il luogo di eros e nudità dell'iconografia e della fantasia occidentale, ma un microcosmo popolato di donne colte e intelligenti dove ci si batte per la conquista del potere attraverso l'arma della seduzione e della maternità, un mondo separato dove non arriva la realtà esterna ma dove se ne ricreano le regole come su una scena teatrale. [...] Harem Suare (come soirée, le serate sul tema del serraglio che Safiye, cacciata dal suo strano paradiso, metterà in scena per campare), prodotto con molta cura e ricchezza, ha lo smalto di certi dipinti di Ingres, di cui la bella fotografia di Pasquale Mari ricrea il fascino claustrofobico. Ma il film è riuscito soprattutto sul piano delle atmosfere e dell'interpretazione. Mentre la storia è inutilmente complicata da un gioco di scatole cinesi e di incastri che Özpetek chiude con un'autocitazione incomprensibile ai più: l'incontro tra Lucia Bosè - l'ormai anziana Safiye, che rievoca - e Valeria Golino, una donna infelice e in fuga che si chiama Anita, come la famosa zia del Bagno turco...»
«Ancora al lavoro sul rapporto tra Oriente e Occidente dopo l'esordio di Il bagno turco, Ferzan Özpetek dirige un affresco complesso e inusuale, imperniato sul crollo dell'Impero Ottomano. Con l'aiuto della pregiata fotografia di Pasquale Mari e di una cornice scenografica di indiscutibile presa perché non di rado autentica, il regista turco naturalizzato italiano ha l'ambizione di ritrarre un intero mondo l'attimo prima del suo crollo così come di analizzare una realtà avvincente proprio perché in pieno disfacimento, scegliendo di far coincidere l'aspetto politico, sociale e emotivo della vicenda. Macchinosa nel funzionamento, la doppia cornice è soltanto una forzatura, retorica in più di un passo, spesso anche pesante, l'opera seconda di Özpetek sa essere anche appassionata, sensuale, gravida di una palpabile malinconia: si pensi ad alcune finezze nel rapporto tra Safiyé e Nadir, dapprima giocato sul non detto, sulle tensioni degli sguardi e poi su una tragica fisicità, oppure al discioglimento dell'harem inteso come metafora di un'intera epoca che sta per essere fagocitata dal progresso. Melodramma storico di ispirazione (anche) verdiana, del resto si inizia con un'esibizione di Traviata con finale appositamente cambiato dalla stessa Safiyé ad uso del sultano, Harem Suare insegue un decadentismo di alta scuola che non riesce, tuttavia, a trovare né nella descrizione della vita dell'harem né nella sovrapposizione tra i diversi piani narrativi. In buona sostanza è come se il regista, ricorrendo all'espediente di non mostrare mai il nucleo reale di ciò che accade, invece di dare vita alla sperata vertigine, crei soltanto una confusione che respinge lo spettatore. Interessante il confronto attoriale, alla stazione, tra Valeria Golino (Anita) e Lucia Bosè (l'anziana Safiyé), due interpreti capaci in un cast purtroppo non sempre all'altezza. Scritto dal regista con Gianni Romoli, anche produttore con Tilde Corsi, musicato da Pivio e Aldo De Scalzi. Imperfetto, ma a suo modo prezioso.»
^ Ewout Kieckens, Globo d’oro alla miglior attrice, su globodoro.com, 8 maggio 2020. URL consultato il 10 febbraio 2022 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2022).
^Harem Suarè, su cgentertainment.it. URL consultato il 10 febbraio 2022 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2022).