Guido Bentivoglio nacque a Ferrara il 4 ottobre del 1579[2] dal marchese Cornelio Bentivoglio e da Isabella Bendidio. Contravvenendo al divieto ai sudditi estensi di studiare in Università diverse da Ferrara, si iscrisse nel 1594 all'Università di Padova, alloggiando inizialmente presso uno dei suoi professori, l'umanista rodigino Antonio Riccoboni.[3] Quindi ebbe come maestro Carlo Salice padovano, «buon legista, buon filosofo ben introdotto ancora in teologia, ma ben versato particolarmente nelle altre più amene e culte lettere» (Memorie, p. 6). Sotto la guida del Salice, scrive il Bentivoglio,
«io cominciai con vivo ardore lo studio legale, insieme con gli altri ancora, più dilettevoli, accompagnando però le pubbliche lezioni con le private: benché, a dire il vero, quello fosse più lo studio accessorio che lo principale. In questo di casa con un tal uomo io provava il maggior profitto; poiché tutte l'ore del giorno mi diventavano quasi tutte ore di studio; e così faticando senza fatica, mi si convertiva in recreazione quello, che in altra maniera mi sarebbe tornato bene spesso a rincrescimento.»
(Guido Bentivoglio, Memorie, pag. 6)
A Padova, in compagnia dell'amico Cornaro, Bentivoglio frequentò Galileo che per loro «aveva esplicata in privato la sfera», e più tardi a Roma ebbe come maestro di geografiaTraiano Boccalini, convinto com'era che la geografia è quella scienza «sanza il cui lume sempre si cammina al buio ne' libri storici» (Memorie, p. 97). Soprattutto, fin dai suoi primi studi, Bentivoglio dimostrò una particolare predilezione per la storia.[4]
Entrato nelle grazie del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII e comandante dell'esercito papale, Bentivoglio fu fatto cameriere segreto del papa, il quale gli concesse di tornare a Padova, per finirvi gli studi. Conseguita la laurea in utroque iure nell'estate del '600, Bentivoglio mise in ordine i suoi affari patrimoniali a Ferrara e si trasferì a Roma.[5]
Bentivoglio ci ha lasciato nelle sue Memorie molte utili informazioni sul suo soggiorno a Roma in qualità di cameriere segreto.[6][7] Nelle Memorie parla diffusamente delle sue amicizie romane e principalmente di tre uomini, insigni per dottrina e per virtù ecclesiastica, i quali influirono in modo particolare sulla sua formazione morale ed intellettuale: Silvio Antoniano, Cesare Baronio e Roberto Bellarmino. Fu l'Antoniano a fargli conoscere il Baronio. «Questi, allorché si recava ogni sera presso il papa per la consueta confessione, volentieri s'intratteneva col giovane cameriere segreto a discorrere di storia e di politica. L'indefessa attività dell'autore dell'Istoria ecclesiastica fu un esempio ed uno stimolo all'alacrità storica del Bentivoglio, il quale ben sentiva quale aiuto e sussidio la sua cognizione profonda della storia della Chiesa attraverso i secoli potesse essere al pensiero e all'azione di un futuro diplomatico della S. Sede.»[8]
Il 27 maggio 1607 venne consacrato arcivescovo titolare di Rodi. Lo stesso anno Paolo V lo inviò come nunzio apostolico nelle Fiandre, dove rimase fino al 1615 e scrisse quella Storia della guerra di Fiandra, che lo avrebbe reso celebre. La sfera della giurisdizione della Nunziatura di Fiandra de iure si estendeva ai soli Paesi Bassi; de facto invece da una parte era limitata all'attuale Belgio, mentre veniva esercitata nell'Inghilterra, nella Scozia, nell'Irlanda, nella Danimarca e nella Norvegia dietro ordine del papa.[9] E questa estensione di giurisdizione dové essere effettiva per il Bentivoglio quando si ricordi la sua Breve relazione di Danimarca (pubblicata dal Du Puy nel 1629) o la Relazione d'Inghilterra del 1609 (pubblicata nelle Relazioni del card. Bentivoglio, Milano 1806, pp. 203–217) o l'interesse per gli affari irlandesi e scozzesi che emerge dalle sue lettere diplomatiche.
Terminata nel 1615 la nunziatura in Fiandra, Bentivoglio tornò a Roma. Ripartì nell'autunno dell'anno successivo per andare nunzio alla Corte di Francia. In qualità di nunzio Bentivoglio cercò (seguendo le istruzioni del Papa) di ottenere l'intesa tra Francia e Spagna e lottò contro la diffusione delle dottrine ugonotte e gallicane. L'11 di gennaio del 1621 fu creato cardinale con il titolo di cardinale presbitero di San Giovanni a Porta Latina da papa Gregorio XV. Posto a capo supremo dell’Inquisizione, nel 1641 fu nominato cardinale vescovo di Palestrina. Nel 1644, alla morte di Urbano VIII sperò di essergli eletto successore, ma fu eletto il cardinal Giovanni Battista Pamphilj, con il nome di Innocenzo X. Bentivoglio morì a Roma il 7 settembre di quello stesso anno, e fu sepolto nella Chiesa di San Silvestro al Quirinale.[10]
Il cardinale Bentivoglio fu uno dei più grandi mecenati della Roma barocca. Protesse il musicista Girolamo Frescobaldi, il poeta Giovan Battista Marino, il pittore Claude Lorrain e lo scultore François Duquesnoy detto Il Fiammingo, che ne realizzò un celebre ritratto. Fu lui ad attirare l'attenzione di papa Barberini su Claude Lorrain.[11] Non stupisce che il giovane van Dyck, durante il suo soggiorno romano (1622-1623), abbia trovato proprio nel Bentivoglio un protettore di vaglia. Secondo il Bellori, uno dei primi biografi di Van Dyck, il pittore «fu trattenuto in corte del cardinale Bentivoglio amorevole della natione fiamminga, per essere egli dimorato in Fiandra, e per havere scritta quella historia, che vive immortale». Molto probabilmente, il giovane Van Dyck risiedette come ospite nel palazzo del fratello di Bentivoglio sul Quirinale e lì dipinse opere per il cardinale. Bentivoglio commissionò a Van Dyck un piccolo crocifisso (oggi perduto) e il suo celebre ritratto a figura intera, che molto probabilmente fu dipinto nelle stanze dello stesso palazzo dove abitavano sia il patrono che il pittore.[12]
Opere
Nel 1629 fece pubblicare ad Anversa le Relazioni in tempo delle nunziature di Fiandra, nelle quali mostrò un grande interesse per le tematiche politiche, presentate in modo equilibrato.
Due anni dopo diffuse il saggio Lettere famigliari e politiche, che confermò la sua abilità come studioso di diplomazia e politica, mentre tra il 1632 e il 1639 uscì l'opera storica Della guerra di Fiandra. In essa vengono descritte, con stile eloquente e di grande raffinatezza letteraria, le guerre religiose e civili nei Paesi Bassi, che Bentivoglio osservò con occhio attento, oltre che per l'esperienza diretta durante le missioni diplomatiche in quei luoghi, anche per il coinvolgimento diretto di ben quattro fratelli e due nipoti. Nel 1648 uscirono postume le sue Memorie.
Le Relazioni, pubblicate per la prima volta da Ericio Puteano (l'umanista Henri Dupuy) ad Anversa nel 1629 e più volte riedite in seguito (Colonia 1650, Parigi 1651, etc.) furono tradotte in inglese da Henry Carey, II conte di Monmouth (Londra 1652) e in francese da Pierre Gaffardi (Parigi 1642).
La prima parte Della guerra di Fiandra fu pubblicata in otto libri a Colonia nel 1632 e riedita in dieci libri sempre a Colonia nel 1633; la seconda parte fu pubblicata in sei libri a Colonia nel 1636; la terza in otto libri a Colonia nel 1639. Questa edizione è considerata la migliore. Ne venne pubblicata un'altra in 3 volumi in ottavo (1635, 1636 e 1640) più volte riedita e tradotta in varie lingue: in inglese dal conte di Monmouth (Londra 1654), in spagnolo da Basilio Varen de Soto (Madrid 1645) e in francese da Antoine Oudin (Parigi 1634) e dall'abate Loiseau canonico di Orleans (Parigi 1769 4 voll. in duodecimo).
Enorme fu la fortuna dell'opera: considerata uno dei capolavori della storiografia moderna fu lodata da Giovanni Ciampoli (Lettere, Bologna 1679, p. 17), Agostino Mascardi (Dell'arte istorica, III, Venezia 1636, p. 296), Francesco De Sanctis (La giovinezza: ricordi, Napoli 1983, p. 57), ed Eduard Fueter (Storia della storiografia moderna, Napoli 1944, pp. 154 ss.). John Adams, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d'America, pensava che quella di Bentivoglio fosse “la storia più perfetta e completa” (“the most full and compleat history”).[13] L'opera di Bentivoglio deve il suo successo soprattutto ai suoi pregi formali: «vi si trovava compendiata per la prima volta in una narrazione stilisticamente unitaria e leggibile da chiunque con piacere, la materia concernente un avvenimento storico importante, che finora si era dovuta andare ad attingere da diverse esposizioni cariche per lo più di dettagli tecnico-militari ed aventi il carattere di memorie.»[14]
Le lettere scritte al tempo delle sue nunziature di Fiandra e di Francia, pubblicate la prima volta a Colonia nel 1631 e riedite a Parigi (1635), Venezia (1636) etc. furono tradotte in francese da Giovanni Veneroni e più volte ristampate in Francia col testo italiano. Nel 1807 uscì a Parigi, presso Didot, un'edizione a cura di Giosafatte Biagioli delle Lettere del Cardinal Bentivoglio, in tre volumi, che contenevano anche Notes grammaticales et philologiques in francese.
Le Memorie, pubblicate dopo la sua morte ad Amsterdam nel 1648 furono riedite lo stesso anno a Venezia. L'abate di Vayrac ne fece una traduzione francese, pubblicata a Parigi nel 1713 in 2 voll. in duodecimo. Tutte le sue opere ad eccezione delle Memorie sono state edite insieme a Parigi nel 1645, ristampate ivi nel 1648 e, con un nuovo frontespizio e con l'aggiunta delle Memorie, a Venezia nel 1668.
Opere principali
Guido Bentivoglio, Della guerra di Fiandria, vol. 1, Colonia, 1632. URL consultato il 15 settembre 2015.
Guido Bentivoglio, Della guerra di Fiandria, vol. 2, Colonia, Typographia Erpeniana, 1636. URL consultato il 15 settembre 2015.
Guido Bentivoglio, Della guerra di Fiandria, vol. 3, Colonia, 1639. URL consultato il 15 settembre 2015.
^Raffaele Belvederi (1962), pp. 782–783. «Se la concezione caratteristica della storia dei moderni è questo non disgiungere lo studio delle idee e dei fatti dal realismo della politica e della pratica degli uomini è indubbio che gli storici italiani sono i primi; e, più ancora che al Guicciardini, forse bisogna guardare al Bentivoglio. Il Fiorentino ha guardato gli Stati italiani, il Ferrarese l'Europa. Sotto questo rilievo il secondo è più grande del primo. Si potrà obiettare che è proprio del cattolicesimo osservare gli Stati europei, ma ciò non sminuisce il merito del Bentivoglio di aver saputo guardarli con mente europea. Il Ferrarese da Roma aveva avuto un compito, e l'ha assolto; ma poi per sua disposizione e per la sua sensibilità ha voluto approfondire certi aspetti, guardare i nessi dei problemi, soffermarsi su di essi e meditarli, ciò che altri, prima o dopo, non ha fatto come lui.»
^ conte Annibale Romei, Angelo Solerti, Ferrara e la corte estense nella seconda metà del secolo decimosesto, S. Lapi, 1900, p.LXVII.
^«Tra gli altri studi che mi allettavano, mi rapiva specialmente lo splendore e l'amenità dell'istoria; onde io mi rubava spesso agli altri per darmi a questo. Fin d'allora io godeva con sommo piacere di trovarmi a quelle tante e sì varie scene di casi umani che dall'istoria si rappresentano; dall'istoria, dico, la quale unendo le memorie sepolte con le più vive, e i secoli più lontani co' i più vicini a guisa di scola publica in mille efficaci modi ammaestra i prencipi, ammaestra i privati, e fa specialmente conoscere quanto uguale e giusta con tutti sia l'alta mano di Dio, e quanto più fra le miserie che fra le felicità ondeggi l'uomo in questo sì naufragante commune Egeo della vita mortale.» (Memorie, pp. 6-7).
^Memorie del cardinal Bentivoglio, con le quali descrive la sua vita Milano, Tip. de' Classici Italiani, 1807, pag. 44.
^Sebbene parli sempre con grande rispetto del Papa e dei cardinali, dove lo ritiene necessario, Bentivoglio sa anche esprimere giudizi fortemente negativi; senz'appello è ad esempio la condanna del cardinale Aldobrandini: «per comune giudizio prevalevano in lui di gran lunga le cupidità temporali; vedevasi che egli troppo amava le dipendenze assolute, e che non favoriva se non chi le professava; cupido sopra modo ne' sensi, avido sempre più dell'autorità, e di maniera poi accecato negli ultimi anni dal desiderio di possederla, che usandola non come prestata, ma come propria, e confusi troppo nel resto anco i termini del governo, pareva ch'egli a favor della sua casa e di sé medesimo, si considerasse ministro supremo di un principato temporale e non ecclesiastico, ereditario e non elettivo, di lunga e stabile, e non di transitoria e breve durata».
^ Dinko Fabris, Mecenati e musici: documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell'epoca di Monteverdi (1585-1645), LIM, 1998, p. 14, ISBN9788870962253.
^Citato in G.C. Gibbs, 'The Dutch Revolt and the American Revolution', in R. Oresko, G.C. Gibbs, H.M. Scott (eds.), Royal and Republican Sovereignty in Early Modern Europe: Essays in Memory of Ragnhild Hatton (Cambrigde, Cambridge University Press, 1997), p. 619.
^ Eduard Fueter, Storia della storiografia moderna, vol. 1, Riccardo Ricciardi, 1943, p. 155.
Bibliografia
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Luigi De Stefani, La nunziatura del cardinale Guido Bentivoglio. Lettere a Scipione Borghese cardinal nipote e segretario di stato di Paolo V, Firenze 1865.
Raffaele Belvederi, Guido Bentivoglio, Diplomatico, Rovigo, Centro di Cultura "Aldo Masieri", 1947.
Bonifacio da Luri, Elogio di Guido II Bentivoglio d'Aragona, cardinale, Venezia 1748;
Vincenzo Cafaro, Il cardinale Guido Bentivoglio, la sua vita e l'opera, Pozzuoli 1925;
Raffaele di Tucci, Il cardinale Guido Bentivoglio e i suoi rapporti con la Repubblica di Genova, Genova 1934;
Raffaele Belvederi, Dell'elezione di un re dei Romani nel carteggio inedito dei cardinale Guido Bentivoglio (1609-1614), in Rendiconto dell'Accademia nazionale dei Lincei, classe scienze morali, storiche e filos., s. 8, VI (1951), pp. 145 ss.;
Augusto Nicodemi, Alessandro Manzoni e i Cardinali Bentivoglio, Antoniano e Borromeo, Teramo 1957.
Raffaele Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea del suo tempo, 1607—1621, Padova, Liviana editrice, 1962.
(DE) Eva-Bettina Krems, » ... comprotecteur de mes affaires en cour de Rome « – Anthonis van Dycks Porträt des Kardinals Guido Bentivoglio, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, vol. 76, n. 3, 2013, pp. 315-332, JSTOR43598628.
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