Ricoprì la carica durante la fuga di Atanasio nel deserto egiziano, dovuta all'improvviso mutarsi dei rapporti di forza tra i cristiani fedeli al dogma niceno e i seguaci di Ario. In qualità di fervente ariano, è considerato un controverso avversario e successore del patriarca Atanasio[2], quindi un usurpatore dalla Chiesa cattolica, copta e ortodossa.
Biografia
Poche notizie sono giunte sul suo conto e, il più delle volte, sono probabilmente viziate da faziosità e acredine nei confronti del movimento ariano. Viene infatto descritto come un uomo corrotto e disprezzabile[1], violento e avaro[2].
Gregorio Nazianzeno lo descrive infatti come un parassita «che si sarebbe venduto per una torta»[senza fonte], ex soldato scappato dall'esercito per comportamenti diffamanti, che vagò di città in città fino a stabilirsi ad Alessandria.[1] Nelle sue opere Atanasio lo descrive come un uomo empio, probabilmente in principio pagano, che era diventato uno zelante ariano per interesse, in modo da ingraziarsi il favore dell'imperatore. Di fede ariana, anche se non risulta che avesse occupato ruoli all'interno della gerarchia ecclesiastica, né che fosse letterato o avesse compiuti studi teologici[1] fu posto dai seguaci di Ario, forti dell'appoggio accordato dall'imperatore Costanzo II, dai meleti e dai pagani sul soglio di Alessandria.
Nel 357 fu ordinato da un sinodo di trenta vescovi ariani ad Antiochia e, con il beneplacito dell'imperatore, d entrò nella città di Alessandria a seguito di truppe comandate da Sebastiano, duxAegypti ("comandante delle truppe romane in Egitto").[1] Lì, con l'espediente della ricerca del rivale Atanasio, sarebbero stati violati tutti i luoghi sacri e sarebbe stato commesso «ogni genere di crimine».[1]
In forza della sua nomina Gregorio partecipò ai sinodi ariani di Seleucia e di Costantinopoli (rispettivamente nel 359 e nel 360).[senza fonte] Durante il suo patriarcato si verificarono numerose rivolte da parte della popolazione di Alessandria, rivolte sedate con l'uso della forza grazie all'appoggio militare fornito a Giorgio dallo stesso imperatore.[1]
A livello politico continuò la persecuzione contro i cristiani trinitaristi[2] già iniziata dai suoi predecessori ariani. Molti sono i racconti pervenutici da parte dei suoi avversari sulle atrocità cui sottoponeva i fedeli al credo niceno. Si narra, ad esempio, che sotto suo ordine il duce Sebastiano abbia pubblicamente spogliato delle donne di fede ortodossa e le abbia esposte di fronte a un rogo costringendole all'abiura.[senza fonte]
Una sollevazione popolare lo costrinse durante il suo vescovado a fuggire a Costantinopoli per chiedere aiuto all'imperatore, il quale fornì lui le truppe necessarie per sedare la rivolta e inasprire la repressione ariana.[senza fonte]
Poiché si era arricchito oltre ogni misura sfruttando la propria carica, Atanasio indica nelle sue opere che un decreto di deposizione fosse stato posto nei suoi confronti dallo stesso concilio ariano di Seleucia, non più disposto a tollerare il suo immorale comportamento.[senza fonte]
La sua morte, il 24 dicembre 361, per linciaggio fu la conseguenza sia dei nuovi affronti alla popolazione alessandrina, essendosi inimicato anche la fazione pagana macchiandosi della distruzione dei loro templi, sia della morte del suo protettore Costanzo II, avvenuta il 3 novembre di quell'anno.[2]Giuliano avrebbe scritto, senza esito, una lettera di condanna di questi fatti ed esortato al salvataggio della ricca biblioteca di Giorgio, fatto contrastante con il ritratto di illetterato dipinto dai suoi detrattori.[1]
Influenza culturale
Alcuni elementi della sua morte sarebbero mutuati nella leggenda di san Giorgio,[3] omonimo Giorgio di Cappadocia.
Note
^abcdefghij(EN) James Strong e John McClintock, George the Arian, su The Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, biblicalcyclopedia.com, New York, Haper and Brothers, 1880. URL consultato il 19 maggio 2024.
^Dopo il Concilio di Calcedonia la comunità dei fedeli si divise in due gruppi: uno con coloro che accettavano le decisioni conciliari e l'altro con coloro che le rifiutavano. Nei decenni successivi al concilio il patriarca fu l'espressione di uno o dell'altro gruppo e questo li portò in alcuni casi a non riconoscere il patriarca dalla diversa visione dottrinale. La concretizzazione dello scisma si ebbe nel 536 quando i due gruppi fondarono i rispettivi patriarcati, non boicottandosi più.