Nel 1926 si trasferisce a Milano e l'anno seguente espone con il gruppo del Novecento Italiano. Si avvia intanto anche la sua carriera di illustratore grazie alla collaborazione con gli scrittori Achille Campanile (Ma che cos'è questo amore, 1927) e Cesare Zavattini (Parliamo tanto di me, 1931, I poveri sono matti, 1937). Partecipa alle esposizioni internazionali d'arte di Venezia dal 1930 e nel1933 e 1936, alla V e VI Triennale di Milano con pitture e pannelli decorativi. Intellettuale di idee antifasciste, si avvicina al movimento Corrente e nel 1943 si unisce ai partigiani della Val d'Ossola arruolandosi nella 186ª Brigata Garibaldi. Alla fine della guerra rientra a Milano e il suo impegno civile si traduce in opere di chiara impronta realista. Prosegue intanto la sua attività anche nel campo dell'architettura che, avviata negli anni trenta, lo vede nel 1947 partecipare alla realizzazione degli alloggi nel quartiere QT8 a Milano, per i quali progetta anche gli elementi di arredo: con questi studi partecipa quello stesso anno all'VIII Triennale di Milano.[3] Nel 1956 è chiamato a insegnare pittura all'Università d'arte di Berlino-Weißensee dove risiede a lungo negli anni seguenti. L'attività espositiva prosegue incessante tra la Germania e l'Italia, così come la sua attività di decoratore e illustratore, quest'ultima coronata nel 1967 dalla pubblicazione del Candido di Voltaire.
Biblioteca e archivio personale
La sua biblioteca e le sue carte personali sono state donate dagli eredi al Centro Apice dell'Università degli Studi di Milano nel 2005[4].
La biblioteca è composta da 2500 volumi comprendenti, oltre ai periodici d'arte della Repubblica Democratica Tedesca, cataloghi di mostre e monografie dedicate agli artisti della RDT. Sono inoltre presenti opere letterarie tradotte o illustrate da Mucchi e testi annotati.
L'archivio comprende manoscritti, dattiloscritti, lezioni tenute all'Accademia di Belle Arti di Berlino Est e un consistente nucleo di corrispondenza con editori, critici d'arte e artisti tra cui Giacomo Manzù e Renato Guttuso.
È inoltre presente una sezione iconografica con 300 pezzi tra xilografie, acqueforti e litografie[5].