Risalente al II-I secolo a.C. e dalle misure di 126 × 76 × 60 mm, il manufatto venne rinvenuto da un contadino durante l'aratura il 26 settembre 1877 nella località Ciavernasco, nei pressi di Settima, frazione di Gossolengo, in provincia di Piacenza. È conservato nei musei civici di Piacenza, situati presso palazzo Farnese.
Storia
I sacerdoti etruschi (aruspici) usavano questi modelli per l'interpretazione delle viscere degli animali sacrificati e ricavarne auspici sul destino (estispicina ma anche, più nello specifico, extispicina o epatoscopia). La pratica del fegato divinatorio era diffusa anche nell'antica Grecia, e, oltre che negli Etruschi, anche negli Umbri e nell'antica Roma[1].
Più anticamente, oggetti simili, anche se realizzati con materiali differenti, sono stati rinvenuti ad Ḫattuša, capitale degli Ittiti in Turchia, e nella valle del Tigri e dell'Eufrate.
Oltre al fegato di Piacenza, che è di epoca relativamente recente, in Italia sono stati trovati altri esempi, tra i quali il fegato di Falerii, che raffigura un fegato di pecora di terracotta, a suo tempo offerto come ex voto in un santuario di Falerii, città falisca all'interno del mondo etrusco.
Lo studioso Walter Burkert, uno dei massimi esperti del periodo orientalizzante, ritiene che la diffusione dell'epatoscopia in Grecia e in Italia sia uno degli esempi più chiari di contatto culturale nel periodo orientalizzante tra mondo occidentale e mondo orientale, e che sia dovuta a piccoli movimenti migratori di personaggi carismatici provenienti dal mondo orientale, di cui non possiamo aspettarci di trovare molte tracce archeologicamente identificabili[2].
Iscrizioni
Il fegato bronzeo si presenta suddiviso in sedici regioni marginali (che rappresentano la ripartizione della volta celeste – il templum celeste – secondo il principio etrusco) e ventiquattro regioni interne. Ciascuna regione riporta inciso il nome di una divinità (quaranta iscrizioni totali).
Nelle sedici regioni marginali sono incisi i nomi delle seguenti divinità:
Secondo l'architetto Franco Purini il fegato di Piacenza assomiglia alla mappa delle mura di Roma, seppur non sia possibile dimostrare alcuna reale connessione[3].
Riproduzioni
Riproduzioni del fegato di Piacenza sono state autorizzate in due occasioni: per una casa farmaceutica di Piacenza e successivamente per una iniziativa culturale (Premio Coraggio Piacentino)[4].
Walter Burkert, Da Omero ai Magi. La tradizione orientale nella cultura greca [Die orientalisierende Epoche in der griechischen Religion und Literatur], 2ª ed., Padova, Marsilio, 1999 [1984].
Antonio Gottarelli, Padānu. Un’ombra tra le mani del tempo. La decifrazione funzionale del fegato etrusco di Piacenza, in Archeologia del Rito, n. 3, Bologna, Te.m.p.l.a., 2018.
Antonio Gottarelli, Cosmogonica. Il fegato di Tiāmat e la soglia misterica del Tempo. Dai miti cosmologici del Vicino Oriente antico ad una nuova interpretazione del fegato etrusco di Piacenza, in Archeologia del Rito, n. 2, Bologna, Te.m.p.l.a., 2017.
Lammert Bouke van der Meer, The bronze liver of Piacenza. Analysis of a polytheistic structure, Amsterdam, Brill Academic Publishing, 1987.
Sergio Ribichini, Astri, segni, sogni e profezie. La divinazione nel mondo antico, in Archeo, XIV, n. 8, agosto 1998.
Passeggiate archeologiche piacentine-Da Piacenza a Veleia, Edizioni Diabasis, 2004, ISBN88-8103-298-8.