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La corrispondenza tra Galileo Galilei e Alessandra Bocchineri è l'insieme di lettere scambiate fra lo scienziato pisano con Alessandra Bocchineri, sorella di Sestilia, la moglie del figlio di Galilei, Vincenzio.
I primi incontri
Quando Galilei, ormai sessantaseienne, conosce Alessandra, questa è una bella donna di 33 anni dalla vita travagliata, che si è affinata e ha coltivato la sua intelligenza come dama d'onore della imperatrice Eleonora Gonzaga presso la corte viennese dove ha conosciuto e sposato nel 1623 un importante diplomatico Giovanni Francesco Buonamici.
La giovane intellettuale viene fatta conoscere a Galilei dal figlio Vincenzio che si vantava della bella e intelligente cognata frequentatrice ammirata delle corti europee.[1]
Alessandra il 28 luglio del 1630 invita alla villa di "S.Gaudenzio", sulle colline di Sofignano, Galilei ospite di suo marito Giovanni Francesco Buonamici, il buon amico che manda a Galilei il vino della loro "Vigna delle Veneri", particolarmente apprezzato dallo scienziato.[2]
«Son rimasta così appagata della gentilissima conversazione di V. S. e tanto affezionata alle sue qualità e meriti che non saprei tralasciare di quando in quando di salutarla e pregarla che si compiaccia farmi sapere nuove della sua salute, e conservare insieme memoria del desiderio ch'io tengo d'essere onorata di alcun suo comandamento. E se non fusse che V. S. tiene qua persone che credo per l'affetto che V. S. porta loro la costringeranno a venire a favorire queste nostre parti, avrei preso ardire di supplicare V.S. che volesse consolarci colla sua presenza ne' prossimi giorni del principio di agosto: ma perché mi prometto di goderla in ogni modo mi riserbo ad altra occasione a implorare questa grazia, che sarà anco comune al signor Cavaliere mio marito che aspetto ad ogni punto torni di Val di Bisenzio e in nome suo saluto V. S., e di tutto core le bacio le mani e resto schiava alle sue virtù.[3]»
Galilei le risponde con una lunga lettera dell'8 agosto 1630 dove si giustifica per non aver risposto in tempo al suo invito non per sua colpa, ma per il ritardo con cui la di lei lettera gli è stata recapitata e si rammarica che essa possa aver pensato a un atto di villania da parte sua mentre tanto era il desiderio d'incontrarla che egli aveva anticipato il suo ritorno da Roma pensando che fosse tornata a Firenze «mentre veggo di presente la sua assenza e temo la continuazione... Ecco 'l giudizio human come spesso erra.»:
«Molto Ill.re Sig.ra Col.ma. Non saprei attribuire ad altro che alla mia mala ventura, che sempre mi traversa le cose più desiderate, un tanto dispendio di tempo quanto si è interposto tra la data della sua cortesissima lettera e 'l ricapito, in distanza non maggiore di 10 miglia; quella fu li 28 di Luglio, e questo li 7 d'Agosto, intervallo di 11 giorni e 11 notti: e quello che più mi travaglia è la contumacia nella quale sarò, per tutto questo tempo, incorso nell'animo di V. S., la quale, sapendo di havermi scritto, dal non veder risposta mi haverà sentenziato per un solenne villano; dove che io, non sapendo, né anca sperando o pretendendo, un tanto favore, non ho sentito in quei giorni altra afflizzione che quella della sua assenza: ma giuro bene a V. S. che 'l gusto repentino et inaspettato ha più che ricompensata la proroga degl' 11 giorni. Voglia Dio che 'l ritorno della mia risposta non sia altrettanto lento, onde il sinistro concetto della mia scortesia faccia tal presa nell' animo di V. S., che malagevolmente possa eradicarsi. Quando intesi in Roma l'eroica resoluzione intrapresa et effettuata da lei[4] formai tal, concetto del suo valore, che nulla più desideravo che di vederla; e credami che' questa fu una delle cause primarie che affrettò il mio ritorno, il quale forse harei prolungato qualche mese di più: ma perché oltre a una semplice vista havevo aggiunta la speranza di poter gustar della sua conversazione, stimando che ella fusse per stanziare in Firenze, giudichi hora V. S. quale io mi ritrovi, defraudato di un tale assegnamento, mentre veggo di presente la sua assenza e temo la continuazione, per quanto ritraggo dalle parole che va raccogliendo da i suoi intrinseci. Ecco 'l giudizio human come spesso erra. Assai men grave era la sua lontananza di 500 miglia, mentre io non l'haveva di presenza conosciuta, che questa di 10, dopo l' haverla veduta e sentita. Questo che dico di V. S., ha 'l medesimo riguardo al S. suo consorte,[5] esso ancora tornato in queste parti più desiderato che aspettato, al quale un eccesso di cortesia e di affezzione, evidentemente mostratami, mi haveva caldamente obbligato, sì come perpetuamente mi terrà; dalla conversazione del quale mi promettevo utile e diletto particolare. Hora non mi resta altra consolazione che quella che sentirò in servire amendue, mentre io venga honorato de i loro comandamenti, de i quali gli supplico con efficacia pari alla prontezza che troveranno in me in esequirgli; la quale conosceranno infinita, se bene in forze molto debili. Favoriscami di baciar le mani in mio nome al molto I. S. Ca.r suo consorte, al molto R. S. Can.co suo fratello, alla S.ra sua madre, et a tutti di casa sua; et il S. gli conceda il colmo di felicità. Da Bellosguardo, li 8 di Agosto 1630. Di V. S. molto I.»
Il timore dello scandalo
Non vi sono tracce di una successiva corrispondenza tra i due sino a una lettera di Galilei del 24 maggio 1640 dove elogia, pur essendo donna, l'intelligenza di Alessandra: «sì rare si trovano donne che tanto sensatamente discorrino come ella fa.»[6]
Negli anni seguenti Alessandra rispondendo a una lettera di Galilei del 27 marzo 1641 gli assicura che vorrebbe accettare i suoi inviti ma è costretta a respingerli per timore di dare scandalo mentre gli rinnova il suo desiderio di vederlo:
«Io delle volte tra me medesima vo stipolando in che maniera io potrei fare a trovare la strada innanzi che io morissi a boccarmi con Vostra Signoria e stare un giorno in sua conversazione, senza dare scandalo o gelosia a quelle persone che ci hanno divertito da questa volontà. Se io pensassi che V. S. si trovassi cho buona sanità, e che non gli dessi fastidio il viagiare in caroza, io vorrei mandare le mie cavalle e trovare un carozino acciò V.S. mi favorisi di venire a stare dua giorni da noi, adesso che siamo ne' buoni tenpi. Però la supprico a volermi favorire e darmi risposta, perché io subito manderò per lei, e potrà venire adagio adagio, e non credo che lei patissi...[7]»
L'ormai anziano scienziato nel rimpiangere di non poter accettare un ulteriore invito di Alessandra a visitarla a Prato le risponde di non poterla raggiungere «non solo per le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età, ma perché son ritenuto ancora in carcere, per quelle cause che benissimo son note» ma la invita a sua volta a venire ad Arcetri non curandosi di eventuali maligne conseguenze:
«Né mi opponga rispetto alcuno o sospetto o timore che mi possa per ciò sopraggiungere qualche turbolenza: perché in qualunque senso sia da terze persone ricevuto questo incontro o abboccamento, o sia giocondo o sia discaro, poco m'importa, essendo io assuefatto a soffrire e sostenere come leggerissimi pesi cariche molto più gravi.[8]»
L'ultima lettera di "non volontaria brevità"
Ella potrebbe consolarlo in questi ultimi giorni prima della morte, giorni «lunghissimi per il continuo ozio e brevissimi per la relazione ai mesi e agli anni decorsi, né altro mi resta di consolazione che la memoria delle amicizie passate, delle quali poche cose mi restano.»[9]
Le scriverà nuovamente Galilei, rispondendo a una lettera di Alessandra andata perduta, rinnovandole il suo affetto:
«Molt' Ill.re Sig.ra mia Oss.ma Ho ricevuto la gratissima lettera di V. S; molto Ill.re in tempo che mi è stata di molta consolatione, havendomi trovato in letto gravemente indisposto da molte settimane in qua. Rendo cordialisssime gratie a V. S. dell'affetto tanto cortese ch'ella dimostra verso la mia persona, e dell'ufficio di condoglienza col quale ella mi visita nelle mie miserie e disgratie. Per adesso non mi occorre di prevalermi di tela: resto bene con accresciute obbligationi alla gentilezza di V. S., la quale si compiace d'invigilare a gl'interessi miei. La prego a condonare questa mia non volontaria brevità alla gravezza del male; e le bacio con affetto cordialissimo le mani, come fo anco al S.r. Cav.re suo consorte. D'Arcetri, 20 Xbre 1641.[10]»
Questa lettera del 20 dicembre del 1641 di "non volontaria brevità" è il preannuncio della morte di Galilei che sopraggiungerà 15 giorni dopo nella notte dell'8 gennaio 1642 ad Arcetri, assistito da Viviani e Torricelli.
Note
^Paolo Scandaletti, Galilei privato, Gaspari editore, 2009 con prefazione di Margherita Hack
^«...Con tale occasione ricordo a V.S. le mie molte obbligazioni verso di lei, e per un piccolo saggio della memoria che io ne conservo, si compiacerà V.S. di gradire la mostra che io le invio di due fiaschi di vino della nostra cantina che più ampiamente desidera servire a V.S. personalmente.» (Lettera del 13 agosto 1636 in Le opere di Galileo Galilei, Volume 7, a cura di Eugenio Albèri, Soc. Ed. Fiorentina, 1852, p.139)
^Lettera del 28 luglio 1630 in Le opere di Galileo Galilei, Volume 9, a cura di Eugenio Albèri, Soc. Ed. Fiorentina, 1852, p.197
^Il fratello di Alessandra, Geri Bocchineri, aveva scritto il 18 maggio 1630 a Galilei del rischioso viaggio che la sorella aveva fatto provenendo da Neuburg:«havendo saputo sfuggire in soli diciotto giorni di viaggio li mali incontri della guerra e della peste, con meraviglia di chiunque l'ha qui saputo» (in AA.VV. Le opere di Galileo Galilei, Volume 14, ed. G. Barbera, 1968, p.100)
^Con Buonamici Galilei aveva avuto uno scambio di lettere su questioni scientifiche.
^Lettera del 27 marzo 1641 in Antonio Banfi, Galileo Galilei, Il Saggiatore, 1961, p.224
^Arcetri, 6 aprile 1641 in Le opere di Galileo Galilei, Volume 9, a cura di Eugenio Albèri, Soc. Ed. Fiorentina, 1852, p.364
^Lettera del 16 aprile 1640 a padre Benedetto Castelli a Roma in Le opere di Galileo Galilei, Volume 7, a cura di Eugenio Albèri, Soc. Ed. Fiorentina, 1852, p.259
^Lettera del 20 dicembre 1641 in Commercio epistolare di Galileo Galilei, Volume 2. a cura di Eugenio Albèri, p.401