Il cocomero è una pianta annuale, con fusto erbaceo rampicante, foglie grandi e pelose con tre lobi, fiori maschili e fiori femminili, frutto voluminoso rotondo oppure ovale; il peso varia da 10 a 20 kg.
Il frutto è una falsa bacca (peponide), assai massiccio; la crosta è liscia, dura e relativamente sottile, di colore verde con varie striature e chiazze più chiare, bianche o giallastre; l'interno è di colore rosso (o, meno frequentemente, giallo, arancione o bianco a seconda della varietà) e ricco di semi, che possono essere neri, bianchi o gialli[6][7]. La polpa è costituita per oltre il 90% di acqua e contiene anche un discreto quantitativo di zuccheri, soprattutto fruttosio, e vitamine A, C (8,1 mg per 100 g di frutto), B e B6[8].
Al 2008 esistono più di 1200[10]cultivar di cocomero che producono frutti di peso variabile tra meno di 1 kg e più di 90 kg; la polpa può essere rossa, arancione, gialla o bianca[7]. In Italia e Giappone sono stati prodotti cocomeri dalla forma cubica o piramidale; la forma inusuale viene ottenuta facendo crescere i frutti all'interno di recipienti di vetro in modo da fargli assumere la forma del contenitore[11][12].
Il nome melone d'acqua o mellone d'acqua (la specificazione serve per distinguere questa pianta dal mellone di pane, Cucumis melo) diffuso in Italia meridionale[18], deriva dal francesemelon d'eau, a sua volta dal latino mēlōne(m).
In Sardegna viene anche usato il nome sardosíndria o sandia, vocaboli derivanti rispettivamente dal catalanosíndria e dallo spagnolosandía, a loro volta provenienti dall'arabo سِنْدِيَّة sindiyya, dal sanscrito सिंधु sindhu "regione del Sindh"[19].
Il tipo pateca, comune in Liguria, deriva dal francese pastèque, a sua volta dal portoghesepateca, dall'arabo بطيخه baṭīḫa "cocomero".
In tutto il Salento è conosciuto come sarginiscu (saracinesco), come riportato dal vocabolario dei dialetti salentini di Gerhard Rohlfs.
Zipangolo (zuparacu, pizzitangulu) della Calabria non hanno un'etimologia certa. Il termine Zipangolo potrebbe provenire da Zipangu o Cipango, l'antico nome del Giappone, area di notevole diffusione del frutto. Zuparacu, usato specialmente della provincia di Catanzaro, viene da alcuni spiegato come "lo zio parroco", con riferimento alle lunghe file ordinate e rettilinee dei semini neri, che ricordano i bottoni delle tuniche sacerdotali.
Citrullus lanatus var. albidus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus f. amarus (Schrad.) W.J.de Wilde & Duyfjes
Citrullus lanatus var. caffer (Schrad.) Mansf. ex Fursa
Citrullus lanatus var. caffrorum (Alef.) Fosberg
Citrullus lanatus var. capensis (Alef.) Fursa
Citrullus lanatus subsp. cordophanus Ter-Avan.
Citrullus lanatus var. cordophanus (Ter-Avan.) Fursa
Citrullus lanatus var. fistulosus (Steward) Babu
Citrullus lanatus var. lanatus
Citrullus lanatus var. minor (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus subsp. mucosospermus Fursa
Citrullus lanatus f. nigroseminius (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. oblongus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. pulcherrimus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. pumilus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. rotundus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. senegalicus Fursa
Citrullus lanatus var. shami (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. variegatus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. virgatus (Chakrav.) Maheshw.
Citrullus lanatus var. viridis (Chakrav.) Maheshw.
Storia
David Livingstone, famoso esploratore dell'Africa, riportò che la pianta del cocomero cresceva abbondante nel deserto del Kalahari, dove sembra che esso abbia avuto origine. Lì il frutto cresce selvatico ed è conosciuto come tsamma (Citrullus lanatus var citroides). La pianta è riconoscibile per le sue foglie particolari e per l'elevato numero di frutti che produce, fino a cento per ogni esemplare. Per questa ragione è una fonte di acqua abituale per gli abitanti della zona, oltre a fungere da cibo sia per gli uomini sia per gli animali.
Non è dato sapere quando il cocomero sia stato coltivato per la prima volta, ma il primo raccolto a essere stato registrato è documentato in alcuni geroglifici nell'Antico Egitto e avvenne quasi 5000 anni fa. Il frutto veniva spesso deposto nelle tombe dei faraoni come mezzo di sostentamento per l'aldilà. Nella mitologia egizia il cocomero aveva origine dal seme del dio Seth.
Nel X secolo d.C. il cocomero era coltivato in Cina, attuale primo produttore mondiale[22].
Presso i beciuani[23] la pianta è conosciuta con il nome di lerotse ed è considerata sacra, con foglie purificanti. Come scrive James George Frazer ne Il ramo d'oro[24] fra i beciuani è d'obbligo purificarsi prima di consumare i nuovi raccolti. La purificazione avviene in gennaio, all'inizio del nuovo anno, in un giorno stabilito dal capo tribù: tutti i maschi adulti tengono le foglie del lerotse in mano e le schiacciano, ottenendone un succo che applicano agli alluci e all'ombelico; poi ciascuno di essi si reca alla propria abitazione e spalma tutti i membri della propria famiglia con questo succo. Solo dopo che questa purificazione è stata completata, la gente è libera di mangiare i nuovi raccolti.
In Italia, il cocomero si mangia in genere tagliato a fette o in macedonia. Nei paesi tropicali si mangia spesso tagliato a cubetti e servito su un vassoio assieme ad altri tipi di frutta, come ananas, mango o papaya.
Note
^abccocómero, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 26 luglio 2015.
^ Franco Montanari, Vocabolario della lingua greca, Torino, Loescher, 1995.
^ab Amalía Kolṓnia e Massimo Peri, Greco antico neogreco e italiano, Bologna, Zanichelli, 2008, p. 162.
^Ad esempio a Taranto è chiamato "məlónə all'àcquə", cfr. Nicola Gigante, Dizionario della parlata tarantina, Mandese editore, Taranto, 2002, pag. 500.