Il toponimo Celle di San Vito è da ricondurre alla presenza, nel Duecento, di un cenobio[6] utilizzato come residenza estiva dai monaci benedettini del convento di San Nicola e dal piccolo santuario dedicato a San Vito situato sull'omonimo monte che sovrasta il paese.
Storia
Sorta intorno al 1300, Celle di San Vito perse la propria autonomia fin dal 1440 quando venne annessa alla baronia della Val Maggiore, che comprendeva anche Castelluccio e Faeto.
La baronia appartenne, nel corso dei secoli, a diversi casati, fra i quali spiccano i Carafa e i Caracciolo; sarà soltanto agli inizi dell'Ottocento che, abolito il feudalesimo, il comune riacquisterà la piena autonomia.[7]
A sud del centro abitato, presso il confine con Faeto, vi è lo storico casale San Vito, situato alle falde del monte omonimo. Il casale è ubicato lungo il tratturello Camporeale-Foggia, il cui percorso ricalca quello dell'antica via Traiana e della medievale via Francigena. Nei pressi è possibile ammirare il Castiglione, un'altura scoscesa sulla quale sorgeva, in epoca medievale, una grande fortezza: il castello di Crepacore (Castrum Crepacordis secondo i documenti dell'epoca). Sebbene il casale San Vito fosse situato in territorio di Faeto, la chiesetta omonima era tenuta dal clero di Castelluccio; tuttavia, a partire dal 1890, il comune di Celle di San Vito ottenne il pieno diritto a gestire sia la chiesetta (poi crollata agli inizi del Novecento) che la festa annuale di San Vito, soppressa dal 1955. Il comune di Celle di San Vito si è impegnato per la ricostruzione della chiesetta[9], completata intorno al 2015.
Il comune costituisce insieme alla vicina Faeto la cosiddetta "Daunia arpitana", che costituisce l'unica isola linguistica francoprovenzale dell'Italia peninsulare. L'impiego della lingua francoprovenzale, originaria delle Alpi nord-occidentali, è attestato dal 1566, ma probabilmente risale alle incursioni angioine in Italia meridionale, compiute nel XIII secolo. Infatti tra la fine del 1274 e l'inizio del 1275, Carlo d' Angiò raccolse una comunità francoprovenzale all'interno della fortezza svevo-angioina, in opposizione all'insediamento musulmano di Lucera creato precedentemente da Federico II. Fu forse proprio questa compresenza scomoda a spingere le circa 140 famiglie francoprovenzali ad abbandonare Lucera e a stabilirsi nell'alta valle del Celone, dove si accamparono tra i faggeti (Faeto) e nei vani abbandonati del convento di San Nicola, le cellette, da cui il toponimo Celle[11].
L'impiego del francoprovenzale è stato di gran lunga prevalente sino al primo Novecento e ancora negli anni ottanta vi erano alcuni abitanti monolingui. Dal 1999 lo stato italiano riconosce ufficialmente e tutela la minoranza linguistica francoprovenzale di Celle e Faeto.
In particolare, la legge 482 del 15.12.1999, ha riconosciuto la tutela delle minoranze linguistiche presenti in Italia, fra le quali la minoranza francoprovenzale. L'amministrazione comunale di Celle di San Vito, con i finanziamenti previsti dalla legge, ha istituito lo "sportello linguistico" per la salvaguardia e conservazione del patrimonio linguistico locale. Alcune ricerche e conferenze hanno portato alla pubblicazione di una brochure e del libro "Progetto francoprovenzale" e alla realizzazione di un calendario in francoprovenzale.
Cultura
Celle di San Vito ospita il Museo della civiltà contadina francoprovenzale. Situato all'interno dell'antico palazzo comunale, espone circa 2000 oggetti tipici della cultura agro-pastorale locale.[12]
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.