«Allora per sette giorni, libero da malessere del corpo, egli sedette contemplando la propria mente e i suoi occhi non ammiccavano mai; il saggio, riflettendo che in quel sito aveva raggiunto il "Risveglio", realizzò il desiderio del suo cuore»
Origine del termine e sua resa in altre lingue orientali
Il termine bodhi è derivato dalla radice verbale budh (risvegliarsi, apprendere, capire), corrispondente al verbo budhyate (sanscrito; bujjhati in lingua pāli). Stessa etimologia ha la parola Buddha (il "risvegliato").
Tale termine possiede tre rispettive rese nelle altre lingue orientali:
Bodhi e la sua traduzione nelle lingue occidentali con i termini di "illuminazione" e "risveglio"
Nel XIX secolo, in particolare in ambienti intellettuali legati alla Società Teosofica, è invalso in Occidente l'uso di tradurre bodhi con "illuminazione" e così viene tradotto tuttora nelle principali lingue europee.
«Coerentemente con il concetto diffuso in Asia meridionale e orientale, secondo il quale la verità finale viene appresa grazie a una "vista" straordinaria (per cui si parla, dal punto di vista religioso, di "vista interiore" o "visione"), l'illuminazione è spesso descritta come un'esperienza nella quale si "vedono" le cose come sono realmente e non più come esse appaiono. Aver raggiunto l'illuminazione significa aver visto attraverso la fuorviante trama di illusione e ignoranza, e attraverso l'oscuro velo della comprensione abituale, la luce e la chiarezza della verità stessa. Il termine illuminazione solitamente traduce la parola sanscrita, pāli e pracritica bodhi che in senso generale significa "saggio, intelligente, pienamente conscio". Di conseguenza, bodhi sta anche a indicare una certa "luminosità" (altro tema visivo) della coscienza individuale.»
Robert M. Gimello[2] ritiene invece che la traduzione con "illuminazione" del termine sanscritobodhi possa condurre a dei fraintendimenti e che quindi il termine "risveglio" vada raccomandato al suo posto.
La bodhi rappresenta in ambito buddista la mèta del percorso religioso. Nel primo buddismo questa mèta veniva indicata con il sostantivo maschile sanscritomokṣa (liberazione) [3] ripreso dalle prime Upaniṣad[4] termine poi progressivamente sostituito con quello di bodhi per indicare un analogo significato, ovvero la liberazione dal saṃsāra, il ciclo delle rinascite [5].
Nel panorama delle differenti scuole buddiste, e delle rispettive dottrine, l'ottenimento della bodhi acquisisce differenti contenuti e significati, così come sono differenti i percorsi da intraprendere per la sua realizzazione.
Questa "illuminazione", propria degli sāvaka (pāli; sanscritośrāvaka; 'uditori') è identica, sempre per la scuola Theravāda, anche per i pacekkabuddha (pāli; sanscritopratyekabuddha; 'buddha solitari') e gli stessi buddha.
Non c'è quindi differenza nella qualità della bodhi tra sāvaka, pacekkabuddha e buddha; la differenza tra questi è piuttosto nel fatto che solo i buddha sono in grado di insegnare la 'dottrina', il Dhamma (pāli; sanscritoDharma) al termine del loro percorso di bodhisatta (pāli; sanscritobodhisattva) avendo realizzato lo stato di buddha perfetti (pālisammāsambuddha; sanscritosamyaksaṃbuddha).
La realizzazione della bodhi, e conseguentemente dello stato di arahant e l'ingresso nel nibbāna, avviene quando vengono estinte in modo definitivo tutte le passioni (pālikilesa; sanscritokleśa) e gli attaccamenti (pālitaṇhā ; sanscritotṛṣṇā) e le loro cause. La mente è così liberata dalle tre impurità (pāliasava; sanscritoāsrava): quella dei sensi, del divenire e dell'ignoranza, causa delle infinite rinascite nel samsāra (pāli; sanscritosaṃsāra). L'arahant così liberato non rinascerà più in quanto le sue azioni non hanno più frutto karmico.
Tale considerazione si fonda sul fatto che tali scuole non accolgono come canonici i sutra mahāyāna rifiutando le dottrine lì riportate.
D'altro canto questi sutra mahāyāna, in particolar modo i Prajñāpāramitā sūtra e il Sutra del Loto, non pongono al centro dell'insegnamento del Buddha Śākyamuni la dottrina delle Quattro nobili verità, considerata una dottrina hīnayāna (del "Veicolo inferiore" contrapposto alle dottrine Mahāyāna ovvero del "Grande Veicolo").
Per le scuole del Buddismo dei Nikāya e nel Buddismo Theravāda invece la dottrina delle Quattro nobili verità è centrale per la realizzazione della bodhi risultando invece le dottrine mahāyāna come non 'autentiche' (mai insegnate dal Buddha Śākyamuni) e, in ultima analisi, non utili per la realizzazione del "risveglio".
Secondo i buddisti mahāyāna invece solo la comprensione delle dottrine mahāyāna, con particolare riguardo a quella della vacuità (sanscritośunyātā, assenza di sostanzialità inerente a tutti i fenomeni) unitamente a quella dell'anātman (assenza di sostanzialità inerente nel percettore dei fenomeni), può portare alla realizzazione della "saggezza onnicomprensiva" (sarvajñatā) e quindi alla bodhi. Per realizzare il "risveglio" non è sufficiente quindi, per i mahāyāna, estinguere la passioni, gli attaccamenti e le loro cause, che anzi nel quadro di queste dottrine radicalmente olistiche sono identiche alla "illuminazione", ma occorre piuttosto 'comprendere' la natura della realtà e la causa dei fenomeni. Per questa ragione il Buddha Śākyamuni, invitato ad esporre nel II capitolo del Sutra del Loto la verità profonda che conduce alla bodhi, la esprime con la dottrina del tathātā (sanscrito; la "talità" ovvero "come le cose sono") e non con la dottrina delle Quattro nobili verità.
Nel Buddismo Mahāyāna la bodhi completa si raggiunge quindi entrando nel veicolo dei bodhisattva (bodhisattvayana) praticando le pāramitā e percorrendo le dieci terre dei bodhisattva (sanscritodaśabhūmi) fino al "risveglio" finale. A questo percorso progressivo si aggiunge un altro percorso che si fonda sulla "illuminazione improvvisa" (in lingua cinese 頓教 dùnjiào) tipica ad esempio della scuola buddista cineseChán e del suo corrispettivo giapponese, il Buddismo Zen.
A questo quadro di dottrine e pratiche fondate sulle pāramitā, il Buddismo Mahāyāna Vajrayāna aggiunge e predilige degli insegnamenti "esoterici" denominati tantra aventi lo scopo di realizzare "in questo corpo e in questa vita" il profondo "risveglio" spirituale.
^Cfr. in Encyclopedia of Religion NY, MacMillan, 2005, vol. 5 pagg.2792-3 e in Enciclopedia delle Religioni Milano, Jaca Book, 2004, vol.10 pagg. 293-4.
^Encyclopedia of Buddhism NY, MacMillan, 2004, pag.50.
^Analogo al sostantivo femminile, sempre sanscrito, mukti, quindi da muc, liberare.
^A. M. Esnoul in Enciclopedia delle Religioni vol.9, Milano, Jaca Book, pag.250.
^A. M. Esnoul in Op.cit. pag.250, nota come invece nei Veda e nei loro commentari Brāhmaṇa non si riscontra alcuna indicazione di liberazione dal saṃsāra quanto piuttosto il godimento (bhukti) della vita terrena. È quindi solo con le prime Upaniṣad (IX secolo a.C.) che si avvia la riflessione teologicaindiana sulla sofferenza nel mondo e sulla necessità di un percorso di liberazione da essa. E questo corrisponderebbe all'avvio del periodo assiale individuato da Karl Jaspers.
Bibliografia
Rupert M. L. Gethin. The Buddhist Path to Awakening: A Study of the Bodhi-Pakkhiya Dhamma. Oxford, Oneworld, 2001.
Gregory Peter N. (a cura di). Sudden and Gradual: Approaches to Enlightenment in Chinese Thought. Honolulu, University of Hawaii Press, 1987.
David S. Ruegg. Buddha-nature, Mind, and the Problem of Gradualism in Comparative Perspective: On the Transmission and Reception of Buddhism in India and Tibet. London, School of Oriental and African Studies, 1989.