Nacque a Venezia il 3 novembre 1872, figlio di Abramo e Sara Nina Levi.[N 1][1]
Nel 1886, all'età di 14 anni si arruolò nella Regia marina iniziando a frequentare la Regia Accademia Navale di Livorno, da dove uscì con il grado di guardiamarina nel 1891.[2] Durante gli anni di accademia fu oggetto di alcuni episodi di antisemitismo: senza motivo, fu posto agli arresti e privato dei galloncini di capoclasse, e poi dovette subire l'ostilità di un cappellano quando quest'ultimo seppe del suo credo religioso.[1][2]
Dopo l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi, il 16 ottobre 1943 il quartiere del ghetto fu rastrellato, e 1259 cittadini di religione ebraica furono arrestati dalle SS.[6] Tra queste vi era anche lui, ormai anziano, vedovo e semiparalizzato, amico personale di Mussolini, e fedele alla dittatura.[6] Quando i nazisti entrarono nella sua villa, dove viveva con la sorella, stava scrivendo il suo diario, in divisa e con tutte le decorazioni.[6] I soldati non sentirono alcuna ragione, e gli diedero solo il tempo di raccogliere i suoi effetti personali per poi portarlo via.[6] Capon, serafico, lasciò stare i suoi averi, si sedette di nuovo sulla sua scrivania, si mise alla macchina per scrivere, e scrisse le seguenti parole: è allora vero, come scrisse Carducci, che la nostra patria è vile?[6]
Fatto salire di peso su di un camion militare[5] e portato presso il Collegio Militare di Roma, dopo un breve periodo di detenzione, il 18 ottobre fu fatto salire su un treno insieme a molte altre persone. Uno di loro diede testimonianza di questo viaggio con destinazione Auschwitz: Fra noi si trovava l’Ammiraglio a riposo Capon di Venezia, che mostrò una lettera di Mussolini, credendo che un tal documento gli guadagnasse qualche favore. […] Egli ci diceva: “Noi andiamo alla morte”. Nessuno voleva crederlo. L'Ammiraglio diceva anche: “Voi non conoscete i tedeschi, io li ho già visti durante la prima guerra mondiale'. L'Ammiraglio mi dettò il suo testamento; sua figlia era sposata con lo scienziato Enrico Fermi, che lavorava alle ricerche atomiche negli Stati Uniti.[7]
Il 23 ottobre 1943 il convoglio raggiunse il campo di sterminio, dove per l'età e la malattia Capon venne avviato direttamente alle camere a gas.[1] Gli sopravvisse sua figlia Laura, che era espatriata col marito Enrico Fermi negli Stati Uniti nel 1938.
«Comandante di esploratore, eseguiva nel basso ed alto Adriatico numerose missioni di guerra, dando prova in ogni circostanza di sereno ardimento, perizia e belle virtù militari.»
Da Trieste a Valona. Il problema adriatico e i diritti dell'Italia, con lo pseudonimo di Adriacus, Alfieri & Lacroix, Milano, 1918.
Note
Annotazioni
^Era cugino primo di Carlo Pincherle, padre dello scrittore Alberto Moravia, e la famiglia era imparentata che con la madre dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.
^Scrisse così nella sua biografia, rimasta inedita, e riportata nel libro di Cecini: La discriminazione, che secondo i primi intendimenti doveva pareggiare gli ebrei discriminati agli ariani, divenne invece una lustra, che non favorisce che i grandi possessori di beni immobiliari. Tutto ciò non fa onore all'uomo [Mussolini, ndA], al quale io rimasi fedele per amor di Patria, malgrado che questi bestiali provvedimenti mi colpissero nella mia dignità di uomo e di soldato, dopo una lunga carriera dedicata sempre al servizio del mio paese.
Matteo Stefanori, Ordinaria amministrazione. Gli ebrei e la Repubblica Sociale Italiana, Bari, Laterza, 2017.
Arminio Wachsberger e Liliana Picciotto Fargion (a cura), Testimonianza di un deportato da Roma, in L’occupazione tedesca e gli ebrei di Roma. Documenti e fatti, Roma, Carucci, 1989.