Adriana Pincherle, sorella maggiore dello scrittore Alberto Moravia, proveniva da una famiglia di alta borghesia di origini ebraiche da parte del padre, l'ingegnere civile Carlo Pincherle, e cattoliche da parte della madre Isa De Marsanich.[1]
Fin da piccola, Pincherle dimostrava una particolare scintilla di interesse per la pittura ad acquerelli di suo padre, e fu probabilmente allora che nacque in lei la sensibilità per l'arte e i colori.[1] Dunque, dopo aver terminato gli studi classici, iniziò a frequentare l'atelier ‘per signorine’ di Alfredo Petrucci e si iscrisse alla scuola libera del nudo all'Accademia di Roma.[1] Durante i suoi studi conobbe Mimmo Spadini e Scipione, grazie ai quali riuscì ad aprirsi strada nell'ambiente artistico romano.[2]
Carriera
Esordì nel 1931 presso la mostra artistica collettiva “Prima mostra romana d'arte femminile” alla Galleria di Roma, dove per l'occasione venne notata da Roberto Longhi.[1][2] Nel 1932, presso la stessa galleria, espose una sua opera personale insieme a Corrado Cagli, la quale fu notata da Longhi[1] e la rese la prediletta tra i due artisti.[3] La crescita personale ed educativa della Pincherle era dovuta al suo interscambio degli studi tra la Scuola Romana e la scuola dei pittori del gruppo di Via Cavour, ma la sua maturazione nel campo della ricerca pittorica e del suo stile ebbe inizio con il suo soggiorno a Parigi nel 1933.[1]
Dopo essersi recata nuovamente a Firenze, nel 1933 Pincherle fece la sua prima comparsa alla Sala d'arte delle Nazioni e alla Galerie de la Jeune Europe a Parigi. Fece conoscenza dei fondatori del gruppo “I sei di Torino”, che fu lo stimolo per l'avvio alla sua rielaborazione dell'arte francese.[1] Nel triennio tra il 1934 e il 1936 l'artista si dedicò all'esposizione dei suoi lavori, tra cui nel 1934 l'Exhibition of Contemporary Italian Art negli USA, nel 1935 alla II Quadriennale e nel 1936 alla galleria La Cometa.[2] Negli anni seguenti espose a diverse mostre a Roma, Firenze, Milano e Venezia, tra cui alla Galleria del Vantaggio di Roma nel 1955, presentata da Roberto Longhi per rappresentare la sua crescita artistica attraverso il suo percorso.[1]
Durante gli anni della seconda guerra mondiale iniziò a esperimentare con la tecnica della tempera.[4] Venne particolarmente influenzata dal movimento artistico dell'Impressionismo e gli stili dei Fauves, Renoir e Matisse.[2]
La pittrice era solita non firmare i suoi lavori fino al momento della loro vendita o esposizione.[4]
Continuò a dipingere nonostante la morte del marito nel 1966 fino ai suoi ultimi giorni di vita.[1] nonostante le sue perdite di memoria.[4] Morì in seguito a degli attacchi di cuore l'8 gennaio 1996.[3]
Vita privata
Durante gli anni tra il 1934 e il 1936 conobbe il pittore Onofrio Martinelli a Genova, il quale sposò nel 1934.[1] Pincherle e Martinelli si trasferirono a Firenze nel 1934 presso la sua dimora.[1] Con l'arrivo della Seconda Guerra Mondiale e delle discriminazioni razziali, la Pincherle fu costretta a nascondersi a causa delle sue origini ebraiche in cittadine tra cui Bibbiena, Vallombrosa e Taranto.[1] Dopo la liberazione, la coppia dette inizio alla sua serie di viaggi annuali a Parigi in perpetua ricerca di opere contemporanee francesi.[1]
Particolarità e caratteristiche dello stile
Adriana Pincherle mostrava una certa preferenza per la realizzazione di ritratti,[1] oggi in gran parte raccolti presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze. Tra i ritratti più noti, quello del prefetto e scrittore, Raffaele Lauro, dipinto a Firenze nel 1990. Ammette anche di ‘divertirsi’ di più con le tempere invece che con la pittura ad olio.[3] Inoltre, aveva una preferenza per l'interscambio tra tecniche di pittura.[4]
Nel suo stile caratterizzato dai colori accessi si possono riconoscere gli omaggi alle opere di Scipione, la pennellata guizzante tipica di Carlo Levi e altre tecniche tratte da pittori che la suggestionarono nel 1933 tra cui Soutine, Pascin, Chagall e Derain.[3] Un'altra fonte di ispirazione per la pittrice fu suo padre e il suo stile ad acquerelli, il quale era stato ispirato a sua volta da quello Monet. “Passavo delle ore a guardarlo dipingere, mi affascinava”.
^abcdOstuni, Giustina. Adriana Pincherle Tempere. Livorno: S I L L a B E, 2001. Print.
Bibliografia
Pincherle and Pacini. Twentieth-century women painters in Florence / Pittrici del Novecento a Firenze, catalogo della mostra, a cura di Lucia Mannini e Chiara Toti, The Florentine Press, Firenze 2016.