L'attribuzione dell'inno a Tommaso d'Aquino era stata precedentemente messa in dubbio da alcuni studiosi,[2] mentre ricerche più recenti hanno messo a tacere tali perplessità.[3] Probabilmente, Tommaso la utilizzò anche come preghiera privata, per l'adorazione quotidiana del Santissimo Sacramento.[3]
A differenza degli inni che furono composti e musicati per la solennità del Corpus Domini del 1264, l'Adoro te devote non fu scritto per una funzione liturgica e non compare in nessun testo liturgico dell'epoca, al punto che alcuni studiosi ritengono che sia stato scritto dal frate per la messa da recitarsi ad uso privato.[5]
Dopo la riforma del Concilio Vaticano II, l'inno fu collocato all'inizio della celebrazione eucaristica e fu per la prima volta stabilita una versione critica definitiva del testo. La chiesa cattolica scelse di adottare l'edizione critica di dom André Wilmart, pubblicata nel 1932.[6][7]
Tuttavia, nel rito romano l'inno non è attribuito ad alcuna festività religiosa.[8] Nel messale promulgato da papa Giovanni XXIII nel 1962, l'Adore te devote è elencato nelle preghiere per ottenere l'indulgenza.[9] Fu il primo caso ufficiale nel rito romano di un inno associato all'indulgenza e che fu soppresso dal messale del 1969.[10]
Ancora alla fine degli anni '80 l'inno risultava di notevole interesse per gli organisti sia come brano per organo che come mottetto accompagnato dall'organo. Olivier Messiaen lo collocò all'inizio del suo Le Livre du Saint-Sacrement, pubblicato nel 1984.[11]
Il 24 dicembre 2004, papa Giovanni Paolo II citò l'Adoro te devote nell'omelia di quella che fu la sua ultima messa di mezzanotte.[12] Nello stesso anno, il Pontefice firmò con mano tremante una cartolina che recitava: "Adoro te devote [...] in nativitate Domini 2004".[13]
A tal visione io sia beato della tua gloria. Così sia.
Storia
L'attribuzione dell'Adoro te devote è stata spesso messa in dubbio o contestata a più riprese nel corso dei secoli.[21][22]
Nonostante le conferme e le raccomandazioni di diversi papi, l'uso dei testi di Tommaso d'Aquino nel Rito romano non fu accertato fino al XV secolo, in particolare dopo l'approvazione da parte di Sisto IV († 1484) della sequenza Lauda Sion, da citarsi in occasione del Corpus Domini. Sussiste quindi una notevole difficoltà nell'identificare l'autore dai manoscritti. In mancanza di autografi di questo Dottore della Chiesa, l'inserimento nel rito romano fu operato sulla base della tradizione testuale e letteraria dei manoscritti, nonché sul confronto con le dottrine presentate nelle sue opere teologiche.[23] In tale contesto, nel 1929, Dom Henri-Marie-André Wilmalt, dopo aver studiato in dettaglio l'inno, non fu in grado di pervenire ad una conclusione definitiva.[24] L'anno successivo, Auguste Gaudel insistette che il pensiero dell'autore espresso in corrispondenza della seconda strofa (al verso "Visus, tactus...") era diverso da quello presentato nella terza parte della Summa Theologiae.[24]
Contrariamente a Wilmart e a Gaudel, il tomista domenicano Jean-Pierre Torrell confermò la paternità di san Tommaso sulla scorta degli elementi di seguito riportati:
il testo completo si trova nella quarta versione della Ystoria sacti Thome (Storia di San Tommaso) di Guglielmo di Tocco[22], che fu la prima biografia del teologo;
a differenza degli altri inni attribuiti al Dottore angelico, la poesia fu citata in un manoscritto del XIV secolo secondo cui frate Tommaso la pronunciò sul letto di morte[25],
una poesia di Jacopone da Todi, datata tra il 1280 e il 1294, contiene le stesse parole, di cui si può considerare una parafrasi[25];
la singolare frase cuius una stila (una sola goccia, nella VI strofa) e il simbolismo del pellicano sono presenti anche in altre opere di questo Dottore della Chiesa.[26]
Nel 2016, il professor Henk JM Schoot chiarì che la maggior parte dei 51 manoscritti più antichi citava Tommaso come unico autore, mentre nessun manoscritto indicava un autore differente da lui.[27] Molti di essi erano ricollegati al periodo napoletano[28] nel quale era nata la vocazione domenicana del frate e dove si era costantemente manifestata fino alla morte la sua fervente preghiera presso la cappella di san Nicola.[29] La data di composizione risulta coerente con quella del dogma della transustanziazione (e non della trasformazione[30]) sancito dal Concilio Lateranense IV del 1215. Secondo Schoot, è probabile che l'Adoro te devote fosse stato concepito originariamente come preghiera personale.[31] Il Canterbury Dictionary of Hymnology datò la composizione intorno al 1260 a Parigi, quando Tommaso d'Aquino si dedicò allo studio dell'Eucaristia.[28] Diversi studiosi come Martin Grabmann, sostengono che la teologia eucaristica tomista è presentata in quest'inno.[32]
A parte l'estromissione immotivata dell'inno dall'edizione critica della Commissione Leonina, i teologi concordano in prevalenza sulla paternità di san Tommaso, che è anche detto doctor eucharisticus.[33] Del resto, non risulta agevole individuare un'ipotesi alternativa. Nel 2016, anche il teologo Henk Schoot concluse che egli era quasi certamente l'autore.[34] Analoga determinazione fu effetuata dalla Biblioteca nazionale di Francia.[35]
La versione originale non è ancora stata ripristinata, dato che il testo in uso è ancora l'edizione critica di Dom André Wilmart.[36][37] Infatti, le sillabe e gli accenti del primo verso mancano di coerenza con gli altri. Poiché è improbabile che Tommaso d'Aquino abbia commesso questo tipo di errore, Schoot propone come prima strofa Te devote laudo, latens veritas[36], affermando che il testo fu modificato dopo la morte di Tommaso.
Adoro te Domine come preghiera dell'Adorazione della Croce
Prima dell'Adoro te devote esistevano numerose varianti intitolate Adoro te, quali l'Adoro te domine Iesu Christe in cruce ascendentem[38][39], risalente all'età carolingiae riservato all'adorazione della Croce, in particolare nel Venerdì Santo.[39] A partire al XIII secolo, questa preghiera per la Croce fu integrata con quella dell'elevazione eucaristica, rendendone l'uso comune. L'Adoro te devote fu introdotto nella liturgia sotto l'influenza dell'Adoro te Domine.[38]
Durante il Rinascimento
Al 2015, Jean-Pierre Torrell risultava a conoscenza di soli tre manoscritti dell'inno risalenti al XIV secolo[6], segno che la diffusione dell'opera rimase scarsa fino a quello successivo.
A partire dalla fine del XV secolo, nuovi inni iniziarono ad occupare il ruolo precedentemente svolto dall'Ave verum corpus. L'Adoro te devote entrava sempre più a far parte del repertorio, insieme all'O salutaris Hostia e al Panis angelicus, sia come preghiera devozionale che per l'elevazione eucaristica[21] che per l'adorazione del Santissimo Sacramento.
Dopo la Controriforma
Con il Concilio di Trento, la Chiesa Cattolica riformò la propria liturgia. L'inno fu aggiunto per la prima volta al messale romano del 1570, pubblicato durante il pontificato di san Pio V. In esso compariva come preghiera di ringraziamento finale recitata dal celebrante per l'azione della grazia.[40][10][41]
Se la tradizione afferma che fu il Pontefice stesso[40] - che proclamò Tommaso Dottore della Chiesa - a disporre questo inserimento, tuttavia non è noto quale documento specificasse questa attribuzione. Resta che la Controriforma riscoprì quest'inno dimenticato. Nel 1872 William Edward Scudamore scrisse di non aver trovato alcun messale antecedente il 1570, che contenesse l'Adoro te devote.[42] Ciò confermerebbe la data di approvazione formale da parte della Santa Sede.
Composizione musicale
Quanto alla composizione musicale, il repertorio di questo inno rimase veramente modesto, a differenza di altri mottetti di elevazione. Essendo il testo riservato ai celebranti, l'interesse dei musicisti rimase limitato. Poiché il celebrante non canta dopo il termine della Messa, alcuni compositori indicarono l'inno come adatto per il momento dell'elevazione eucaristica.
È nota un'unica composizione rinascimentale: un mottetto di Gregor Aichinger, pubblicato nel 1607, che differiva per il primo verso (Adoro te supplex, latens Deitas).[43]
Fino alla prima metà del novecento, il canto eucaristico dell'Adoro Te devote poteva essere seguito da questa preghiera di ringraziamento a Gesù Cristo, al termine della celebrazione eucaristica:
(LA)
«Obsecro Te, dulcissime Domine Jesu Christe, ut passio tua sit mihi virtus qua muniar atque defendar: vulnera tua sint mihi cibus potusque quibus pascar, inebrier atque delecter; aspersio sanguinis tui sit mihi ablutio omnium delictorum meorum; resurrectio tua sit mihi gloria sempiterna. In his sit mihi refectio, exultatio sanitas et dulcedo cordis mei. Qui vivis et regnas in saecula saeculorum. Amen.»
(IT)
«Ti prego, dolcissimo Signore Gesù Cristo, che la tua passione sia per me forza da cui io possa essere rafforzato, protetto e difeso: possano le tue ferite essere per me cibo e bevanda di cui io possa essere nutrito, inebriato e deliziato; possa l'aspersione del tuo sangue essere per me un'abluzione per tutti i miei peccati; possa la tua morte essere per me gloria sempiterna, e possa la tua croce essere per me gloria eterna. In questi sii il mio ristoro, la gioia, la salute e la gioia del mio cuore: tu che vivi e regni per sempre. Amen.»
L'11 dicembre 1846 papa Pio IX accordò tre anni di indulgenza plenaria per chi avesse recitato questa preghiera.[44] L'indulgenza parziale[45] resta in vigore anche dopo la soppressione della preghiera dal messale del 1969.
L'inno è composto da 28 versi, con una rima accoppiata. I primi 14 versi terminano in consonante e i successivi 14 in vocale. I versi sono endecasillabi con accento sulle sillabe dispari.
Questo tipo di componimento musicale liturgico, recitato o cantato, ritmico, era molto diffuso già nel X secolo, e con schema metrico regolare si trova di nuovo nel Lauda Sion Salvatorem, altro inno eucaristico di San Tommaso d'Aquino, composto per la solennità del Corpus Domini.
La composizione in sette strofe è spiegata da Dom Eugene Vandeur dell'Abbazia di Maredsous, con queste parole:
«In sette strofe e come in graduale crescendo, i sette movimenti dell'anima assetata di unione con il Dio dell'Eucaristia: adorazione di Dio, adesione a Dio, confessione a Dio, abbandono a Dio, fame di Dio, purificazione da parte di Dio, beatitudine in Dio. Ciò significa che il mistero della fede rimane lo strumento capitale della santità, di ciò che trasforma in Gesù Cristo.[47]»
Padre Raniero Cantalamessa osservò che il verso visus, tactus, gustus in te fallitur rinviava una poesia di Jacopone da Todi nella quale immaginava un conflitto fra i sensi umani in relazione all'eucaristia: mentre la vista (visus), il tatto e il gusto dicono che si tratta di solo pane, l'udito si oppone a questa concezione e assicura che "sotto queste forme visibili è Cristo nascosto". Se questo non basta ad affermare che l'inno sia di san Tommaso d'Aquino, mostra tuttavia che è più antico di quanto si pensasse e non è incompatibile con un'attribuzione al Dottore Angelico, quanto meno per la datazione. Se Jacopone può farne riferimento come testo noto, doveva essere stato composto almeno vent'anni prima perché potesse godere già di una certa popolarità.[48]
L'immagine del pellicano nella sesta strofa rimanda a un mito secondo il quale il pellicano si recide il petto per nutrire i piccoli con il proprio sangue.
Uso nella liturgia
Secondo Wilmart, l'Adoro te devote nacque per essere recitato alla fine della liturgia.[49] L'uso come gratiarum actio post missam (azione della grazia al termine della Messa) è presente nel rito romano, nel rito ambrosiano e nel rito gallicano; invece, l'uso come praeparatio ad missam non è ricorrente. Di avviso diverso è Henk Schoot, che esaminò i manoscritti più antichi: egli ritiene che la preghiera fosse inizialmente un viatico.[41]
Un certo numero di composizioni musicali fu riservato all'elevazione eucaristica o all'adorazione del Santissimo Sacramento.
Degno di nota è il fatto che nel 1893, durante il pontificato di Leone XIII e poco prima della riforma liturgica di Pio X, la preghiera era in uso nel Rito romano-lionese approvato da Pio IX, come preghiera da recitarsi al termine della celebrazione del Corpus Domini e al rientro del Santissimo Sacramento dalla processione.[50]
Nel XIX secolo, a seguito della traduzione inglese di Gerard Manley Hopkins, la preghiera si diffuse tra i Gesuiti d'Inghilterra all'interno della processione del Corpus Domini e come forma di adorazione eucaristica.[51]
In sintesi, l'uso liturgico dell'Adoro te devote era ed è:
nel rito romano:
preghiera del celebrante dopo la Messa, a partire dal 1570;
^Per ragioni metriche, che porterebbero a dover spezzare in due parti la parola veritátis (veri-tátis), l'ultimo verso della seconda strofa può trovarsi anche nella forma Nil hoc veritátis Verbo vérius. Fonte: Credo ciò che ha detto il Figlio di Dio: riflessioni sull'Eucaristia, su zenit.org. URL consultato il 19 giugno 2008 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2013).
^Per una corretta interpretazione teologica di questo verso si veda l'omelia del teologo padre Raniero Cantalamessa, pronunciata alla presenza di papa Giovanni Paolo II nella cappella Redemptoris Mater in Vaticano la seconda settimana di Avvento il 10 dicembre 2004: «Non è che i sensi della vista, del tatto e del gusto, per se stessi, si ingannino circa le specie eucaristiche, ma siamo noi che possiamo ingannarci nell’interpretare quello che essi ci dicono, se non crediamo. Non si ingannano perché l’oggetto proprio dei sensi sono le apparenze - ciò che si vede, si tocca e si gusta - e le apparenze sono realmente quelle del pane e del vino, mentre l'intelletto (e nei rari casi della miatica, anche i sensi) colgono che la specie del pane e del vino è anche Cristo, la vera sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo risorto dalla morte di croce. Scrive san Tommaso:
(LA)
«In hoc sacramento nulla est deceptio, sunt enim secundum rei veritatem accidentia, quae sensibus diiudicantur. Intellectus autem, cuius est proprium obiectum substantia, per fidem a deceptione praeservatur.»
(IT)
«In questo sacramento, non c’è alcun inganno. Infatti gli accidenti che sono percepiti dai sensi ci sono veramente, mentre l’intelletto, che ha per oggetto la sostanza, viene preservato dal cadere in inganno dalla fede.»
^* Auguste Gaudel, A propos de la controverse touchant l'attribution de l'Adoro te à saint Thomas, dans la Revue des sciences religieuses, tome 10-2, 1930, p. 258 - 260, ivi p. 258
^abAuguste Gaudel, A propos de la controverse touchant l'attribution de l'Adoro te à saint Thomas, dans la Revue des sciences religieuses, tome 10-2, 1930, p. 258 - 260, ivi p. 259
^abMichael J. Ortiz, Like the First Morning: The Morning Offering as a Daily Renewal, p. 75, 2015 (EN) [10]
^abp. 78, nota n. 15; Schoot non è d'accordo con questa attribuzione, poiché secondo lui la preghiera veniva recitata durante il Viatico[11] in alcuni manoscritti più antichi.
^William Edward Scudamore, Notitia Eucharistica, p. 839, nota n. 1, 1872 [12]
^eo, ie, io e iu non sono [./Scrittura_e_pronuncia_del_latino dittonghi]; uæ conta per due sillabe. Quindi, l'accentazione cade nella decima sillaba metrica come nell'[./Endecasillabo endecasillabo]
^André Wilmart, La tradition littéraire et textuelle de " L'Adoro te devote " , in Recherches de théologie ancienne et médiévale, tomo I, gennaio 1929, p. 21 JSTOR26180055
^Paroissien complet ou Heures à l'usage du diocèse de Lyon selon le rit (sic) romano-lyonnais approuvé par Notre Saint-Père le Pape Pie IX, imprimé par ordre de S. G. Monseigneur Coullié, Archevêque de Lyon et de Vienne, 1893 p. 361