Noen uker før konsilets slutt feiret 40 konsilfedre (eller 42[2]) fra hele verden nattverden sammen, og ved slutten av messefeiringen inngikk de pakten som er oppkalt etter stedet der begivenheten fant sted. To tyskere var blant de første som signerte: Julius Angerhausen (1911–1990), hjelpebiskop i Essen, og Hugo Aufderbeck (1909–1981), hjelpebiskop i Erfurt.[3] Senere sluttet 500 andre biskoper fra hele verden seg til denne pakten.
Pave Johannes XXIIIs ord om «De fattiges kirke»:[5][6][7] «Kirken, slik den er og ønsker å være, [viser seg å være] alles kirke, først og fremst de fattiges kirke.»[8]
Et opprop fra Nasaret av p. Paul Gauthier, en arbeiderprest i Nasaret, og det fellesskap han tilhørte, «Brødreskap av følgesvennene til tømmermannen Jesus fra Nasaret» med overskriften «Jesus, kirken og de fattige». Biskop Maximos V Hakim (erkebiskop fra 1964) av den melkittiske kirke i Nasaret, og den belgiske biskopen Charles-Marie Himmer av Tournai distribuerte denne appellen til en rekke andre biskoper. Fader Gauthier, biskop Maximos og biskop Himmer tok til orde for at «Kristi mysterium i de fattige ... ikke må være ett tema blant andre på Konsilet, men ... bli det sentrale spørsmålet».[9]
I form av jeg-budskap adapterte biskopene Jesu' forbilde og hans oppdrag til disiplene. Underskriverne bemerket at til tross for enkelte suksesser, ville deres forpliktelse til en kirke av de fattige ikke kunne påregnes å bli realisert i kirken som helhet.[10] Så de bestemte seg for å gå foran med et godt eksempel selv.
Ifølge hjelpebiskop Luigi Bettazzi ai Milano, den siste levende førsteunderskriveren av pakten, implementerte pave Frans ideene til katakombepakten gjennom sin livsstil og sin administrasjon.[11]
Hovedpunkter i pakten
Vi ønsker å leve som menneskene rundt oss, med tanke på bolig, mat og transport.
Vi avstår fra å virke rike, selv når det gjelder våre embedsklær.
Vi ønsker ikke å eie immobilia eller mobilia.
Vi nekter å bli adressert med titler.
Vi vil unngå ethvert inntrykk av å favorisere de rike og mektige.
Fremfor alt ønsker vi å nå ut til vanskeligstilte og underutviklede.
Vårt sosiale virke, som vi støtter, bør være basert på kjærlighet og rettferdighet og skal ha like fokus på kvinner og menn.
Det samme ønsker vi å bevirke hos de ansvarlige i våre regjeringer.
Offentliggjøring
De 13 egenforpliktelser ble offentliggjort for første gang den 9. desember 1965, dagen etter at konsilet var blitt høytidelig avsluttet, av den franske avisen Le Monde. På tysk kom den første gang i 1969 i en biografi om geriljapresten Camilo Torres, utgitt i Øst-Berlin.[12]
Kjente førsteundertegnere
Dokumenter vedrørende de førsteundertegnende er for det meste å finne i biskop Charles-Marie Himmers etterlatte materialer.[13] Blant de første undertegnere er å finne:[14][15][16]
Noen oversettelse av paktens tekst til norsk finnes ikke (2022). Her der det som antas å være den fullstendige italienske originaltekst:
Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il[Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue:
- Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende.[17]
- Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici).[18] Né oro né argento. Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative.[19]
- Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli.[20]
- Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre.[21]
- Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi).[22]
- Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale.[23]
- Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro.[24]
- Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficenza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti.[25]
- Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio.[26]
- Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo: – a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;
- a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.
- Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così: – ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro; – formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il mondo; – cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…; – saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione.[27]
Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.
Aiutaci Dio ad essere fedeli.
Referanser
^Joseph Famarée: Bischöfe und Bistümer. In: Giuseppe Alberigo, Klaus Wittstadt (Hg.): Geschichte des Zweiten Vatikanischen Konzils. Bd. 3: Das mündige Konzil. Zweite Sitzungsperiode und Intersessio (September 1963 bis September 1964). Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 2002. S. 139–222, dort Kap. 6.2: Die Gruppe „Jesus, die Kirche und die Armen“, S. 194–195.
^Joseph Famarée: Bischöfe und Bistümer. In: Giuseppe Alberigo, Klaus Wittstadt (Hg.): Geschichte des Zweiten Vatikanischen Konzils. Bd. 3: Das mündige Konzil. Zweite Sitzungsperiode und Intersessio (September 1963 bis September 1964). Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 2002. S. 139–222, dort Kap. 6.2: Die Gruppe „Jesus, die Kirche und die Armen“, S. 194–195.
^Rundfunkansprache vom 11. September 1962, im Volltext in: Herder Korrespondenz, Jg. 17 (1962/1963), S. 43–46.
^Hilari Raguer: Das früheste Gepräge der Versammlung. In: Giuseppe Alberigo, Klaus Wittstadt (Hg.): Geschichte des Zweiten Vatikanischen Konzils. Bd. 2: Das Konzil auf dem Weg zu sich selbst. Erste Sitzungsperiode und Intersessio (Oktober 1962 bis September 1963). Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 2000. S. 201–272, dort Kap. 3.2: Die Gruppe „Kirche der Armen“, S. 237–241.
^Normann Tanner: Kirche in der Welt: Ecclesia ad extra. In: Giuseppe Alberigo, Günther Wassilowsky (Hg.): Geschichte des Zweiten Vatikanischen Konzils. Bd. 4: Die Kirche als Gemeinschaft. Dritte Sitzungsperiode und Intersessio (September 1964 bis September 1965). Matthias-Grünewald-Verlag, Ostfildern 2006. S. 313–448, dort: Die Gruppe „Kirche der Armen“ und Lercaros Bericht über die Armut, S. 441–448, vor allem S. 445, Anm. 181.