Unità di Protezione delle Donne

Yekîneyên Parastina Jin (YPJ)
Emblema dell'YPJ
Descrizione generale
Attivo4 aprile 2013 – oggi
Nazione Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est
ServizioForza armata
TipoFanteria leggera
RuoloGuerriglia
Dimensione7.000[1] – 10.000[2]
Battaglie/guerreGuerra civile siriana
Comandanti
Comandante in capoNasrin Abdalla[3]
Comandante a KobanêMeryem Kobanî[4]
Comandante ad AleppoSewsen Bîrhat[5]
Comandante delle operazioni a RaqqaRojda Felat[6]
[7]
Voci su unità militari presenti su Wikipedia

L'Unità di Protezione delle Donne o Unità di Difesa delle Donne (curdo: Yekîneyên Parastina Jin; AFI: /jɛkiːnɛjeːn pɑːɾɑːstɯnɑː ʒɪn/) (YPJ) è un'organizzazione militare fondata il 4 aprile 2013 come la brigata femminile della milizia dell'Unità di Protezione Popolare (YPG)[2]. L'YPJ e l'YPG sono l'ala armata di una coalizione politica curda che ha preso de facto il controllo su una buona parte della regione settentrionale della Siria a maggioranza curda, il Rojava[2].

Storia

Una soldatessa del YPG mentre combatte contro l'ISIS
Una soldatessa dell'YPJ mentre difende una postazione dall'ISIS

L'organizzazione è cresciuta dal movimento di resistenza curdo, e alla fine del 2014 contava più di 7.000 (10.000 secondo TeleSUR)[2] combattenti volontari dai 18 ai 40 anni[1]. Non ricevono alcun sostegno dalla comunità internazionale e si appoggiano sulle comunità locali per rifornimenti e cibo[1].

L'YPJ si è unita all'YPG nel combattere contro tutti i gruppi che mostravano l'intenzione di portare la guerra civile siriana nelle aree abitate in prevalenza da curdi. Essa è stata spesso soggetto di attacchi da parte dello Stato Islamico ed è stata coinvolta nell'assedio di Kobanê[1].

Il gruppo ha svolto un ruolo fondamentale nel salvare le migliaia di Yazidi che erano stati intrappolati dall'ISIS nel Jebel Sinjar. Una combattente ha dichiarato: "Dobbiamo controllare l'area da soli senza bisogno di dipendere [dal governo]... Non possono proteggerci dall'ISIS, dobbiamo proteggerci da soli [e] difendere tutti... senza tenere conto della loro razza e della loro religione"[8].

L'YPJ continua tuttora a lottare a fianco dell'YPG e delle Forze Democratiche Siriane[9], avendo preso parte nelle battaglie contro le roccaforti dello Stato Islamico di Tabqa e di Raqqa e diventando fondamentale alleato delle truppe statunitensi stanziate nel luogo[10]. Le truppe dello YPJ sono state inoltre coinvolte nella lotta contro l'invasione turca del cantone di Afrin[11].

La narrativa che circonda la presenza di donne sui campi di battaglia, soprattutto in ruoli attivi, ha più il tono dell’eccezione che della regola, specialmente in un contesto di rivoluzione (nonostante numerosi esempi storici provino il contrario, si veda in particolare la ricerca fatta da Svetlana Alexievich, The Unwomanly Face of War). Dal momento che la liberazione femminile è un argomento centrale per il movimento di liberazione curdo e ciò include la lotta armata nei cantoni del Rojava, è importante chiedersi in che modo la partecipazione delle donne curde del YPJ nella resistenza le emancipi[12]. A questo proposito, è bene ricordare che le azioni e operazioni sul campo del YPJ non si limitano al campo militare ma anche al supporto delle donne civili, come la creazione del "villaggio delle donne", Jinwar[13].

Reazioni

La combattente dell'YPJ Viyan Antar, uccisa nel 2016 durante un attacco dell'ISIS
Un murale in sostegno all'YPJ a Bologna

Il gruppo è stato lodato dai movimenti femministi per "aver sfidato le differenze di genere presenti in quella regione" e per "aver ridefinito il ruolo della donna nel conflitto in atto nella regione"[1]. La fotografa Erin Trieb ha affermato che "l'YPJ è lui stesso un movimento femminista, anche se non è la loro missione principale". Ha inoltre dichiarato che "vogliono che vi sia 'eguaglianza' tra uomini e donne, e un motivo per cui molte si sono unite al gruppo è stato il desiderio di sviluppare e far cambiare l'idea della donna nella loro cultura"[1].

Molte agenzie giornalistiche curde hanno riferito che "le truppe dell'YPJ si sono rivelate vitali nella battaglia contro l'ISIS" a Kobanê[2]. Le vittorie dell'YPJ in Rojava hanno attratto una considerevole attenzione mediatica in quanto si tratta di un raro esempio di forti successi portati a termine da delle donne in un luogo nel quale le donne sono pesantemente discriminate[14][15][16].

Grazie alla risonanza mediatica che il gruppo ha avuto, oltre a donne e ragazze arabe e yazide, anche molte occidentali si sono unite nel corso degli anni all'YPJ, fra cui la britannica Anna Campbell, caduta ad Afrin nel corso di una battaglia contro l'esercito turco[17], e la canadese Hanna Bohman, che si è unita al gruppo dopo essere sopravvissuta a un grave incidente in moto[18]. Anche l'italiana Maria Edgarda Marcucci ha combattuto al fianco del corpo YPJ, subendo un regime di sorveglianza speciale al suo ritorno in Italia in quanto considerata "socialmente pericolosa".

Il fumettista italiano Zerocalcare ha scritto la graphic novel Kobane Calling, dove racconta il suo incontro con le soldatesse dell'YPJ e con la comandante in capo Nasrin Abdalla nel corso dell'assedio di Kobanê.

Note

  1. ^ a b c d e f (EN) YPJ: The Kurdish feminists fighting Islamic State, in The Week, 7 ottobre 2014. URL consultato il 4 settembre 2015 (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016).
  2. ^ a b c d e (EN) Kurdish Women Turning Kobani into a Living 'Hell' for Islamic State, in TeleSUR, 14 ottobre 2014. URL consultato il 4 settembre 2015.
  3. ^ (EN) Syrian Kurds' morale high but arms needed, YPJ commander, in ANSAMed, 22 giugno 2015. URL consultato il 4 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 9 ottobre 2017).
  4. ^ (EN) Mutlu Civiroglu, Interview with YPJ Commander in Kobane and Mishtenur Hill, in Personal Website of Mutlu Civiroglu, 13 novembre 2014. URL consultato il 4 ottobre 2015.
  5. ^ (EN) Aleppo: New Group of YPG/YPJ Fighters Graduated from Training Course, in People's Defense Units, 22 aprile 2015. URL consultato il 4 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2015).
  6. ^ (EN) Wrath of Euphrates Operations Room, commandant Rojda Felat, Northern Raqqa, su ypgrojava.org, YPG, 10 novembre 2016. URL consultato il 10 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 2 gennaio 2017).
  7. ^ (EN) YPJ, su ypgrojava.com. URL consultato il 4 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2015).
  8. ^ (EN) Elizabeth Griffin, These Remarkable Women Are Fighting ISIS. It's Time You Know Who They Are, in Marie Claire, 30 settembre 2014. URL consultato il 4 settembre 2015.
  9. ^ Tax, Meredith. A Road Unforeseen: Women Fight the Islamic State. New York: Bellevue Literary Press, 2016.
  10. ^ Gardner, David. 2017. “Chaos Reigns as Isis Loses Its Grip on Raqqa.” The Financial Times. http://ezproxy.siena.edu:2048/login?url=http://search.ebscohost.com/login.aspx?direct=true&db=edsgao&AN=edsgcl.488572836&site=eds-live.
  11. ^ (EN) Rod Nordland, Female Kurdish Fighter Kills Turkish Troops in Likely Suicide Bombing in Syria, su nytimes.com, The New York Times, 28 gennaio 2018. URL consultato il 10 ottobre 2019.
  12. ^ Maddalena L, i, Rebel, rebel, you’ve torn your dress. Le donne del Rojava, su Opinio Juris, 30 giugno 2020. URL consultato il 3 luglio 2020.
  13. ^ JINWAR: ISPIRAZIONE PER LE DONNE OVUNQUE NEL MONDO, su retejin.org.
  14. ^ (EN) Lazar Berman, Female Kurdish fighters battling ISIS win Israeli hearts, in Rudaw, 3 maggio 2015. URL consultato il 4 settembre 2015.
  15. ^ (EN) Yerevan Saeed, Kurdish female fighters named ‘most inspiring women’ of 2014, in Rudaw, 26 dicembre 2014. URL consultato il 4 settembre 2015.
  16. ^ (EN) Mutlu Civiroglu, Kobani: How strategy, sacrifice and heroism of Kurdish female fighters beat Isis, in International Business Times, 10 febbraio 2015. URL consultato il 4 settembre 2015.
  17. ^ (EN) Matt Blake, British woman killed fighting Turkish forces in Afrin, su theguardian.com, The Guardian, 19 marzo 2018. URL consultato il 10 ottobre 2019.
  18. ^ (EN) Katie O'Malley, Meet The Canadian Who Fights ISIS Alongside 10,000 Women, su elle.com, ELLE, 20 dicembre 2017. URL consultato il 10 ottobre 2019.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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