Nel gennaio del 1941 dopo strenui combattimenti con le unità navali e con le forze terrestri britanniche che assediavano la piazzaforte chiese l'autorizzazione a lasciare gli ormeggi ed affrontare le navi nemiche in mare. L'autorizzazione non fu concessa perché il comando italiano riteneva il San Giorgio perno della difesa della città.[6]
All'atto dell'occupazione della base da parte del nemico, egli predispose l'autodistruzione della nave rimanendo a bordo fino all'esplosione finale.[7] Ferito fu ricoverato in ospedale per catturato dagli inglesi[7] l'indomani. Per questa azione fu decorato della Medaglia d'Oro al Valor Militare[8] e promosso Capitano di vascello per meriti di guerra nel dicembre 1942.
Rinchiuso nel campo di concentramento di Yol,[9] in India, fu rimpatriato dopo la fine della guerra, ricoprendo poi vari incarichi tra i quali quello di Capo di Stato Maggiore della 5ª Divisione Navale, di comandante dell'incrociatore leggero Raimondo Montecuccoli e quello del Deposito C.E.M.M. di Taranto.
Promosso Contrammiraglio nel gennaio 1950, divenne Ammiraglio di divisione nel marzo 1954 e Ammiraglio di squadra nel dicembre 1957, in quegli anni ricoprì in successione l'incarico di comandante D.A.T. Marina, del Comando Autonomo Marina Militare della Sicilia e quello della 2ª Divisione Navale. Destinato al Ministero Marina con l'incarico di Direttore Generale per il personale del C.E.M.M., nell'ottobre 1959 assunse il comando del Dipartimento M.M. dello Ionio e del Canale d'Otranto. Il 30 novembre 1962 divenne comandante delle forze navali NATO dell'area del Mediterraneo centrale con Quartier generale a Napoli. Il 13 aprile 1964 fu posto in posizione ausiliaria per raggiunti limiti d'età, spegnendosi a Cirò (provincia di Crotone) il 22 agosto 1978.
«Comandante di incrociatore corazzato di tipo antiquato, assegnato alla difesa fissa antinave e contraerea di piazzaforte marittima oltremare continuamente sottoposta all'offesa aerea dalle vicine basi dell'avversario, sosteneva con incrollabile fermezza e valorosa azione di comando l'ardua missione. Investita la piazzaforte da forze soverchianti interveniva efficacemente anche contro obiettivi terrestri e, ricevutone l'ordine, faceva abbandonare ordinatamente la nave dopo averne predisposta la distruzione. Tornato a bordo con pochi animosi nell'imminenza dell'invasione della località per accertare ed accelerare la combustione delle micce di accensione, pur avendo constatato che l'incendio sviluppatosi presso il deposito munizioni centrale ne rendeva imminente la deflagrazione, con eroica perseveranza assicurava l'innescamento degli altri depositi per rendere totale la distruzione della nave finché, sorpreso dalla sopravvenuta deflagrazione, dava, nella tormentosa situazione creata da successive esplosioni e dalla nafta incendiata, prove mirabili di serenità e di forza d'animo. Tobruk, 20 novembre 1940- 22 gennaio 1941.» — Decreto C.P.S. 7 marzo 1947[10]
(EN) Gordon E. Hogg, Steve Wiper, Italian Heavy Cruiser of World War II, Tucson, Classic Warship Publishing, 2004, ISBN0-9710687-9-8.
Ubaldo Virginio Rossi, Arremba San Zorzo: vita e morte dell'incrociatore San Giorgio, Milano, Ugo Mursia editore, 1976.
Periodici
Erminio Bagnasco e Maurizio Brescia, I sommergibili italiani 1940-1943. Parte 2, in Storia Militare Dossier, n. 11, Roma, Ermanno Albertelli Editore, novembre-dicembre 2013.
Erminio Bagnasco e Maurizio Brescia, I sommergibili italiani 1940-1943. Parte 2, in Storia Militare Dossier, n. 12, Roma, Ermanno Albertelli Editore, gennaio-febbraio 2014.
Franco Gay, Il San Giorgio a Tobruk, in Storia Militare, n. 63, Parma, Ermanno Albertelli Editore, dicembre 1998, pp. 18-27.