Le notizie sicure sulla vita di Pietro Lorenzetti sono assai scarse e si limitano, in massima parte, alle date che egli appose sui suoi lavori (quattro pervenute) e a qualche documento. Si stima che sia nato tra il 1280 e il 1285 e morto nel 1348 circa, ma questi dati sono calcolabili solo in maniera approssimativa. Di sicuro però è nato a Siena con suo fratello minore, Ambrogio.
Né tantomeno offre un aiuto sostanziale la biografia che di lui redasse Giorgio Vasari, la prima, poiché sebbene lo storico aretino si dilunghi in elogi dell'opera di Lorenzetti, egli compì alcuni macro-errori proprio a partire dal nome, che travisò in "Pietro Laurati" (mal leggendo la firma "Petrus Laurentii" della Madonna oggi agli Uffizi) e non mettendo mai in relazione l'artista con il fratello Ambrogio, nonostante egli avesse potuto leggerne le firme in quanto frater nei perduti affreschi della facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala a Siena. Inoltre non gli assegnò la sua opera più importante, ovvero gli affreschi nel transetto sinistro della basilica inferiore di Assisi, assegnandoli a Puccio Capanna, Pietro Cavallini e Giotto. Ritenne infine erroneamente di sua mano la Tebaide nel Camposanto monumentale di Pisa.[1]
Lorenzo Ghiberti invece non nominò mai Pietro, assegnando anche gli affreschi di Santa Maria della Scala al solo Ambrogio e dimostrando come neanche lui ne avesse letto la firma.[1]
Dal 1310 al 1320 partecipò al grande cantiere decorativo della Basilica inferiore di San Francesco d'Assisi, con Martini e altri pittori fiorentini della scuola di Giotto; in particolare lavorò nel transetto sud al servizio del cardinale Napoleone Orsini, affrescando scene della Passione di Cristo, nelle quali dimostrò di avere sviluppato un linguaggio figurativo autonomo che sintetizzava arte senese e linguaggio giottesco.
Emblematica è per esempio la scena dell'Ultima Cena, costruita attorno a un tavolo, all'interno di una magnifica loggia esagonale (che ricorda molto la struttura del pulpito del duomo di Siena di Nicola Pisano), dove viene dimostrata l'assimilazione delle tecniche prospettiche per le virtuose ambientazioni architettoniche derivate da Giotto; ma ancora più sorprendente è la visione della stretta stanzetta dei servitori a sinistra: un quarto della superficie dell'affresco è infatti occupato dalla cucina adiacente, dove il cibo sta bollendo sopra un focolare e due servitori puliscono le stoviglie e gettano gli avanzi di cibo; sullo sfondo si riconoscono particolari dell'arredo (una pala da carbone e ripiani con stoviglie) e in primo piano troviamo un gatto che si riscalda al fuoco e un cane che lecca gli avanzi di cibo dai piatti. Nessun giottesco avrebbe probabilmente considerato degno un dettaglio che per quanto quotidiano appare piuttosto "basso", mentre la curiosità di Lorenzetti appare accesa da questo minuzioso dettaglio, dalla precisa descrizione della realtà.
Lorenzetti si recò successivamente a Siena, dove nel 1329 dipinse la grande Pala del Carmine, già nella chiesa del Carmine. La Madonna è assisa in trono, in una solenne plasticità che ricorda la Maestà di Ognissanti di Giotto, soprattutto nelle corpose sfumature del volto. Di quest'opera è interessante anche la tavoletta con la Fontana del profeta Elia, facente parte della predella, nella quale è un carmelitano che attinge acqua con una brocca. La sensibilità del pittore per la qualità materica degli elementi naturali e per i relativi effetti ottici è resa evidente dall'incresparsi della superficie dell'acqua della vasca per effetto degli spruzzi e dai riflessi sulle coppe di vetro appoggiate sul bordo della fontana.
Per esempio nel trittico del 1342 per il duomo di Siena, destinato a decorare l'altare di San Savino, rappresentò la Natività della Vergine su tre pannelli trattandoli come se si trattasse di uno solo, anzi trattando le demarcazioni come se fossero dei pilastri che separano la stanza in tre ambienti, due dei quali appartenenti alla stanza principale e uno, a sinistra, dove aspetta trepidante Gioacchino, il padre di Maria. Le volte dipinte sono illusionisticamente collocate sui "pilastri" della cornice e la loro prospettiva segue un preciso sistema di piani ortogonali anche in profondità (si veda per esempio lo sfondamento su un cortile porticato sulla sinistra), che presentano angolazioni vicinissime a quelle della vera prospettiva geometrica del punto di fuga unificato approntata solo da Brunelleschi all'inizio del XV secolo. L'interno domestico però non si riduce ad una fredda struttura architettonica, anzi le figure vi si muovono a proprio agio ed i dettagli di mobilio e suppellettili sono curatissimi, dalle mattonelle del pavimento alle stelline dipinte sulle volte a crociera.
Al 1342 risale uno dei rari documenti che citano l'artista, attestante l'acquisto di terreni a Bibbiano per gli orfani (Cola (Nicola) e Martino) dell'amico scultore Tino di Camaino, deceduto verso il 1337.[2]
La Natività è l'ultima opera documentata di Pietro Lorenzetti, del quale non si hanno più notizie dopo il 1347: è probabile che sia morto, come il fratello, durante la peste del 1348.
Opere (Elenco)
Madonna col Bambino e santi, 1305-1315 circa, tempera e oro su tavola, 69,85x100 cm, Seattle, Seattle Art Museum
Trittico della Madonna col Bambino e le sante Maria Maddalena e Caterina d'Alessandria, 1330-1340 circa, tempera e oro su tavola, 110,5x158,1 cm, Washington, National Gallery of Art