Risalgono all'epoca giovanile alcune orazioni in latino e quattro libri di poesie che, in seguito alla nomina a vescovo, rifiutò in parte, forse perché non si confacevano alla sua nuova carica (spicca in effetti una satira contro la Curia romana).
Dedicò particolare attenzione agli studi per l'architettura, che metterà in pratica nel risistemare e decorare strutture pubbliche ed ecclesiastiche, influenzato dallo stile di Alberti.[1]
Amministrò la diocesi bellunese non senza difficoltà, viste le gravose cure pastorali e le scorrerie dei Turchi che avevano invaso il vicino Friuli. In seguito, tuttavia, ricordò questo come un periodo felice, almeno in confronto ai turbolenti anni passati nella sede di Padova.
Frattanto proseguiva l'attività letteraria: produsse tre libri di Consolatorie e organizzò alcune delle precedenti composizioni, integrandole con altre inedite, in tre libri di 'Inni; redasse inoltre un repertorio del Decretum Gratiani.
Nel 1489 in considerazione dei tumulti di Brescia, Bernardo Bembo commissiona al Barozzi un trattato, scrive il De factionibus extinguendis.[2]
Per sua iniziativa e nella speranza di frenare l'usura dilagante viene istituito il 31 luglio 1491, in città, il Monte di Pietà.
Nel 1495 comincia la ristrutturazione del palazzo vescovile di Padova e nell'ambito di questi lavori commissiona a Lorenzo da Bologna, architetto molto attivo in città in quegli anni, la costruzione della cappella di Santa Maria degli Angeli. La decorazione ad affresco, eseguita secondo precisi dettami vescovili, viene affidata a Prospero da Piazzola e a Jacopo Parisati da Montagnana, quest'ultimo autore anche del trittico dell'Annunciazione che ornava l'altare. Tra le altre nel 1501 avviò l'ampliamento dell'architettura della villa dei vescovi a Luvigliano.
Muore a Padova nel 1507 ed è sepolto nel Duomo di Padova in un maestoso monumento funebre, attribuito ad Alessandro Vittoria, mentre la statua funebre è attribuita a Tullio Lombardo. Lasciò una biblioteca di trecentocinquantacinque volumi di opere giuridiche e teologiche, di classici greci, latini e volgari e di autori umanisti. La raccolta andò in seguito dispersa e forse in gran parte emigrò in Inghilterra.
«Nel legame tra sacra scrittura e liturgia nella prima metá del Cinquecento, in alcuni tentativi di riforma liturgica già attuati da alcuni vescovi non sempre coronati dal successo, lui ne ha individuato il criterio informativo, che era l'uso primario della scrittura insieme con lo sfoltimento degli elementi devozionali considerati superflui, la tensione verso un maggiore unità e semplicità» (Hubert Jedin).[4]
De modo bene moriendi. Eiusdem Consolatorij lib. 3. Officium ad deprecandam pestilentiam. Officium ad impetrandam pluuiam. Officium ad aëris serenitatem poscendam, Venetiis, in aedibus Io. Antonii & fratrum de Sabio, 1531.
De cautione adhibenda in edendis libris, Patauii, excudebat Iosephus Cominus, 1719.
Il vescovo Pietro Barozzi e il trattato De factionibus extinguendis, a cura di Franco Gaeta, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1958.