Piazza San Rufo o San Ruffo è una piazza del centro di Rieti. Un'antica tradizione, di origine almeno rinascimentale[2], vuole che in questa piazza si trovi il centro d'Italia, sulla base dei classici della letteratura latina che collocavano nel reatino l'Umbilicus Italiae.[3]
Descrizione
Quella di San Rufo è una piccola piazza che si trova nel cuore del centro storico di Rieti, nel punto più alto della città. Nelle sue dimensioni raccolte e negli stretti vicoli che vi conducono, la piazza ben rappresenta la struttura del tessuto urbano medievale della città. Pur essendo molto vicina alle principali vie del centro, la piazza conserva un'atmosfera piuttosto appartata (anche per il fatto di essere inaccessibile al traffico automobilistico). Convergono nella piazza quattro stretti vicoli secondari, che la collegano alle principali arterie del centro storico:
a nord si apre via Cerroni, che collega la piazza con via Garibaldi (l'antico decumano della città);
ad ovest l'archetto sotto Palazzo Capelletti permette di accedere a via Capelletti, che la collega a via Roma (l'antico cardo della città);
ad est si apre via San Rufo;
a sud della piazza, dopo aver sceso i sette gradini di una breve cordonata, si imboccano via dei Crispolti (che si dirige verso oriente, in parallelo con via San Rufo) e la prosecuzione verso ovest di via San Rufo (che conduce in via Roma).
La piazza è occupata per buona parte dalla piccola Chiesa di San Rufo, rivolta verso est, con facciata neoclassica di Melchiorre Passalacqua (1748) ed interno barocco, ma di origine altomedievale. All'interno della chiesa è ospitato, tra gli altri, il dipinto L'angelo custode (1610-1618) di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, opera di grande valore artistico tanto da essere stata a lungo attribuita al Caravaggio. Oltre alla chiesa, nella piazza si trovano:
Sul lato ovest si affaccia un lato di Palazzo Capelletti (metà XVII secolo), gli altri lati del quale si affacciano sulla via omonima, su via Roma, piazza Vittorio Emanuele II (il caffè Gengarelli) e su via Garibaldi;
Sul lato nord, la piazza è delimitata dal muro che circonda il cortile interno di Palazzo Vincenti Mareri (XVIII-XIX secolo, progettato da Giuseppe Valadier), che ha la facciata su via Garibaldi; lungo il muro si trova un accesso secondario, costituito da un portale dotato delle originali imposte lignee.
Al centro della piazza è collocato il recente monumento al Centro d'Italia;
A margine dalla piazza, al numero 19 di via San Rufo, si trova invece la Casa Zapparelli con la sua caratteristica finestra crociata, elemento architettonico medioevale tipico delle città di appartenenza guelfa;
Da una teca di vetro posta nella pavimentazione si possono osservare i muri di epoca romana emersi nel corso di scavi archeologici avvenuti nel 1986[4], per quanto attualmente la teca sia divenuta opaca per l'usura;
Ai due estremi della diagonale che attraversa la piazza (in corrispondenza degli ingressi di via Cerroni e via San Rufo) si trovano due sculture del 1989 con l'iscrizione "Texas Instruments", storica azienda del nucleo industriale di Rieti.
Il lato ovest della piazza, con la chiesa di San Rufo e l'arco sotto Palazzo Capelletti
Ad essere ritenuto umbilicus Italiae era inizialmente il lago di Paterno, a 13 km da Rieti, oggi situato nella frazione Vasche del comune di Castel Sant'Angelo. Presso questo lago si trovavano le terme di Cotilia, le cui acque sulfuree venivano impiegate a scopi curativi. Nel mezzo del lago si ergeva un'isola galleggiante oggi scomparsa, coperta da una folta vegetazione, che forse per effetto di fenomeni carsici si spostava frequentemente, scomparendo e riapparendo[6][7]; per via di questi fenomeni misteriosi, i Sabini attribuivano al lago un grande valore religioso e lo avevano consacrato alla dea Vacuna.
L'opera dove Varrone faceva menzione di questo fatto è andata perduta[5], come del resto la grande maggioranza della sua produzione; tuttavia la sua opinione è riportata da altri scrittori suoi contemporanei, come Plinio il Vecchio che nella Naturalis historia scrive:
(LA)
«... in agro Reatino Cutiliae lacum, in quo fluctuetur insula, Italiane umbilicum esse M. Varro tradit.»
(IT)
«Nel territorio reatino il lago di Cotilia, nel quale galleggia un'isola, è l'ombelico d'Italia, come Varrone tramanda.»
«Est locus Italiae in medio, sub montibus altis
Nobilis, et fama multis memoratus in oris,
Amsancti valles, densis hunc frondibus atrum
Urget utrinque latus nemoris, medioque fragosus
Dat sonitum saxis, et torto vertice torrens»
(IT)
«Vi è un luogo in mezzo all'Italia, sotto alti monti,
famoso e ricordato in molti posti,
la valle di Ansanto; un lato boscoso da ogni parte
lo preme di dense fronde e nel mezzo un torrente fragoroso
e dal tortuoso vortice tra i sassi dà un rimbombo e cade»
L'esistenza nella tradizione letteraria latina di due "ombelichi dell'Italia" diversi, uno Varroniano ed uno Virgiliano, non è contraddittoria ma piuttosto frutto della trasposizione di tradizioni preesistenti, dato che tutti i popoli italici preromani attribuivano un valore religioso di accesso agli inferi ai luoghi caratterizzati da fenomeni vulcanici o carsici; per questo gli studiosi di letteratura latina parlano di "tradizione letteraria degli umbilici".[15]
Si noti infatti che la nozione di umbilicus non è da intendersi come centro in senso geometrico, ma piuttosto in senso simbolico, ad evocare significati mistici e religiosi. Del resto lo stesso Varrone nel De lingua latina aveva esplicitato che il concetto di umbilicus (ombelico) non corrisponde a quello di medium (centro): nel primo la centralità è simbolica, legata a significati magici e religiosi, mentre nel secondo la centralità è intesa in senso geometrico e matematico. Questa sostanziale differenza si trasla perfettamente nella metafora anatomica dell'ombelico, che secondo Varrone non è il centro geometrico del corpo umano ma lo è simbolicamente, rappresentando la fertilità e l'origine della vita.
(LA)
«Umbilicum dictum aiunt ab umbilico nostro, quod is medium locus sit terrarum, ut umbilicus in nobis; quod utrumque est falsum: neque hic locus est terrarum medium neque noster umbilicus est hominis medium. Itaque pingitur [...] media caeli ac terrae linea ducatur infra umbilicum per id, quo discernitur homo mas an femina sit.»
(IT)
«Ombelico vogliono che qui sia inteso per il fatto che Delfi sia il centro della terra, come in noi l'ombelico; ma queste cose sono ambedue false. Né quel luogo è il centro della terra, né l'ombelico è il centro della nostra figura [...] il centro universale è rappresentato con una linea tirata, di sotto all'ombelico, per quella parte dove si distingue il maschio dalla femmina.»
La tradizione di Rieti centro d'Italia continuò ad essere diffusa anche durante il medioevo: infatti, all'epoca era diffusa la convinzione che la città di Rieti distasse in linea retta 52 miglia italiane dal mare Adriatico ed altrettante dal mar Tirreno; viceversa si riteneva che distasse 310 miglia in linea retta da Augusta Pretoria (Aosta) ed altrettante da Capo dell'Armi (Calabria).[5][16]
La posizione centrale di Rieti viene citata anche da opere letterarie di epoca rinascimentale e moderna, come il poema Troja rapita di Loreto Vittori[11] del 1662, l'Orbis sacer et profanus illustratus di Francesco Orlandi del 1737[11] o il dizionario Thesaurus linguae latinae di Robert Estienne[17] del 1532.
Più tardi l'"umbilicus" iniziò ad essere individuato all'interno della città di Rieti, precisamente in piazza San Rufo.[5][16] Questa precisa collocazione viene riportata dall'Angelotti già nel 1635.[2]
Già nel Seicento, a memoria di questa tradizione, nella piazza si trovava una colonnina di granito.[5][16] Nel 1800 il brigadiere pontificio Giuseppe Capelletti la fece sotterrare nel luogo esatto dove era eretta, e la sostituì con una pietra dove era incisa la frase «Medium Totius Italiae».[5][16]
In seguito al furto della pietra[5], il 29 marzo 1950 quest'ultima fu sostituita da una lapide, murata nel lato ovest della piazza, che riporta la scritta "Centro d'Italia" in 20 lingue ed è tuttora visibile.[5][16]
La sistemazione attuale della piazza è il risultato di un intervento di ripavimentazione eseguito a fine anni Ottanta[16]. In occasione dell'inizio di questi lavori, nell'autunno del 1986 furono eseguiti degli scavi archeologici, durante i quali emerse molto materiale ceramico sia di età romana che medioevale[18], e delle murature di epoca romana; la limitatezza dell'area indagata, tuttavia, non permise di determinare quali funzioni svolgeva l'edificio.[19][20] Per permettere di osservare i resti, nella pavimentazione fu inserita una teca in vetro.
Il monumento all'Umbilicus Italiae
Nel 1998[21], nel corso di una visita dell'amministrazione comunale di Rieti alla città georgiana di Tbilisi, la facoltà di architettura dell'università locale fece dono alla città sabina[22][23] di un monumento che celebra il centro d'Italia, opera degli architetti G. Beridze e A. Meskhi e realizzato da imprese italiane[21].
Il monumento, realizzato in travertino, richiama nella forma il basamento di una colonna e funge da sedile; sul basamento riporta la scritta "Umbilicus Italiae" mentre nella parte superiore contiene una decorazione in marmi policromi raffigurante l'Italia e dei faretti che proiettano luce verso l'alto. Nel 2001[24] l'amministrazione Cicchetti collocò il monumento al centro della piazza.
Il monumento non è mai stato molto amato ed è oggetto di diverse critiche, per via della sua discutibile estetica considerata kitsch[23], per la forma bassa e circolare che gli ha valso sin da subito il soprannome ironico di caciotta, per la sua dimensione (considerata incongrua rispetto alla piccola superficie della piazza[25][26]), per la sua posizione (non allineata con l'asse di via Capelletti) e anche per i numerosi atti vandalici a cui è stata soggetta che la riducono periodicamente in condizioni poco degne di una città turistica[22][26]. Contro il monumento si è espresso, con il solito linguaggio colorito, anche il critico Vittorio Sgarbi[27].
Per queste ragioni si è parlato più volte di rimuoverlo, spostandolo in un altro luogo della città, oppure di interrarlo parzialmente allo scopo di portare la sua parte superiore allo stesso livello della pavimentazione ripristinando la calpestabilità di quella parte della piazza. Nel 2003 la Fondazione Varrone si era offerta di finanziarne lo spostamento[28], ma la giunta Emili rifiutò l'offerta perché avrebbe reso necessaria una risistemazione dell'intera piazza[27]; nel 2013 la giunta Petrangeli dichiarò di voler dare luogo allo spostamento[29] ma nel 2016 decise di lasciare il monumento al suo posto[30], effettuando interventi di ripristino dei faretti luminosi e della sagoma dell'Italia (i marmi erano stati trafugati).[31]
Il comune di Rieti ha nel frattempo indetto un concorso di idee per la riqualificazione dell'intera piazza, che si è concluso nel 2011 con la selezione del progetto vincitore[32], il quale prevede la rimozione del monumento e considera «semplicistico» l'approccio di «rappresentare in forma fisica un tema dai contenuti quasi esclusivamente immateriali»;[4] il progetto tuttavia non è stato ancora realizzato e il suo finanziamento è stato legato ad eventuali ribassi d'asta nei lavori PLUS portati avanti in altre aree del centro storico[33].
Altre tradizioni e studi moderni
L'etichetta di "centro d'Italia" attribuita a Rieti risponde a ragioni letterarie e storiche e non ad un preciso criterio scientifico.[34] Nella stessa condizione di Rieti si trovano anche altre città del centro Italia, che vantano una presunta centralità sulla base di tradizioni simili; l'esistenza di più luoghi con tale etichetta è da ritenersi normale, perché la loro origine deriva da tradizioni più o meno antiche, e non necessariamente da validi criteri scientifici.
Dal punto di vista scientifico, l'Istituto Geografico Militare di Firenze ha più volte dichiarato che sia impossibile determinare il centro dell'Italia in quanto lo stivale non è una figura geometrica;[40] la sua forma può essere ridotta ad un poligono ma diviene necessario decidere se inglobarvi tutte le isole oppure solo alcune, e anche in questo caso (trattandosi di un poligono irregolare) non esisterebbe una definizione unica di centro, concetto che deve quindi essere definito arbitrariamente (ad esempio come baricentro, come centro della circonferenza circoscritta o centro del rettangolo circoscritto).
Tuttavia in tempi recenti sono stati condotti studi non ufficiali che hanno impiegato i criteri più diversi, incoronando varie località: tra queste
la frazione Bardano del comune di Orvieto, la cui area artigianale di Fontanelle sarebbe stata eletta a centro d'Italia nel 2008 da uno studio del catastoolandese;[41][42][43]
la città di Narni, che nel 2015, in accordo ad una ricerca portata avanti con dati dell'IGM da un pensionato appassionato di geografia, ha collocato una segnaletica indicante il centro d'Italia in località ponte Cardona;[41][44][45][46]
^ Ileana Tozzi e Roberto Lorenzetti, Medium totius Italiae: piazza San Ruffo, in Il paesaggio civile e naturale della provincia reatina, Milano, L'orbicolare, 2007, p. 154, 978-88-95061-38-2.
«... quaedam insulae sempre fluctuantur sicut in agro Cecubo et eodem Reatino... ... ad Cutilias aquas opaca silva quae numquam die ac nocte eodem loco visitur...»
(IT)
«... alcune isole galleggiano come in territorio Cecubo e Reatino... ... presso Cotilia si può vedere un folto bosco, che né di giorno né di notte sta mai nello stesso posto...»
^ I. Rainini, ANSANTO, Valle di, in Enciclopedia dell'Arte Antica. URL consultato il 4 giugno 2016.
^ Virgilio (traduzione di Rosa Calzecchi Onesti), Indice dei nomi, in Eneide, collana Nuova Universale Einaudi n. 79, quinta edizione, Einaudi, 1982, p. 533., alla voce "Ansanto, valli d'"
«un piccolo lago dei Monti Irpini (zona vulcanica) noto per le sue esalazioni mefitiche e per la grotta e il tempio dell'antica divinità italica Mephitis»
^ Lucio Caddeu, Paterno e la sua storia, su Umbilicus Italiae, il libro. URL consultato il 2 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 3 gennaio 2017).
«Infatti, l'identificazione di due umbilici ltaliae l'uno nel cuore della Sabina, l'altro al centro dell'Irpinia non è in sé motivo di contraddizione o di fraintendimento, ma si spiega agevolmente nella prospettiva di una tradizione duplice che poteva essere già compresente nel mondo italico. La moltiplicazione della tradizione degli umbilici discende evidentemente dalla pluralità di luoghi caratterizzati da fenomeni pseudovulcanici e dall'unità culturale dei popoli italici che vi associava una valenza religiosa come vie di ingresso agi inferi ed una valenza istituzionale come centri di aggregazione di singole comunità su base territoriale. A determinare la percezione della centralità non è sufficiente, infatti, la sola presenza di siffatti luoghi, ma è necessaria la loro strumentalizzazione culturale. L'idea della centralità come nozione culturale era ben presente al pensiero varroniano, secondo quanto rende palese un passo del de Lingua Latina, dove viene esplicitato che ciò che viene definito umbilicus non corrisponde a ciò che è effettivamente medium.»
^abcdef GIANCARLO ROSA, GIOVANNI TOMASSETTI, Riqualificazione di Piazza S. Rufo. Rieti, su divisare.com. URL consultato il 25 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 1º giugno 2016).
^ M. G. Fiore Cavaliere, E. M. Menotti, D. Monna, Nuove acquisizioni per la conoscenza detta città di Rieti. Gli scavi di Piazza S. Rufo, in Archeologia laziale IX, nono incontro di studi del Comitato per l'archeologia laziale, 16, Roma, 1988, pp. 356-358.
^abCome riportato dall'iscrizione sulla base del monumento.
^abGiù le mani dalla «caciotta», in Il Tempo Rieti, 20 luglio 2004. URL consultato il 20 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2016).
^abPer ora la «caciotta» resta a S. Rufo, in Il Tempo Rieti, 29 ottobre 2004. URL consultato il 20 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2016).
«Esisteva a Foligno parecchi anni fa un bar bene accorsato, di proprietà d'un personaggio dotato di fervida immaginazione e d'uno spiccato senso della pubblicità. Il personaggio in questione si era convinto che il suo locale aveva una caratteristica ineguagliabile e il ragionamento a sostegno della sua tesi era il seguente: il Mediterraneo è il centro del mondo, l'Italia è il centro del Mediterraneo, Foligno è il centro dell'Italia, il mio locale è il centro di Foligno, il biliardo è al centro del mio locale, il birillo rosso del mio biliardo è al centro del biliardo; "ergo" il birillo rosso del mio biliardo è il centro del mondo.»
«L’Istituto Geografico Militare ha smentito ai miei uffici la circostanza che la prestigiosa struttura dell’Esercito abbia curato uno studio sul centro d’Italia. L’Igm non solo non ne sa nulla ma ha anche ribadito, e lo farà formalmente nei prossimi giorni, un’informazione già nota: lo stivale non è una figura geometrica ed è perciò impossibile determinare la posizione esatta del centro d’Italia.»
^abDocumento che contiene il carteggio con l'IGM, la spiegazione metodologica e i calcoli effettuati dall'appassionato: Giuseppe Angeletti, NARNI CENTRO GEOGRAFICO PENINSULARE D’ITALIA, su pontecardona.it, 2015. URL consultato il 23 maggio 2016. PDF
Dominique Briquel, La zona reatina, centro dell'Italia: una visione della Penisola alternativa a quella romana, in atti del convegno di studi "La Salaria in età antica" (tenutosi ad Ascoli Piceno-Offida-Rieti il 2-4 ottobre 1997), Macerata-Roma, 2000.
L. Sensi, Le «terme» di Cotilia, in atti del convegno di studi "La Salaria in età antica" (tenutosi ad Ascoli Piceno-Offida-Rieti il 2-4 ottobre 1997), Macerata-Roma, 2000.