L'Oro alla Patria fu una manifestazione a carattere nazionale organizzata dal regime fascista, avvenuta il 18 dicembre 1935, durante la quale gli italiani decisero di donare il proprio oro allo Stato.
Le sanzioni non furono efficaci, in quanto molti Paesi non facevano parte della Società e numerosi membri (compresi alcuni dei maggiori) non tennero rigidamente conto delle disposizioni. Le sanzioni vietavano l'esportazione all'estero di prodotti italiani[3] e proibivano all'Italia di importare materiali utili per uso bellico[3], ma non riguardavano materie di vitale importanza, come il petrolio e il carbone, di cui l'Italia non disponeva[3][4].
Gran Bretagna e Francia argomentarono che la mancata fornitura di petrolio all'Italia poteva essere facilmente aggirata ottenendo rifornimenti dagli Stati Uniti d'America e dalla Germania nazista, che non erano membri della Società.
Gli Stati Uniti, infatti, pur condannando l'attacco italiano, ritenevano inappropriato che le sanzioni fossero state votate da nazioni con imperi coloniali come Francia e Gran Bretagna[5].
La "Giornata della fede"
La deliberazione delle pur blande sanzioni fece esplodere il risentimento dei cittadini italiani contro la Società delle Nazioni, provocando la mobilitazione interna: ebbe allora inizio la raccolta dei metalli utili alla causa bellica[3]. L'Italia diede il via alla campagna "Oro alla Patria" e, un mese dopo tale provvedimento della Società delle Nazioni, il 18 dicembre, fu proclamata la "Giornata della fede", giorno in cui gli italiani donarono le proprie fedi nuziali per sostenere i costi della Guerra d'Etiopia allora in corso.[6]
La cerimonia principale si svolse all'Altare della Patria a Roma. La prima a donare la propria fede, unitamente a quella del marito, fu la regina consorteElena[7][8]. A lei seguì Rachele Mussolini, insieme con numerose popolane della capitale[7]: la moglie del capo di governo e dittatore ricordò nelle sue memorie di aver donato inoltre mezzo chilo d'oro[9] e due quintali e mezzo d'argento, frutto dei doni ricevuti dal marito[7]. Nella sola Roma furono raccolti più di 250.000 anelli, mentre a Milano se ne ricavarono circa 180.000[7].
Spiccò fra i dissidenti di questa iniziativa fascista il principe Filippo Andrea VI Doria Pamphilj, da sempre critico sul regime e che diventerà il primo sindaco di Roma dopo la Liberazione della capitale, e la sua consorte, la principessa Gesine Doria Pamphilj[15]. La regina Elena invitò la principessa, di origine scozzese, ad accompagnarla per consegnare la fede, ma la nobildonna britannica rispose seccamente alla regnante con un no: per ripicca le autorità sostituirono il nome di una delle strade dove si affaccia a Roma il Palazzo Doria Pamphilj da ‘Vicolo Doria’ a ‘Via della Fede’; dopo che Roma è stata liberata fu ripristinato il nome originale del vicolo.
A coloro che donarono la propria fede d'oro venne data in cambio una fede di ferro che portava stampigliata la dicitura: ORO ALLA PATRIA - 18 NOV.XIV[16]. Furono raccolte complessivamente 37 tonnellate d'oro e 115 d'argento[16], che, secondo le dichiarazioni del regime, furono inviate alla Zecca dello Stato come patrimonio nazionale[16].
^Domenico Quirico, Lo squadrone bianco, Mondadori, Milano, 2002.
^abNicola Tranfaglia, Il fascismo e le guerre mondiali, UTET, 2011, pag. 309.
^abcdEnzo Biagi, Storia del fascismo, Vol. 2, Sadea-Della Volpe Editori, Firenze, stampa Milano, 1964, pag. 289.
^Arrigo Petacco, Faccetta nera. Storia della conquista dell'impero. p. 98: «Le misure economiche applicate contro l'Italia erano peraltro non molto gravose. Si limitavano alla proibizione di qualsiasi credito e all'embargo sulle armi e su una serie di prodotti necessari alle industrie di guerra, salvo però il carbone e il petrolio. Soprattutto di quest'ultimo l'Italia aveva assoluto bisogno, visto che allora non ne produceva neppure un litro.».
^Arrigo Petacco, Faccetta nera. Storia della conquista dell'impero p. 99: «Secondo il governo di Washington, tradizionalmente anticolonialista, la guerra all'Abissinia era certamente ingiusta e l'Italia meritava la condanna, ma altrettanto era ingiusto che le sanzioni fossero state applicate per volontà del Regno Unito che, essendo un impero coloniale, non aveva maggiori giustificazioni dell'Italia. Meglio quindi restarne fuori e mantenere buoni rapporti con gli italiani.».
^ Petra Terhoeven, Oro alla Patria. Donne, guerra e propaganda nella giornata della Fede fascista, Il Mulino, 2006, p. 174.
^abcGiuseppe Parlato nell'articolo L'Italia resta sola, come la punizione si trasformò in successo su L'illustrazione italiana, N. 4 anno 3, 2012, pag. 8.