Così chiamato in onore di Santa Cecilia, patrona della musica, fu una risposta alla centenaria e quasi totale assenza del Canto gregoriano e della polifoniarinascimentale dalle celebrazioni liturgiche cattoliche, a favore di stili più simili alla musica operistica. Principale criterio delle nuove composizioni doveva essere una maggiore sobrietà e la ricerca, attraverso il canto, della partecipazione dell'assemblea dei fedeli alla liturgia. In questo periodo in quasi tutte le parrocchie nacquero varie "Scholae cantorum", formazioni corali dedite all'animazione liturgica e all'apprendimento dell'arte musicale, e i vari Istituti Diocesani di Musica Sacra (IDMS), che dovevano formare i maestri delle "Scholae".
Arte organaria
Anche l'arte organaria risentì dell'influsso di questo movimento, laddove si videro eliminare tutti quei registri detti "da concerto", tipici dell'organo italiano dell'Ottocento, a favore di sonorità meno fragorose. Quindi si sostituirono ance e mutazioni con fondi, prevalentemente di 8', e registri violeggianti.
Il movimento, come già detto, trovò il massimo appoggio nella persona di papa Pio X, che il 22 novembre 1903 (non a caso il giorno di Santa Cecilia) emanò quello che è considerato il "manifesto" del movimento, cioè il Motu ProprioTra le sollecitudini, in cui ribadiva tutti i concetti cari ai cecilianisti ed esortava tutta la Chiesa cattolica a uniformarvisi.
Al movimento aderirono musicisti, liturgisti e altri studiosi, che intendevano "restituire dignità" alla musica liturgica, sottraendola all'influsso del melodramma e della musica popolare, fondando anche - sempre sotto il nome di Santa Cecilia - scuole, associazioni e periodici.