Per la concentrazione di differenti tipologie di costruzione, il monumento è tutt'oggi considerato unico non solo in Europa, ma nell'intera zona del mar Mediterraneo, tanto particolare da essere associato, erroneamente, per la forma alle strutture di più piani orizzontali sovrapposti (dette "ziqqurat") della Mesopotamia.
Il contesto ambientale
Monte d'Accoddi è situato nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale, e più precisamente nel territorio del comune di Sassari, vicino al vecchio percorso della Strada statale 131 Carlo Felice, in direzione di Porto Torres, in un terreno in origine di proprietà della famiglia Segni.
Il complesso si trova all'interno di una porzione di territorio che registra una importante presenza di monumenti preistorici distanti fra loro poche centinaia di metri.
Tra i più importanti da segnalare, oltre a Monte d'Accoddi, gli antichi cimiteri (chiamati "necropoli") di Su Crucifissu Mannu, Ponte Secco, Li Lioni, Sant'Ambrogio, Su Jaiu, Spina Santa e Marinaru, le tombe costruite con grosse pietre (cioè i "dolmen") e le grandi pietre infisse nel terreno (ossia i "menhir") di Frades Muros, oltre ad una decina di nuraghi.
Storia del complesso
Il monumento, unico nella zona del Mediterraneo, faceva parte di un complesso di epoca prenuragica, sviluppatosi su un'area pianeggiante a partire dalla seconda metà del IV millennio a.C. e preceduto da tracce di visite del neolitico medio.
In un primo periodo si stabilirono nella zona diversi villaggi di capanne a quattro angoli, appartenenti alla cultura di Ozieri, ai quali si collega un cimitero con tombe sotterranee a domus de janas e un probabile tempio con pietre infisse nel terreno, lastre di pietra per sacrifici e sfere di pietra.
Successivamente, popolazioni sempre appartenenti alla cultura di Ozieri costruirono un'ampia piattaforma sopraelevata, a forma di piramide tronca (27 m x 27 m, di circa 5,5 m di altezza), alla quale si accedeva con una rampa. Sulla piattaforma venne costruita una grande struttura rettangolare rivolta verso sud (12,50 m x 7,20), che è stata riconosciuta come tempio (chiamata "Tempio rosso", perché la maggior parte delle superfici sono intonacate e dipinte con ocra rossa); sono presenti anche tracce di giallo e di nero.
All'inizio del III millennio a.C. la struttura probabilmente fu abbandonata (sono state rinvenute anche tracce di incendi). Intorno al 2800 a.C. venne completamente ricoperta da un colossale riempimento, costituito da strati alternati di terra, pietre e calcare del posto polverizzato.
Il riempimento è contenuto da un rivestimento esterno in grandi blocchi di calcare. In questo modo venne creata una seconda grande piattaforma a piramide tronca (36 m x 29 m, di circa 10 m di altezza), accessibile per mezzo di una seconda rampa, lunga 41,80 m, costruita sopra quella più antica. Questo secondo santuario, conosciuto anche come "Tempio a gradoni" è stato attribuito alla cultura di Abealzu-Filigosa.
L'edificio conservò la sua funzione di centro religioso per diversi secoli e venne abbandonato con l'età del bronzo antico: intorno al 1800 a.C. era ormai in rovina e venne utilizzato occasionalmente per sepolture.
Durante la seconda guerra mondiale fu danneggiata la parte superiore dallo scavo di stretti fossati per posizionare sopra delle armi contraeree.
Gli scavi archeologici furono condotti da Ercole Contu (1954-1958) e da Santo Tinè (1979-1990).
Il monumento negli anni ottanta è stato oggetto di un pesante intervento di restauro, con scavi, rimozioni di materiale e ricostruzioni ingiustificate sulla rampa e posizionamento di alcuni resti trovati nell'area.
Descrizione del sito archeologico
L'altare
Le ricerche di Contu prima, e in seguito di Tinè appurarono la presenza di due altari costruiti in periodi diversi, quello più antico e più piccolo è inglobato dalla costruzione più recente.Quest'ultima è costituita da un tronco di piramide con base di 37,50 m (lati nord e sud) per 30,50 m (lati est e ovest) e altezza di 9 m circa. Dal lato meridionale si sviluppa la rampa d'accesso, lunga 41,50 m e larga da un minimo di 7 m ad un massimo di 13,50 nella parte a ridosso della costruzione, che occupava nel suo complesso circa 1600 m².
Il monumento era costruito nella parte più esterna da muri in pietra a faccia singola (a differenza dei nuraghi, che ne hanno generalmente due) costituito da blocchi irregolari di calcare, non poggiati sulla giuntura dei blocchi sottostanti (altra differenza costruttiva rispetto ai nuraghi). Queste murature, inclinate a favore di gravità, sostenevano l'ammasso interno, stratificato, di terra e pietrame, organizzato in cassoni di contenimento e si sono conservate intatte nella porzione di sud-est fino a 5,40 m di altezza.
La rampa era costruita con la stessa tecnica man mano che procedeva la costruzione del tronco di piramide, in modo da servire come piano inclinato per edificare il resto dello stesso edificio.
Il tempio interno, era egualmente del tipo "a terrazza" con base quadrangolare di 23,80 m x 27,40 e altezza di 5,50 m al quale era collegata una rampa di 25 m circa di lunghezza che permetteva di raggiungere la cella (12,50 m x 7,25 m) che sovrastava la struttura. Della cella, o sacello, che era l'ambiente più sacro della struttura, rimangono oggi il pavimento ed il muro perimetrale per un'altezza di 70 cm, entrambi intonacati di rosso ocra.
Altri manufatti
Oltre all'altare nel complesso archeologico di Monte d'Accoddi sono presenti altri monumentali artefatti prenuragici.
Nel lato est della rampa, a pochi metri da essa è presente un lastrone di compatto calcare di 8,2 tonnellate di circa tre metri per tre, che costituiva un dolmen o forse una tavola per offerte. La seconda ipotesi sembra essere confermata dalla presenza di sette fori passanti nei bordi della pietra che potevano servire a legare le vittime degli eventuali sacrifici. La lastra è posta sopra un inghiottitoio naturale ed è contemporanea all'altare più recente.
Nello stesso lato della rampa d'accesso, e proprio a ridosso di essa fu trovata un'altra lastra, questa in trachite, del peso di circa 2,7 tonnellate.
Nel lato opposto della rampa è stato recentemente rialzato un menhir là trovato, di calcare squadrato e forma allungata, alto 4,40 m e pesante 5,7 tonnellate.
Questi tre manufatti sono oggi visibili nella posizione originaria e gli ultimi due sembrano essere coevi dell'altare più antico.
Altri due monumenti litici, provenienti dalla zona ad est del complesso sono stati collocati nei pressi della lastra più grande, e sono due pietre calcaree sferoidali, la più grande, lavorata, pesa più di una tonnellata ed ha una circonferenza di 4,85 m, mentre la seconda ha un diametro di circa 60 cm.
Ipotesi sulle origini del nome e sul monumento
Sul monumento vi sono tuttora solo delle ipotesi sia sul nome che sulla tipologia del monumento stesso. Il nome akkoddi sembra derivare dal sardo arcaico Kodi che significava: monte e da cui deriverebbe l'altro nome sardo Kodina o Kudina che sta ad indicare " pietra ". Ma quella riportata sopra è una delle tante ipotesi sull'origine del nome, tuttavia ne esistono diverse ma abbastanza confuse[2]. L'altare sulla torre era considerato il punto di incontro tra umano e divino e si pensa che un gran numero di animali – sicuramente bovini - venissero sacrificati per propiziare la rigenerazione della vita e della vegetazione. Ai piedi della piramide a gradoni sono stati ritrovati dagli archeologi grandi accumuli composti da resti di antichi pasti sacri[3] ed anche oggetti utilizzati durante i riti propiziatori.
Numerose sono anche le ipotesi sull'utilizzo che ne veniva fatto[4]. Sulle credenze religiose, sui concetti di fertilità e riproduzione legati al monumento e sulle antiche credenze dell'unione tra il cielo e la terra, ci sono anche le ipotesi dell'archeologo Giovanni Lilliu.[5]
Vi è infine un'ipotesi, formulata dall'appassionato Eugenio Muroni, secondo la quale la simmetria dell'altare prenuragico riprodurrebbe le stelle della Croce del Sud[6], oggi non visibile dal sito di Monte d'Accoddi, a causa della precessione degli equinozi, ma che 5000 anni fa era probabilmente visibile nel settore sud del cielo sardo, come confermato dal fisico Gian Nicola Cabizza[7][8]. Secondo questa teoria, le forme stilizzate, a croce secca, della Dea Madre, stele posizionata a nord del monumento, realizzata in granito rosso, non hanno neanche il segno o la modanatura del piccolo busto presente in altre dee madri coeve; per cui, secondo Muroni, si volle realizzare un qualcosa ispirato ad una forma a croce che altro non poteva essere che la nota costellazione, significando, al contempo, il passaggio dal culto meramente terragno a quello astrale, e quindi ad uno stadio culturale maggiormente evoluto.
^Scriveva Ercole Contu Come l'origine della collinetta, persino il nome, Monte d'Accoddi, risultava piuttosto misterioso...(...) Più problematica appariva la seconda parte del nome, che venne fatta derivare da un'erba (kòdoro, cioè terebinto) o da luogo di raccolta (accoddi) o da corno (la corra) o, addirittura, dall'espressione che in sardo si usa per dire facciamo l'amore?! Solo di recente il prof. Virgilio Tetti ha potuto accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è Monte de Code, che significava Monte-collina delle pietre (coda/e significa pietra/e).in E. Contu, Sardegna Archeologica - L'Altare preistorico di Monte D'Accoddi, p. 37. Si veda online questo studio.
^....Di conchiglie, persino ancora ammucchiate (quali resti di pasti sacri) accanto a ceneri e carboni, se ne sono trovate in abbondanza in tutta l'area intorno al grande altare a terrazza; e numerosi erano anche i resti pasto di altro tipo, comprendenti più o meno gli stessi mammiferi attuali, domestici e selvatici, e lumache; oltre che ricci di mare, cozze, orate ecc. e persino grandi bocconi conici di mare o Charonia, usati anche come strumento per suono a fiato, cioè come bùccina. in E. Contu, op. cit., p. 55
^(...) anche la piramide tronca di Monte d'Accoddi doveva, probabilmente, servire per le feste sacre dell'inizio dell'anno agrario, nelle quali si svolgevano riti propiziatori della fertilità, quali il matrimonio del Cielo con la Terra: raffigurato, questo, da una donna che – secondo Erodoto, storico greco del V sec. av. C. – si univa a un personaggio divino o a chi lo rappresentava. in E. Contu, op. cit., p. 66
^... Il tipo di tempio conosciuto - l'altare di Monte d'Accoddi presso Sassari - è basato sulla concezione vegetativa-uranica dell'albero della vita, un simbolico altissimo albero che avrebbe unito terra e cielo. Sull'alto dell'altare il dio Sole sarebbe sceso a giacersi con la Grande Sacerdotessa, immagine terrena della Dea Madre, o dea della fertilità agraria e umana. Documenti e simboli di queste divinità sembrerebbero una grossa pietra sferica (paragonabile all'omphalos del culto apollineo), e due menhir di diverso colore: bianco e rosso (colori che stilizzano le carni femminili e maschili); lo sono parecchie statuette femminili marmoree rinvenute tra le rovine dell'edifizio che è in forma di tronco di piramide terrazzata preceduta da una rampa sulla fronte. in Giovanni Lilliu, La società in Sardegna nei secoli - Prima dei nuraghi, pp. 15-16
^Eugenio Muroni ha sostenuto questa tesi nel suo libro Monte d'Accoddi. La dimenticata nave di una patria perduta, 2008
^La teoria è supportata anche dalle assonanze cromatiche riferibili al rosso della grande stele antropomorfa riproducente, verosimilmente, la Dea Madre neolitica, stilizzata secondo le forme della costellazione australe e una stele sacrificale in trachite rossa posizionata a fianco del monumento. Entrambe insistono nella stessa posizione che in cielo hanno la stella rossa Gamma in testa della costellazione e la stella Epsilon di lato alla Croce. Un'altra ulteriore conferma si ha dalla posizione di un grande muro megalitico semicircolare,a doppio paramento, innestato nel primo terzo del fianco curvilineo della rampa. Questa figura sembra riprodurre quello che è noto in cielo, nella Via Lattea meridionale, di fianco alla Croce del Sud, come Sacco di Carbone, una piccola nebulosa oscura nota a tutte le popolazioni del sud del mondo.
Luciano Zeppegno e Claudio Finzi, Alla scoperta delle antiche civiltà della Sardegna Roma: Newton Compton, 1977, SBL0158332
AA. VV., Ichnussa. La Sardegna dalle origini all'età classica, Milano, 1981
Giovanni Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all'età dei nuraghi, Torino, 1988
Ercole Contu, Monte d´Áccoddi (Sassari). Problematiche di studio e di ricerca di un singolare monumento preistorico, Oxford, 1984
Santo Tinè, Susanna Bafico, Tiziano Mannoni, Monte d'Accoddi e la Cultura di Ozieri, in "La Cultura di Ozieri: problematiche e nuove acquisizioni", Ozieri, 1989, pp. 19–36
Santo Tinè (a cura di), Monte d'Accoddi. 10 anni di nuovi scavi, Sassari, 1992