Cultura di Ozieri

Senorbì Mater Mediterranea - IV millennio a.C. - Museo archeologico nazionale di Cagliari.

La cultura di Ozieri (o di San Michele) fu una cultura prenuragica che si sviluppò in tutta la Sardegna durante un periodo di tempo che va dal 4000 a.C. al 3300 a.C. Il suo nome deriva dalla località in cui sono state rinvenute per la prima volta testimonianze importanti e precisamente in una grotta chiamata di San Michele, presso la cittadina di Ozieri nella Sardegna settentrionale.

Gli scavi archeologici effettuati nel 1914 e successivamente 1949 hanno portato alla luce oggetti con rifiniture fino ad allora mai viste in Sardegna. Tali ritrovamenti evidenziano chiaramente il notevole progresso sociale e culturale conseguito dalle popolazioni preistoriche sarde, progresso che si estese anche oltre lo stretto di Bonifacio, fino alla vicina Corsica[1].

Nella grotta di San Michele furono rinvenuti vasi finemente lavorati e forniti di tripodi, con motivi geometrici incisi elegantemente sull'argilla e colorati con ocra rossa. I più datati si presentano di forma tonda e poco rifiniti, mentre quelli di epoca più tarda sono fortemente stilizzati e con una forma più affinata. Sulla base di questi importanti ritrovamenti gli archeologi sono concordi nel definire la Cultura di Ozieri come la prima grande cultura sarda.

Frammento di vaso con figure umane, Museo nazionale archeologico ed etnografico G. A. Sanna

Origini orientali

Gli studiosi considerano questo tipo di vasellame come una novità per la Sardegna neolitica e fino ad allora simili manufatti erano ritenuti tipici delle isole Cicladi e di Creta. Si presume che a seguito di importanti scambi con quelle lontane isole, nuove tecniche manifatturiere, nuove conoscenze nella metallurgia e nuovi stili di vita, vivificarono le esistenti culture dando un notevole impulso ai commerci e originando una più evoluta società civile organizzata stabilmente in tante comunità. Alla luce di queste preziose testimonianze l'origine della Cultura di Ozieri fu definita di provenienza orientale e tali ritrovamenti dimostrarono inequivocabilmente il forte scambio culturale e commerciale intercorso tra i sardi pre-nuragici e popolazioni neolitiche greche.[2]

Ceramica della cultura di Ozieri

Struttura socio-economica

Secondo uno dei più noti studiosi della preistoria sarda, l'archeologo Giovanni Lilliu, una peculiarità di questa cultura fu l'evolversi progressivo da una originaria società di tipo urbano e sedentario, ad una società rurale e contadina dove le popolazioni vivevano prevalentemente raggruppate in piccoli villaggi.

Questa importante caratteristica - sempre secondo il noto studioso - ha un preciso significato storico perché individua le origini e spiega i successivi modelli di sviluppo della Sardegna attraverso i secoli, modelli calcati (in parte ancora oggi) sul tipo di società del villaggio[3]

I villaggi

Villaggio di Monte d'Accoddi

Sono stati rinvenuti dappertutto nell'Isola, sia nelle pianure che nelle montagne, più di 200 piccoli centri rurali, costituiti prevalentemente da capanne costruite in pietra, con un muro circolare (ma anche rettangolare) sul quale veniva poi adagiata una struttura in legno ricoperta successivamente di frasche.

A Puisteris, vicino a Mogoro ne è stato ritrovato uno formato da 267 capanne, si pensa erette anche su pali infissi nel terreno. I pavimenti erano costituiti da lastre di calcare, di acciottolato di basalto o argilla battuta.

La totale mancanza di fortificazioni a difesa dei villaggi e la scarsità di armi rinvenute nelle sepolture, lasciano intuire che queste genti coabitavano pacificamente il territorio e nessuna evidenza lascia trasparire segni di quella bellicosa classe di guerrieri che sorgerà, più tardi, fortissima e dominante, durante la civiltà nuragica, anche se, nella facies gallurese già si intravede la nascita di una particolare aristocrazia, in contrasto con la struttura tendenzialmente democratica della corrente principale nella cultura di Ozieri.

San Giovanni Suergiu, Necropoli di Is Loccis-Santus.

Il culto dei defunti

Importanti vestigia testimoniano tra le genti abitanti la Sardegna in quel periodo, il graduale svilupparsi di un articolato universo spirituale con vari e particolari culti ad esso connessi. Tra questi sicuramente il più importante fu quella relativo ai defunti ed al loro caratteristico seppellimento inumatorio in particolari grotticelle scavate abilmente nella roccia.

I ricercatori ritengono questa usanza tipica di quelle società contadine che, sviluppando particolari concezioni sacre, identificarono nella conservazione dei corpi una maniera per assicurarne anche la rigenerazione della vita, rigenerazione che - secondo queste credenze - avveniva attraverso la naturale rinascita stagionale dei cicli vegetativi. Anche la colorazione dei cadaveri con ocra rossa aveva un significato rigenerativo in quanto il rosso era il colore del sangue e dipingendoli di rosso - secondo queste credenze sulla fertilità - si restituiva la vita[4].

Necropoli di Montessu (Villaperuccio), interno di una Domus de janas

Le diverse sepolture

Così come le capanne costituivano un villaggio, anche le sepolture erano raggruppate in piccole 'comunità di defunti': le necropoli, che i sardi successivamente chiamarono Domus de Janas. Molte di esse, quelle più monumentali, sono considerate sepolture di capi politici e forse anche religiosi, come avveniva a Creta ed in altre parti dell'oriente mediterraneo. La raffinatezza con la quale erano decorate le pareti ed il ritrovamento di elaborati manufatti confermano le ipotesi di una società molto ben organizzata e culturalmente avanzata. Numerosi sono gli esempi di queste particolari costruzioni e si possono distinguere principalmente due tipi di sepolture:

Le tombe ipogeiche

Lo stesso argomento in dettaglio: Domus de janas.

Sono state ritrovate - sparse su tutta l'isola - più di 1.000 camere funerarie tagliate nella pietra e considerate indubbiamente di Cultura Ozieri. Legate a particolari credenze, esse rappresentavano le case abitate dai defunti durante la vita terrena ed erano perciò articolate con varie stanze e con precisi orientamenti, fornendoci in questo modo, una reale rappresentazione delle vere abitazioni, delle quali non ci sono pervenute che poche tracce, essendo state costruite essenzialmente in legno. Le pareti delle tombe erano sovente ornate da simboli magici in rilievo: teste di bue più o meno stilizzate, corna taurine, spirali o altri disegni geometrici. La riproduzione di alcune particolari case d'abitazione ricordano le tombe etrusche ma queste sono datate in epoche ben più recenti.

Ad Anghelu Ruju, nella zona di Alghero, si notano porte finte e protomi taurine dipinte sugli architravi delle tombe.

Arzachena, Circoli megalitici di Li Muri

Le sepolture a circolo

Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di Arzachena.

Verso la fine del IV millennio e l'inizio del III, nelle gallure vennero edificate un particolare tipo di tombe, dette a circolo. È oramai accertato che la cultura di Ozieri al suo interno dava vita a varie differenziazioni. Una di queste è il cosiddetto aspetto dei circoli megalitici, chiamato fino a non poco tempo fa come cultura di Arzachena o anche aspetto culturale corso-gallurese, in quanto i ricercatori ritenevano le importanti strutture megalitiche galluresi e corse, espressione di una differente cultura.

Le più recenti scoperte hanno invece dimostrato che i circoli megalitici galluresi sono stati in realtà edificati da genti di cultura Ozieri, a conferma della diversità esistente all'interno della stessa cultura principale. Queste particolari sepolture sono costituite da pietre infisse verticalmente seguendo la circonferenza di un cerchio e delimitando un'area al centro della quale si trovava una urna in pietra di forma quadrangolare, la cui utilità, si suppone, fosse quella di contenere i corpi scarnificati dei defunti, ormai ridotti a scheletri dopo una lunga esposizione agli agenti atmosferici.

Cuccuru s'Arriu, statuina femminile. Cagliari - Museo archeologico Nazionale

La figura della Dea Madre

La religiosità di queste popolazioni era strettamente legata alla natura e a tutte le sue manifestazioni (come le fonti d'acqua, la pioggia, i boschi), ma dalle testimonianze dei reperti archeologici, traspare un importante culto legato alla fecondità e che aveva come figura centrale la Dea Madre, come i loro predecessori neolitici.

La rappresentavano attraverso statuine di marmo e di argilla, dalle forme lineari e geometriche, ma spesso anche molto esuberanti, a testimonianza di una concezione matriarcale del divino che richiama da vicino le piccole statuine dell'isola di Malta, evidenziando ancora una volta la prossimità culturale fra l'Oriente e l'Occidente del Mediterraneo.

Lo studioso Giovanni Lilliu, a proposito di questa singolare credenza delle antiche genti sarde, così si esprime:

«La figura della madre terrena, doppio della vegetazione, viene nobilitata e transumanata nella figura della madre celeste, la Dea Madre, di cui si ripetono numerose le immagini, in pietra e di terracotta, o i disegni simbolici, che la riproducono ora seduta ora in piedi, in forme talvolta esuberanti e carnose proprie della natura gravida di frutti, ora in espressioni schematiche e trascendenti coerenti con il concetto astrattivo della divinità e con la concezione dualistica della vita, fatta di cose concrete e di simboli, caratteristica della civiltà e della società contadina attenta a terra e cielo, nel rapporto agrario continuo ed organico.»

Corna taurine scolpite in una nicchia funeraria di una Domus de janas

La figura del Dio Toro

Altra particolare caratteristica della cultura di Ozieri è la figura astratta del Dio Toro, ossia il culto del bue. Secondo queste antiche credenze, questo animale incarnava la fertilità maschile legata al concetto della fecondità agraria, essenziale per lo sviluppo delle popolazioni nelle civiltà del Rame e del Bronzo. Queste credenze lasciano supporre che per gli antichi sardi esisteva un forte legame tra il simbolismo materno (e lunare) con il simbolismo taurino paterno (e solare).

Su questi particolari culti, lo studioso Giovanni Lilliu scrive:

«Altra espressione di questa società rurale... è il culto del bue (o del toro), figura dell'agricoltura evoluta all'aratro, che diventa il partner della Terra madre, cioè della Dea Madre; e come questa, protegge vivi e morti. Il dio maschio e padre si riconosce per segni diversi. Talvolta è simboleggiato da grandi pietre verticali appuntite (i cosiddetti menhir), di evidente carattere fallico. Altre volte, nelle tombe sotterranee scavate nella roccia, la sua immagine aniconica è la colonna liscia o anche segnata da uno schema di corna bovine in rilievo. Il più delle volte, protomi taurine, scolpite o dipinte, isolate in coppia o con plurime iterazioni evocative, ornano porte e pareti delle domus de janas e rendono dappertutto presente e insistente la simbologia magicamente protettiva e restauratrice del bue come personificazione divina caratteristica e necessaria della società agricola.»

L'ingresso della grotta di San Michele a Ozieri

Note

  1. ^ Angela Antona, dal suo libro: Il complesso nuragico di Su Brandali e i monumenti archeologici di Santa Teresa di Gallura, pag 13: Il sincronismo culturale e cronologico del megalitismo in Gallura e Corsica fa ipotizzare, con sufficienti margini di certezza, che proprio il braccio di mare delle Bocche di Bonifacio possa aver rappresentato un trait d'union fra le due isole, nell'ambito di attività di scambio delle quali il territorio teresino doveva essere attivamente partecipe.
  2. ^ Giovanni Lilliu: Prima dei nuraghi in La società in Sardegna nei secoli, pag. 9
  3. ^ Giovanni Lilliu, La società in Sardegna nei secoli, Prima dei Nuraghi, pag. 12
  4. ^ Secondo lo studioso Giovanni Lilliu,«... La credenza nella resurrezione dei corpi era considerata un tutt'uno con la rinascita stagionale degli elementi naturali prodotti dalla terra sia nei cicli vegetativi spontanei sia in quelli attivati dalla coltivazione dei campi. Significato rigenerativo aveva pure nella cultura di San Michele la colorazione dei cadaveri con ocra rossa, poiché dipingendoli di rosso - il colore del sangue - si riproduceva magicamente il sangue stesso, cioè si restituiva la vita ai morti, in un modello di resurrezione proprio della religione della fertilità agraria e naturale» da: Giovanni Lilliu, La società in Sardegna nei secoli, Prima dei Nuraghi, pag. 14

Bibliografia

  • Lilliu, G. La civiltà dei Sardi dal neolitico all'età dei nuraghi. Torino - Edizioni ERI - 1967.
  • AA.VV. La civiltà in Sardegna nei secoli - Torino - Edizioni ERI - 1967.
  • Casula F.C. - La storia di Sardegna - Carlo Delfino Editore, Sassari, 1994.
  • Lilliu G. sculture della Sardegna nuragica Verona 1962.

Bibliografia in PDF

  • Roberto Caprara, La necropoli di S. Andrea Priu, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1986, [1].
  • Maria Pina Derudas, Necropoli ipogeiche di S'Adde 'e Asile e Noeddale (Ossi); Carlo Delfino Editore, Sassari, 2004, [2].
  • Giovanni Demartis, La necropoli di Puttu Codinu, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1991, [3]

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