«Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca.»
(Giuseppe Gioachino Belli, introduzione alla raccolta dei sonetti)
Un banditore del re si aggira per la città, gridando ai popolani un editto scritto dal re. Il re dichiara i suoi pieni poteri nella città, dicendo che può fare quel che vuole, senza preoccuparsi di essere contestato da qualcuno. Andando avanti con la sua dichiarazione, il banditore, per mezzo del re, nell'editto sostiene che nel mondo chi non sia nato potente non può far nulla per cambiare l'ordine delle cose. Il popolo, interrogato dal banditore sulla faccenda, risponde che è la pura verità.
Il breve contenuto, al di là della sua indeterminatezza quasi fiabesca (non si specificano le coordinate spazio-temporali della vicenda, né tantomeno l'identità del sovrano), vorrebbe mostrare satiricamente la situazione italiana del 1800. La frase Io so' io e voi nun ziete un cazzo!, descriverebbe la condizione del popolo dell'epoca di fronte ai potenti.
Tuttavia il sonetto, se interpretato più ampiamente, può riguardare qualsiasi popolo che è governato da istituzioni corrotte. Come dice nel sonetto l'autore, chi non sia Papa, Re o Imperatore nella società, non conta nulla, e nell'editto l'anonimo re obbliga il popolo a obbedirgli, dacché lui ha il diritto di vita e di morte su ogni uomo.
Il sonetto ne Il marchese del Grillo
«Ah... mi dispiace. Ma io so' io... e voi non siete un cazzo!»
(Il marchese Onofrio del Grillo al popolo dell'osteria nel film Il marchese del Grillo)
Il sonetto è stato riscoperto in campo cinematografico nel 1981, dal momento che rappresenta uno dei temi principali del film Il marchese del Grillo di Mario Monicelli con Alberto Sordi, pellicola ambientata proprio nella Roma del Belli. Infatti Sordi - nei panni del ricco, pigro e sfaccendato marchese - pronuncia la frase dinanzi ad un gruppo di popolani tra i quali si era mischiato in un'osteria, che sono stati appena arrestati dopo una rissa (arresto al quale il marchese, in virtù del suo rango, rimane immune). La sua frase Mi dispiace: io so' io, e voi non siete un cazzo! è tratta dal componimento.
I temi presenti in questo sonetto però fanno parte anche di un'altra sequenza del film. Il prete Don Bastiano (Flavio Bucci), scomunicato da papa Pio VII per aver ammazzato un nobile napoletano che gli aveva insidiato la sorella, vive in esilio fuori città. Un giorno Don Bastiano viene catturato, e, una volta confermate le accuse a suo carico, viene condannato a morte mediante la ghigliottina. Poco prima di morire, mentre il condannato viene portato in piazza e sbeffeggiato da tutto il popolo, Don Bastiano ha il coraggio di denunciare le malefatte dei potenti, rimproverando al popolo di essere talmente sciocco e cieco da non rendersi contro della sua situazione di semi-schiavitù. Dopo il suo discorso il popolino, anziché insultarlo, lo applaude fragorosamente mentre viene decapitato.
«E adesso, pure io posso perdonare a chi mi ha fatto male. In primis al Papa, che si crede il padrone del Cielo. In secundis a Napoleone, che si crede il padrone della Terra. E per ultimo, al boia qua, che si crede il padrone della morte. Ma soprattutto, posso perdonare a voi, figli miei, che non siete padroni di un cazzo!»
(Don Bastiano, dal discorso finale nel film Il marchese del Grillo)