Roma, 1809. Il marchese Onofrio del Grillo, nobile romano alla corte di papa Pio VII, trascorre le sue giornate, che cominciano sempre tardi al mattino (con i servi del palazzo costretti a non fare rumore fino al suo levarsi), nell'ozio più completo, frequentando bettole e osterie, coltivando relazioni amorose clandestine con popolane e tenendo un atteggiamento ribelle agli occhi di sua madre e della parentela conservatrice, bigotta e autoritaria.
Il suo principale passatempo, che lo rende famoso in tutta la città, è costituito da innumerevoli scherzi e beffe, nei quali è sempre accompagnato dal fedele Ricciotto, e dei quali risulta spesso vittima la sua aristocratica famiglia, composta da personaggi stravaganti e chiusi al mondo esterno: una madre affezionata, ma ostile e conservatrice; una parente povera di nome Genuflessa innamorata segretamente di lui; una sorella (con un alito terribile) sposata e con un figlio adolescente, che si reca costantemente dal cappellano di famiglia a confessare masturbazione, e uno zio, ossessionato dall'idea di far beatificare una loro antenata.
Il ricco nobile proprietario terriero è in grado sempre di uscire indenne dalle tante beffe e provocazioni organizzate, sfruttando la propria posizione sociale e spendendo senza remore il patrimonio. Un incontro casuale con il povero carbonaio alcolizzato Gasperino, suo perfetto sosia, consente ulteriori burle e persino di scampare inconsapevolmente ad una condanna a morte emanata dal pontefice, comunque sospesa in extremis.
Il suo impudico edonismo e gli scherzi nei confronti di mendicanti, papi e consanguinei, proseguono liberamente fino al giorno in cui Napoleone invade lo Stato Pontificio ed i francesi occupano Roma. L'incontro con una bellissima cantante lirica straniera (essendo rimosso dagli invasori il limite che solo uomini possano esibirsi in teatro - in particolare, con castrati a recitare nelle parti da donna) ed un ufficiale dell'armata napoleonica gli fanno pensare per la prima volta di abbandonare Roma per Parigi ed una vita meno provinciale ed autoreferenziale. Il viaggio comincia ma viene presto abbandonato, dopo la sconfitta in battaglia delle truppe imperiali in Italia.
Il pontefice Pio VII ritorna sul trono, finge a sua volta di condannare a morte il marchese (arrestando per errore tuttavia il carbonaio Gasperino), ma gli concede poi la grazia e persino di riprendere il suo posto tra i sediari pontifici. Tutto ritorna come prima, solo il sosia povero del marchese sembra apprezzare maggiormente la propria vita anche se misera, dopo aver rischiato la morte nel lusso.
Il covo del brigante Don Bastiano è collocato in una delle località più suggestive, posta a nord della capitale: trattasi delle antiche rovine di Monterano, un borgo agricolo appartenuto alla famiglia Altieri che in epoca tardo medievale conobbe un relativo benessere.
La piazza della città era occupata dalla chiesa di San Bonaventura e dal relativo monastero, costruiti su progetto di Gian Lorenzo Bernini: nella navata centrale della chiesa, oggi occupata da un gigantesco albero di fico, è girata la scena dell'incontro tra il brigante e il marchese del Grillo.
Il palazzo del Marchese è ambientato a Palazzo Pfanner a Lucca, amputato (per mezzo di un'altissima quinta) dei celebri giardini e della vista sulle mura di Lucca; la scena sulla terrazza, tuttavia, è girata nella loggia della Casa dei Cavalieri di Rodi, riconoscibile dalle due porte dell'appartamento Barbo, dagli affreschi e da una rapida inquadratura verso il Campidoglio.
La scena nella quale il Marchese lancia dapprima delle pigne, poi delle monete roventi a dei mendicanti, è stata girata a Palazzo Pfanner a Lucca. Il camino nel quale il marchese arroventa le monete è un artificio di scena, aggiunto per le riprese addossandolo alla parete affrescata.
La scena dell'arrivo in carrozza del Marchese e dell'ufficiale francese al casolare abbandonato di famiglia è stata girata nelle campagne adiacenti a Tarquinia, in provincia di Viterbo: il Casale della Civita (ormai crollato), opportunamente allestito con finte colonne, fu usato solo per le riprese esterne. Le riprese interne della stessa ambientazione vennero invece girate a Villa Grazioli, situata a Grottaferrata in provincia di Roma.
La piccola strega operante un malocchio e che il Marchese concilia con un baiocco arroventato, che non provoca nessun dolore alla giovane, è un'allora giovanissima Rom, priva di capelli per una patologia dermatologica, conosciuta dagli abitanti del quartiere presso gli studi di Cinecittà.
All'inizio del viaggio, i due percorrono un viottolo adiacente ai resti dell'Acquedotto Claudio, alla periferia di Roma (facente oggi parte del parco degli Acquedotti), che punta in direzione opposta a quella di Tarquinia.
Le scene degli appartamenti papali, non potendo essere effettuate al Quirinale, furono girate in Campidoglio nelle sale degli attuali Musei Capitolini. L'ufficio del Papa è l'attuale sala "di Annibale", mentre la camera da letto del pontefice fu allestita nella sala "degli Arazzi". L'inquadratura in cui il Marchese viene perdonato dal pontefice, dopo lo scherzo delle campane a morto, davanti alle impalcature con 2 operai intenti nel restauro di un soffitto, è la sala "delle oche".
Gli scaloni delle riprese in cui i Francesi irrompono di notte, nel palazzo del Quirinale, sono gli stessi che si utilizzano per l'accesso alle sale del museo.
La stessa scena finale in cui il marchese trasporta il pontefice sulla Sedia gestatoria culmina con l'entrata nella sala "degli Orazi e Curiazi".
Distribuzione
Edizioni
L'edizione uscita in DVD nel 2003 contiene alcune scene che non comparivano nell'edizione uscita in VHS, che durava solo 127 minuti. Dal giugno 2012 è uscita una nuova edizione curata dal produttore e dal direttore della fotografia che include alcuni contenuti speciali, compresa un'intervista al regista Mario Monicelli. Nelle prime uscite in televisione, veniva mostrata la scena in cui appariva in primo piano la testa mozzata di Don Bastiano, dopo essere stato ghigliottinato. Successivamente la scena fu tagliata e la testa di Don Bastiano mostrata solo da dietro.
Accoglienza
Incassi
Il film, uscito nelle sale il 22 dicembre 1981, è stato il secondo maggiore incasso nella stagione cinematografica italiana 1981-82 con quasi 12 miliardi di lire[2][3].
La figura storica del marchese, come viene rappresentata da Mario Monicelli, è per tanti aspetti incerta. La più antica fonte al riguardo è un libretto pubblicato nel 1887 da Raffaello Giovagnoli, che lo definisce "un gentiluomo romano, nato tra il 1730 e il 1740, morto verso il 1800". L'autore, che scrive più di ottanta anni dopo la presunta morte del nobile romano, afferma di non essere riuscito a sapere il suo nome di battesimo. Inoltre, precisa che, per molti, il suo titolo nobiliare era quello di duca e che delle gesta raccontate era oltremodo difficile separare le vere da quelle prodotte dalla leggenda popolare, creata sul suo nome.[4]
I discendenti allora in vita dei Del Grillo sostenevano che fosse realmente esistito e che il loro avo era "dotato di uno spirito originale, stravagante, bizzarro e argutissimo" . La nobile casata del Grillo comunque rappresentava una delle famiglie aristocratiche più in vista della città: il palazzo nobiliare appartenuto alla casata si erge ancora nella strada che dalla famiglia ha preso il nome, Salita del Grillo, ed è collocato in una delle zone più centrali di Roma, tra il colle Quirinale e via Cavour, a ridosso dei Fori Imperiali.
Poco avvezzo alla cultura[4] il giovane marchesino è insofferente anche alle ferree regole della sua famiglia aristocratica e fin da ragazzo evade dalla noia di precettori e libri prendendosi gioco della gente "senza distinguere le persone per il censo".[5] Nobili e popolani sono ugualmente presi di mira ma il nobiluomo ha una forte antipatia - che spesso degenera in odio - soprattutto verso gli ebrei, anche se il film edulcora il carattere antisemita di Del Grillo. La scena in cui il marchese cinematografico lancia dapprima frutta fresca, e quindi delle pigne, a un gruppo di mendicanti, è ripresa dall'abitudine che il vero nobile avrebbe avuto di prendere a sassate dal suo palazzo gli ebrei che passavano sotto casa sua.[6] La scelta di lanciare delle pigne contro gli ebrei sarebbe dovuta all'ordine impartitogli dal Papa, pressato dalle proteste, di abbandonare i sassi in favore della frutta.
Anche gli episodi dell'ebanista e del carbonaio sono raccontati dal Giovagnoli. Secondo la sua ricostruzione:
l'ebanista sarebbe stato in realtà il falegname di casa Del Grillo, che il marchese si mette in testa di non pagare perché, dice poi al Papa che gli chiede conto delle campane di Roma fatte suonare a morto, voleva mettere alla prova la giustizia;[7]
il carbonaio si chiamava Baciccia ed aveva bottega in via Tomacelli. Trovatolo in strada, annientato da una grande sbornia, e fattolo ripulire per bene, il marchese lo fa sistemare nel suo letto e si finge per una giornata il suo maggiordomo.[8]
Citazioni letterarie
La celebre frase che il Marchese rivolge a un gruppo di popolani («Mi dispiace, ma io so' io e voi non siete un cazzo!») è ripresa dal sonetto Li soprani der Monno vecchio di Giuseppe Gioachino Belli, che comincia così: «C'era una vorta un Re cche ddar palazzo / mannò ffora a li popoli st'editto: / "Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo"».[9]
Sempre del Belli è il sonetto Er Ricordo, in cui viene narrata la tradizione romana che vede i padri schiaffeggiare i figli come ammonimento, dopo aver assistito a un'esecuzione, così come il Marchese del Grillo fa con Olimpia.
L'episodio dello scambio d'identità tra il nobile e l'umile carbonaio s'ispira a diversi racconti della letteratura, tra i quali appunto la biografia del buontempone romano e la novella Storia dell'uomo addormentato ridestato, della raccolta di novelle arabe Le mille e una notte, ambientata nella mitica Baghdad medievale, dove a farne le spese è un giovane popolano narcotizzato da un sultano, per vivere per un giorno i fasti del nobile e poi tornare alla propria vita ordinaria per essere ritenuto pazzo e, successivamente, generosamente ricompensato dal sultano stesso. Una sostituzione assai simile si rinviene anche ne La bisbetica domata, di William Shakespeare, in cui Cristopher Sly, un ubriacone, è raccolto da un nobile che comanda ai suoi servitori di lavarlo e vestirlo, per poi fargli credere di essere un ricco nobile rimasto addormentato per anni in preda a una forma di pazzia. Il tema dello scambio d'identità è centrale anche in un'altra celebre narrazione, ovvero la Novella del Grasso legnaiuolo, in cui si racconta di una beffa ordita da Filippo Brunelleschi ai danni di un ebanista di nome Manetto Ammanatini, al quale viene fatto credere di essere un poveraccio che vive sulle spalle dei propri cari. In questo caso la beffa riesce tanto bene da far dubitare a Manetto della sua stessa identità.
Il monologo di Don Bastiano sul patibolo è stato ripreso dai Mercanti di Liquore come prima traccia del loro album La musica dei poveri.
Inesattezze storiche
Le vicende narrate coprono un arco temporale di all'incirca sei anni: dal 1808, quando i francesi conquistano lo Stato Pontificio, fino al 1814 con la caduta di Napoleone e la restaurazione della monarchia in Francia con Luigi XVIII; ciononostante nel film gli eventi sembrano susseguirsi nel giro di poche settimane senza specificare eventuali salti temporali.
All'inizio del film quando il Marchese è in carrozza con il capitano Blanchard dice che l'inno del Papa è Noi vogliam Dio ma si tratta di un anacronismo in quanto esso non fu composto fino al 1882.
Quando l'armata del generale Miollis arresta il Papa, si fa sapere alla popolazione che Roma è sotto l'influenza francese con un comunicato che riporta la data del 17 maggio 1809 ma ciò non è corretto in quanto l'invasione era invece avvenuta il 2 febbraio del 1808.
Tra le scene viene mostrato prima l'arresto del Papa e successivamente l'innalzamento della bandiera francese su Castel Sant'Angelo come se i due eventi si fossero verificati in quest'ordine quando invece nella realtà essi avvennero al contrario il 10 giugno e il 6 luglio del 1809. Viene inoltre ammainata la bandiera pontificia bianca e gialla con lo stemma papale, ma quest'ultimo venne aggiunto solo nel 1850 da Pio IX.
Nelle incisioni d'epoca il boia di Roma Mastro Titta viene quasi sempre raffigurato a volto scoperto mentre nel film, durante le esecuzioni, appare con un cappuccio rosso, ed un lungo vestito pure completamente rosso, ed è irriconoscibile.
Curiosità
Questa sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.
Flavio Bucci e Alberto Sordi non andavano d'accordo sul set, e in generale tra i due c'era un forte attrito. Durante la pausa pranzo, Sordi mandò il suo assistente nel camper di Bucci mentre questi stava mangiando, per chiedergli se avesse degli avanzi per il cane. Bucci gli rispose: "Digli che me so magnato pure le ossa". Anni dopo l'attore Giorgio Gobbi, che nel film interpreta Ricciotto, durante un'intervista spiegò il motivo di questa antipatia reciproca: "Bucci veniva dal teatro, conosceva i classici, aveva recitato in grandi commedie e aveva una grande cultura; Sordi veniva dall'avanspettacolo e dalla radio. Avevano un approccio diverso al mestiere."
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Not to be confused with NZR Q class (1901). NZR Q Class (1878)Type and originBuilderRogersBuild date1878Total produced2SpecificationsConfiguration: • Whyte2-4-4TGauge3 ft 6 in (1,067 mm)Driver dia.48 in (1.219 m)Adhesive weight14.2 long tons (14.4 t; 15.9 short tons)Loco weight29 long tons (29.5 tonnes; 32.5 short tons)Fuel typeCoalFirebox: • Grate area8 sq ft (0.74 m2)Boiler pressure130 lbf/in2 (89...