La ragione dell'istituto è probabilmente ispirata al brocardo latino vim vi repellere licet e la ratio va individuata nella prevalenza attribuita, in un atto di autodifesa, all'interesse dell'ingiustamente aggredito piuttosto che all'interesse dell'aggressore.
Sulla scorta di una radicata elaborazione etico-filosofica[1], ciò che la legge invece non ammette "è la negazione
del valore della persona che delinque
in quanto uomo, e perciò l’inflizione
di lesioni fisiche significative in un contesto
di mera offesa al patrimonio. Questo
è coerente – tra l’altro – con la disciplina
civilistica del possesso: la quale, incentrandosi
sulla rilevanza in sé dello spoglio violento
o clandestino, è ordinata ad evitare
il più possibile, come si suol dire, che cives ad arma ruant".[2].
Esso è stato codificato nell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che rappresenta l’eccezione fondamentale al divieto dell’uso
della forza contenuto nell’art. 2, par. 4 della medesima Carta: "una delle manifestazioni più significative dell’attuale fase evolutiva del diritto internazionale è rappresentata dall’espansione del diritto di legittima
difesa, individuale e collettiva, rispetto alle interpretazioni dell’art. 51 della
Carta prevalenti sino agli inizi degli anni ’90"[3].
Secondo il diritto canonico, la legittima difesa viene definita un "grave dovere" da parte del credente nell'enciclica "Evangelium vitae" (cfr. punto 55[5]), che però non costituisce un'eccezione alla proibizione di non uccidere un innocente (Catechismo 2263).[6]
^Donato Carusi, A proposito di legittima difesa, in "il Mulino, Rivista bimestrale di cultura e di politica", 3/2004, pp. 592-593, doi: 10.1402/13438, che prosegue ricordando come "le reazioni difensive «sproporzionate» non vanno esenti da responsabilità civile
e penale; e tuttavia – val la pena ricordare
– è egualmente prevista entro certi
limiti, per queste ipotesi, un’attenuazione
delle misure sanzionatorie (c.d. eccesso
colposo)".
^Daniele Cabras, Il "ripudio della guerra" e l'evoluzione del diritto internazionale, in "Quaderni costituzionali, Rivista italiana di diritto costituzionale" 2/2006, pp. 297-322, doi: 10.1439/22230.