Nacque nei pressi di Legnago, città sull'Adige a sud di Verona, in una famiglia di condizioni agiate. Negli anni di formazione scolastica dimostrò un grande interesse per le lettere, dedicandosi allo studio degli autori antichi. Acquisì in tal modo un'ottima facoltà nell'esprimersi bene e nello scrivere, che accompagnava ad una straordinaria memoria, e compose poesie di grande dignità classica.
Bartolomeo d'Alviano, ferito e sconfitto nel 1509 nella battaglia di Agnadello (Ghiaradadda), fu ritenuto colpevole per non aver rispettato le consegne del senato veneziano. Fatto prigioniero dai francesi nei pressi dell'Adda, rimase in carcere fino al 1513. Cotta si offrì di condividere la prigionia con il suo protettore, ma i francesi rifiutarono di concedere a d'Alviano un compagno di cella. Alcuni studiosi[senza fonte] interpretato questo episodio come una prova della palese omosessualità del Cotta, inclinazione che traspare velatamente dai suoi epigrammi. La relazione tra il generale e il Cotta fu comunque negata vivamente dal primo; probabilmente si trattava di un affettuoso legame tra una persona matura ed esperta nel mondo d'arme e un raffinato letterato.
Cotta, tuttavia, svolse per d'Alviano un altro compito: consegnò un messaggio a papa Giulio II a Viterbo. Là, alcuni giorni dopo il suo arrivo, morì di peste alla giovane età di trent'anni, nel 1510.
Opere
Parte della produzione letteraria di Giovanni Cotta è andata perduta, inclusi il famoso lavoro sulla geografia[non chiaro], che aveva cominciato a scrivere in versi, ed il commento a Plinio il Vecchio.
Si sono tramandati invece quindici carmi e diversi discorsi. I carmi, raccolti nel tempo da varie carte a lui attribuite, sono stati moderatamente apprezzati da Niccolò Tommaseo e Benedetto Croce, in particolare per la loro sincerità superiore alla media della poesia latina cinquecentesca, per quanto non del tutto esenti dai suoi eccessi e in parte alquanto immaturi.[1]
L'Epitaphium Quinterii, dedicato a un Antonio Quinterio da Lodi, morto fra il 1481 e il 1485 e familiare del cardinale Giovanni Colonna, tradizionalmente attribuito a Giovanni Cotta, è più probabilmente opera di un omonimo Giovanni Cotta, segretario e poi abbreviatore apostolico alla corte pontificia, morto a tarda età nel 1525.[2]
Note
^Gabriele Banterle, introduzione a Giovanni Cotta, I carmi, a cura di Gabriele Banterle, Edizioni di "Vita veronese", Verona, 1954.
Giovanni Cotta, I carmi, a cura di Gabriele Banterle, Edizioni di "Vita veronese", Verona, 1954; basato sul testo di Mistruzzi, Giovanni Cotta, Giorn. Stor. Lett. Ital., suppl. 22-23, 1924, pp. 1-131.
Ioannis Cottae Ligniacensis Carmina recognita et aucta, Bassani, Typis Remondinianis, 1802, pp. 11-27, 51-66 (18 citazioni di vari autori su Cotta).
Roberto Ricciardi, «COTTA, Giovanni», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 30, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1984.