Nato a Venezia da Angela Brunello e il falegname[1] Domenico, abbandonata la bottega paterna apprende le prime nozioni artistiche dai pittori Gerolamo Astolfoni e Antonio Vason[2], alternando le lezioni al lavoro di garzone in una bottega di cartolaio, dove mostra presto abilità nella riproduzione dei clienti.
Negli anni Settanta raggiunge i primi importanti riscontri di pubblico e critica con La lezione di anatomia, La famiglia Guidini e La moglie gelosa, grazie anche alle recensioni positive del critico Camillo Boito[4].
Da questo momento, Favretto focalizza la propria arte sulla trasposizione di temi e soggetti tratti dalla quotidianità popolare, dalla vita delle piazze e delle botteghe, che culmina nel 1878 con un ulteriore grande successo di pubblico ottenuto all'Esposizione di Brera con Il sorcio[6], nonostante la perdita della vista da un occhio causata da una patologia.
Del 1880 è il grande successo di Vandalismo, premiata a Brera con il premio Principe Umberto[7] e lo stesso anno all'Esposizione
nazionale di belle arti di TorinoStampe e libri e La fruttivendola, opere ispirate alla vita popolare di Venezia[6].
L'anno seguente consegue un altro notevole successo a Brera con El difeto xé nel manego[8].
Negli anni successivi le opere di Favretto assumono una crescente luminosità e una struttura sempre più naturalistica.
Muore prematuramente di febbre tifoide, che nel 1877 gli aveva provocato la perdita di un occhio, il 12 giugno 1887[9], a trentasette anni, nel corso dell'Esposizione nazionale artistica tenutasi nella città lagunare nella quale l'artista, all'apice della notorietà, espone Il ponte di Rialto, Il traghetto della Maddalena e Il Liston moderno, rimasto incompiuto e ritenuto da sempre per giudizio unanime il capolavoro della sua maturità[10]. L'elogio funebre viene tenuto dall'amico Domenico Morelli[11].
Il padre Domenico ne eredita il complesso di opere, cedendo Il liston moderno a re Umberto I di Savoia dopo averlo presentato all'Esposizione Nazionale di Bologna.
Nel 1899 la Biennale di Venezia gli dedica una retrospettiva, esponendo un'ampia scelta di opere.
Stile
«...nella semplicità dei suoi quadri aveva qualcosa di intimo, di commovente, di affascinante. Non volle dipingere che il suo paese, le sue case, le persone che amava, la vita che ha vissuto»
Pittore di genere ed eccellente colorista, è identificato come il fondatore del Verismo veneto, corrente alla quale partecipano
Guglielmo Ciardi, Luigi Nono, Silvio Rotta e Luigi Mion, che proseguiranno nella divulgazione del realismo popolare veneziano contribuendo ad accrescere la sua fama e la sua memoria.
Nella fase matura della sua attività affronta soggetti di scene di vita familiare o popolari, con un realismo tratto dall'attenta analisi delle opere di Federico Zandomeneghi e Michele Cammarano e dall'ammirazione per Giovanni Battista Tiepolo, del quale ripropone l'acceso cromatismo con nuove ricerche tecniche
Il tema ricorrente è la quotidianità popolare, la vita delle piazze e dei mercati, gli interni domestici, le dichiarazioni d’amore tra le calli, la confusione delle botteghe.
Ugo Fleres, Esposizione Artistica Internazionale di Venezia. Mostra retrospettiva del pittore Giacomo Favretto, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1899.
Enrico Somaré, I maestri della pittura italiana dell’Ottocento. Favretto, Novara, De Agostini, 1935.
Giandomenico Romanelli, Giuseppe Pavanello, Venezia nell’Ottocento. Immagine e mito, catalogo della mostra, Milano, Electa, 1983.