Compaiono nelle fonti a partire dal 358 a.C., quando Gaio Plauzio Proculo divenne il primo membro di questa famiglia ad accedere al consolato, nonché uno dei primi consoli plebei a seguito della Leges Liciniae Sextiae. Dopo una lacuna che va dalle guerre sannitiche alla fine del II secolo a.C., i Plautii comparirono regolarmente nella storia di Roma, in qualità di magistrati e militari[1].
Nel I secolo d.C., a seguito del suo matrimonio con Plauzia Urgulanilla, l'imperatore Claudio elevò il ramo famigliare della moglie allo status patrizio[1].
Origini
La gens Plautia affermava di discendere da Leucone, figlio del dio Nettuno e della principessa Temisto, figlia di Ipseo[3]. Per sottolineare questa pretesa, il politico Publio Plauzio prese Ipseo come cognomina e fece coniare monete che ritraevano Nettuno[2].
Il nomenPlautius deriva da Plautus, ovvero "dai piedi piatti", un antico cognomina romano[4]. La maggior parte degli storici ritiene che la gens Plautia sia originaria di Roma[5], ma alcuni sostengono che possano esservi trasferiti da Privernum[6].
Le principali familiae che si ramificarono all'interno della gens Plautia portavano i cognomina:
Venoce o Venno: fra i primi a portare questo cognomina, che significa "cacciatore", fu Gaio Plauzio, censore nel 312 a.C., che scoprì le sorgenti dell'Aqua Appia.[4][7][8].
Proculo: derivato da un termine antico che indica un bambino nato lontano dalla patria o un diminutivo di Proca, re mitologico di Alba Longa, questa familia si originò a partire da Gaio Plauzio Proculo, primo console dei Plautii[9].
Silvano: termine che indica un abitante delle foreste, questa familia si sviluppò durante l'ultima fase repubblicana e la prima imperiale[1].
Lucio Plauzio Venoce Ipseo, pretore nel 189 a.C. e governatore dell'Hispania Citerior;[11]
Lucio Plauzio Venoce Ipseo, figlio del precedente, triumviro monetalis fra il 194 e il 190 a.C.;[12]
Gaio Plauzio Venoce Ipseo, pretore nel 146 a.C. Stanziato nella Hispania Ulterior, venne sconfitto due volte da Viriato e condannato all'esilio;[13][14]
Lucio Plauzio Venoce Ipseo, pretore nel 139 a.C. Stanziato in Sicilia durante la prima guerra servile, venne sconfitto e morì in battaglia;[15]
Gaio Plauzio Venoce Ipseo, triumviro monetalis nel 121 a.C. Le sue monete sono l'unico esempio dell'ortografia Plutii;[17]
Marco Plauzio Venoce Ipseo, pretore e legato in Asia sotto Silla. Sposato con Orestella, si suicidò nel 90 a.C. quando, appena tornato a Roma, seppe della sua morte;[18]
Aulo Plauzio Silvano, figlio del precedente, proconsole di Cipro nel 22 a.C., padre di Aulo Plauzio, che sposò una Vitellia e fu console suffectus nel 1;
Marco Plauzio Silvano, fratello del precedente, sposò Urgulania, amica intima di Livia Drusilla;
Marco Plauzio Silvano, figlio del precedente, pretore nel 24. Morì suicida dopo essere stato processato per aver ucciso la sua seconda moglie. Padre adottivo di Plauzio Eliano;
Novio Plauzio, falegname della metà del III secolo a.C., le cui opere sono state rinvenute a Preneste;
Plauzio, commediografo le cui opere, a causa dell'assonanza, venivano spesso attribuite al più noto Plauto;
Lucio Plozio Gallo, retore originario della Gallia Cisalpina. Giunto a Roma nell'88 a.C., fondò la prima scuola di retorica latina e fu autore di molti capisaldi della materia. Era molto ammirato da Cicerone;
Marco Plozio, nel 48 a.C. venne inviato da Cesare, invano, a convincere Lucio Cornelio Lentulo a tradire Pompeo;
Lucio Plauzio Planco, membro adottivo, si consegnò a Marco Antonio durante le proscrizioni per salvare la vita dei suoi schiavi;
Plozio Numida, combatté nella guerra di Cantabria. Il suo ritorno a Roma fu celebrato da un'idea di Orazio, suo amico;
Plozio Tucca, amico intimo di Virgilio e uno dei suoi eredi. Fu fra coloro che consegnarono il manoscritto incompiuto dell'Eneide ad Augusto, invece di bruciarlo come chiesto da Virgilio;
^abcGeorge Davis Chase, "The Origin of Roman Praenomina", in Harvard Studies in Classical Philology, vol. VIII (1897), pp.109-110.
^George Davis Chase, "The Origin of Roman Praenomina", in Harvard Studies in Classical Philology, vol. VIII (1897), pp.129-132.
^Nicola Terrenato, "Private Vis, Public Virtus: Family Agendas during the Early Roman Expansion", in Roman Republican Colonization New Perspectives from Archaeology and Ancient History, Tesse D. Stek and Jeremia Pelgrom, eds., Papers of the Royal Netherlands Institute in Rome (2014), p.44.