Nato a Venezia all'inizio del XVIII secolo da Francesco e Luigia Varida, venne conosciuto fin dai primi anni con il soprannome di Daggiù, tanto che in alcune citazioni viene addirittura menzionato come Francesco Daggiù detto il Cappella.
Fin dai primi anni di vita dimostrò una grande propensione alla pittura, tanto che i genitori lo indirizzarono fin giovane età allo studio e alla pratica della stessa arte, facendogli frequentare la bottega di Giovanni Battista Piazzetta, attivo nel capoluogo lagunare.
Il maestro influenzò notevolmente lo stile del ragazzo, che portò a lungo nel suo bagaglio artistico le caratteristiche pittoriche del suo mentore.
I primi dipinti di Francesco Capella consistevano principalmente nel completamento di alcuni affreschi del Piazzetta stesso, dato che i due stili risultavano essere molto simili.
Negli anni compresi tra il 1744 ed 1747, si iscrisse alla Fraglia dei pittori veneziani, anche se antecedentemente al 1746 non sono documentati suoi dipinti.
Tuttavia la sua fama raggiunse un livello notevole dato che, nel 1747, cominciò a essere conosciuto anche nella lontana città di Bergamo. Qui infatti il conte Giacomo Carrara, fondatore dell'omonima Accademia, decise di incaricare il Capella di alcune commissioni dopo aver avuto sul suo conto ottime referenze:
«de cotesto Francesco Capella mi sono state date tutte le bene informazioni sì da dilettanti che da Professori, avendomi detto il Tiepoletto che detto Capella sì nel disegno che nella pittura aveva tutta la maniera del Piazzetta e che infatti era un giovane di grande aspettativa»
Cominciò quindi una proficua collaborazione tra il pittore veneto e gli elementi più in vista dell'aristocrazia orobica tra cui, oltre al citato conte Carrara, anche la famiglia dei conti Albani, per la quale il Capella eseguì un gran numero di dipinti, affreschi e allegorie. Proprio in occasione dell'incarico di realizzare i diversi quadri a soffitto del Palazzo Albani di Bergamo[1], l'artista nel 1757 si trasferì definitivamente in questa città.
Raggiunse quindi un livello di eccellenza per ciò che concerne le commissioni pittoriche, tanto da essere considerato uno dei migliori esponenti della scuola artistica della capitale lagunare. Conseguentemente cominciò a lavorare in ambito religioso, dipingendo numerosi quadri, affreschi e pale per gli edifici sacri della provincia di Bergamo.
L'artista comunque non abbandonò la sua terra natia, dal momento che nel 1755 è documentata la sua presenza tra i membri del collegio dell'Accademia di Venezia (accertata anche nel 1760), a riprova della posizione di rilievo che aveva raggiunto.
Tuttavia i lavori di cui veniva incaricato erano quasi totalmente in terra bergamasca, tanto che nel 1757 decise di trasferirvisi definitivamente e di aprirvi una bottega, successivamente affiancata da una piccola scuola di pittura, frequentata anche da uno dei suoi figli.
L'elevata quantità di richieste, specialmente in ambito sacro, spinse Francesco Capella a farsi aiutare nell'esecuzione delle opere da alcuni dei suoi alunni.
La sua attività proseguì fino al termine degli anni settanta del secolo, dopodiché il Daggiù si ritirò a vita privata, fino alla morte che lo raggiunse nella sua casa di Bergamo all'età di 73 anni.
Stile
Le sue prime opere si basavano quasi completamente sullo stile del maestro Giovanni Battista Piazzetta, ricalcandone i toni armoniosi e le scelte cromatiche luminose, con una spiccata predilezione verso colori quali l'azzurro, il rosa e il viola. Inoltre spiccava una grande raffinatezza nelle forme, accompagnate da grandi contrasti in chiaroscuro.
Una piccola svolta si ebbe verso il 1750 quando l'artista cominciò ad entrare in contatto con la diversa realtà di Bergamo, rimanendo influenzato dal nuovo contesto e ampliando quindi il suo bagaglio artistico, indirizzandosi verso soluzioni cromatiche molto più varie, nonché avvicinandosi a Giambattista Tiepolo, con cui collaborò nella decorazione della Cappella Colleoni di Bergamo.
Il suo contatto con la realtà artistica lagunare si andò sempre più affievolendo, tanto che durante alcuni suoi ritorni nella città natia venne messo di fronte ad una mutata tendenza artistica, incentrata su un classicismo a cui il Capella decise di rimanere estraneo, abbracciando definitivamente la scuola lombarda.
Ne risultò un'evoluzione che lo portò a curare notevolmente anche i paesaggi, fino ad allora utilizzati soltanto per fini decorativi.
Gli ultimi anni della sua carriera artistica furono contrassegnati da un recupero dello stile tardo-barocco, con una successiva involuzione dovuta a composizioni più volte ripetute, con un freddo accademismo e un largo utilizzo dei suoi alunni della bottega.
Miracolo di san Francesco di Paola per la chiesa di San Filippo Neri sempre di Cortona. Entrambe le opere dai colori bruni, e dai chiaroscuri ci presentano un Capella molto influenzato dal maestro.
Eseguirà successivamente:
Martirio di sant'Eurosia conservato presso il museo civico di Udine, il dipinto viene considerato realizzato a quattro mani con il Piazzetta. L'immagine del carnefice sarà ripetuta dal Capella anni dopo, per la realizzazione del Martirio di sant'Antonio della chiesa di Locate Bergamasco[2].
Nel 1749 si verificarono le prime commissioni in terra bergamasca: