Eugenio Calò nacque a Pisa, nel 1906, da un'antica famiglia di ebrei italiani e lui stesso fu padre di una famiglia ebraica residente ad Arezzo.
Ebreo durante la seconda guerra mondiale
Durante la seconda guerra mondiale Eugenio perse la sua officina e la sua casa; infine tutta la sua famiglia, composta dalla moglie, Carolina Lombroso, e dai figli Elena, Renzo ed Alberto, fu arrestata perché ebrea. Quando Eugenio seppe che la sua famiglia era nelle carceri fiorentine delle Murate, cercò di organizzarne la liberazione, ma invano: nel maggio 1944 furono tutti deportati ad Auschwitz, dove morirono.
Carolina, incinta, partorì il suo quarto figlio nel treno.
Partigiano
Due mesi dopo Eugenio ed i suoi compagni partigiani catturarono un gruppo di una trentina di soldati tedeschi e fascisti e fu Eugenio che, con l'autorità di comandante, si oppose al processo sommario e all'uccisione dei prigionieri tedeschi.
Insieme ai compagni, tra i quali Angelo Ricapito e Luigi Valentini, consegnò il 3 luglio 1944 i prigionieri, che avevano portato dal campo di concentramento a Marzana al Comando Alleato a Cortona, di là dal fronte, ben sapendo che, se fossero stati intercettati, loro e chiunque li avesse aiutati sarebbero stati uccisi.
Dopo l'entrata a Cortona del 56th Reconnaissance Regiment (78th British Division) il 3 luglio, seguito dalle truppe della 6th British Armoured Division dell'8ª Armata Britannica, e la consegna dei prigionieri, Eugenio ed Angelo si trasferirono insieme al 2º distaccamento "Favalto" della Brigata "Pio Borri", di cui Ricapito era comandante, nelle montagne vicino ad Arezzo tra il passo dello Scopetone e il passo della Libbia, dove impegnarono i tedeschi in almeno due battaglie, durante le quali alcuni tedeschi furono uccisi.
Il 14 luglio furono catturati, insieme a dei civili, al Molin dei Falchi, dove si erano accampati per la notte insieme ad un gruppo di prigionieri tedeschi e ad altri partigiani. Un prigioniero tedesco era riuscito a fuggire e ad avvisare l'esercito e i collaborazionisti fascisti. Fu una dura battaglia e molti partigiani morirono; i superstiti ed i civili furono trasferiti al villaggio di San Polo per essere interrogati e poi uccisi.
Ancor oggi la strage di San Polo è ricordata ogni anno il 14 luglio, come la liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio del 1944. Ai nomi dei partigiani sono dedicate strade a Firenze e ad Arezzo ed una scuola a Quarata porta il nome di Eugenio Calò[1].
«Rispose pronto al grido della Patria; sapendo moglie e figli catturati, antepose all'amore per la famiglia la fede profonda negli ideali, supremi valori di libertà e di giustizia. Organizzatore e animatore instancabile, pur menomato nel fisico, dette tutto se stesso al consolidamento dei reparti partigiani, affrontando intrepido disagi gravissimi e rischi continui. Combattente, vicecomandante di Divisione partigiana affermava doti altissime di coraggio e di sprezzo del pericolo che specialmente brillarono nell'attraversare le linee germaniche con un folto gruppo di prigionieri che stavano per essere liberati, e consegnarli alle avanzanti truppe alleate. Catturato durante un attacco di sorpresa, interrogato e seviziato ferocemente conservò il più assoluto silenzio. Il nemico furente ne sotterrò il corpo ancor vivo. Esempio fulgido di dedizione totale alla grandezza d'Italia.» — Arezzo, ottobre 1943 -14 luglio 1944.
Vedi Pages of Testimony sul Yad Vashem sito su Eugenio Calo e sui suoi tre figli, Renzo, Elena e Alberto. (il quarto bambino è nato sul treno durante le 3 settimane di trasporto ad Auschwitz e quindi il suo nome non è mai stato registrato).