«Ermenegildo Bertola era uno studioso alla vecchia maniera: serio, rigoroso, dai modi riservati. Un uomo che ricercava, studiava e scriveva per un bisogno interiore e non per apparire (...) più delle parole, rimangono nella mia memoria i suoi occhi illuminati di sapienza, acume e serenità.»
(Giuseppe Laras, dalla prefazione di Ermenegildo Bertola, L'eternità del mondo in Mosè Maimonide e altri scritti (1949-1996), a cura di Giacomo Petrarca, Salomone Belforte & C., 2018.)
Ermenegildo Bertola nacque il 12 luglio 1909 in Piemonte, nel distretto di San Giuliano a Vercelli[1]. Secondogenito di cinque fratelli, era cresciuto in una famiglia cattolica di origine modeste, figlio di Leopoldo Bertola e di Domenica Coscia[1]. Studiò da privatista conseguendo il diploma di maestro nel 1933 all'Istituto Magistrale Rosa Stampa[2]; frequentò l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano[2][3] dove si laureò in pedagogia nel 1937[2], fortemente influenzato dai professori Amato Masnovo e Francesco Olgiati[2]. Dopo gli studi tornò a Vercelli, dove tra il 1938-1939 insegnò filosofia e storia al Liceo Classico e in seguito filosofia e pedagogia nell'Istituto Magistrale[4]. Contemporaneamente strinse amicizia con il rabbino Ugo Massiach[5], sotto la guida del quale studiò l'ebraico avendo anche accesso alla biblioteca della comunità israelitica[4]. Successivamente ottenne la libera docenza in Storia della filosofia medievale[6] producendo importanti ricerche e studi. Guida spirituale per Bertola fu lo sturziano[7] mons. Giuseppe
Roveda, durante la cui frequentazione si dedicò allo studio della dottrina sociale della Chiesa[5].
La clandestinità vercellese
Nell'estate del 1941 venne in contatto con la clandestinità nell'ambiente della sinistra vercellese che stava organizzando la Resistenza: partecipò infatti a un incontro segreto di socialisti e anarchici a cui fu condotto dal libraio Giovannacci di Vercelli[7]. Dopo questo iniziale contatto, nell'agosto del 1943 Bertola si recò per la prima volta, insieme a mons. Rodeva, a un incontro del Comitato di Liberazione regionale presso la Chiesa di Santa Maria di Piazza a Torino, e in questa occasione ebbe modo di conoscere Gustavo Colonnetti e altri importanti rappresentanti della Democrazia Cristiana[8]. A seguito di questo e altri incontri, Bertola assunse una posizione preminente nell'ambito della clandestinità piemontese che lo portò, tra la fine del 1943 e il 1944, a diventare rappresentante della Democrazia Cristiana e in seguito presidente nel Comitato di Liberazione provinciale[7]. Il suo impegno lo vide fin da subito coinvolto, col falso nome di "dottor Terzi"[9], nel rimpatrio dei prigionieri di guerra inglesi e americani in transito a Vercelli; la sua falsa identità fu tuttavia svelata a causa di una cartolina imprudentemente inviatagli da un prigioniero alleato giunto in Svizzera[7].
Dall'armistizio al ritorno a Vercelli
Dopo l'8 settembre 1943 Bertola intensificò la sua opposizione all'occupazione tedesca e alla Repubblica Sociale Italiana. La sua attività eversiva gli costò tre mandati di cattura: fu incarcerato su iniziativa del battaglione "Tagliamento" la prima volta nel dicembre del 1943[9], poi per mano della Guardia Nazionale Repubblicana il 10 febbraio del 1945[10]; in questa occasione subì torture sotto l'accusa di cospirazione presso l’Albergo Bel Giardino di Vercelli, sede di un comando repubblichino[11]. Infine nell'aprile del 1945 riuscì a evitare la terza cattura, abbandonando Vercelli e raggiungendo il Monferrato grazie all'aiuto di alcuni suoi collaboratori e amici[12][10]. Si recava periodicamente a Torino per partecipare a incontri con gli esponenti democratico-cristiani della Resistenza, evitando di farsi vedere nel Vercellese[12]; nei giorni della Liberazione ebbe l'onore di esporre la bandiera al balcone del Palazzo del Municipio di Torino[12][13].
Tornato a Vercelli, nel 1946 fu eletto con 10 804 voti consigliere comunale democristiano[14]. Il suo impegno nella realtà cittadina si estese al mondo della scuola e della sanità: fu infatti preside del Liceo Scientifico[6][15] e del Liceo Classico[16], e nel 1963 ricoprì la carica di Presidente dell'Ospedale cittadino[16]; in questo periodo, inoltre, si occupò di organizzare le sezioni della Democrazia Cristiana in tutti i comuni del Vercellese e della Valsesia[12] e, come Segretario provinciale della Democrazia Cristiana, ebbe grande influenza sul settimanale "La Libertà", con cui collaborò[17][18].
Bertola a Roma: attività parlamentare
Il 13 giugno 1946 Bertola fu proclamato membro dell'Assemblea Costituente, avendo ottenuto 26 945 voti; faceva parte del gruppo democratico cristiano[19]. Eletto nella prima legislatura, si occupò di diverse questioni che interessavano il paese nel secondo dopoguerra: povertà, miseria e radiodiffusione, istruzione e Belle Arti[20]. Entrò a far parte in veste di senatore nella terza legislatura in sostituzione del defunto Giovanni Sartori, e successivamente nella quinta e sesta rispettivamente nel 1968 e nel 1972[21], mentre nel secondo governo Leone fu sottosegretario di Stato al Tesoro[16]. Partecipò anche alla terza e alla quarta lesiglatura, sostituendo i defunti Giovanni Sartori[22] e Leopoldo Baracco[23].
Ultimi anni
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Vercelli, nella sua abitazione di via XX settembre, dedicandosi alla ricerca filosofica e partecipando alla vita della Democrazia Cristiana vercellese[16]. Morì il 25 giugno 2000 all'Ospedale Sant'Andrea della città[16].
Opere
La filosofia ebraica, Milano, Bocca, 1947.
Saggi e studi di filosofia medioevale, Padova, CEDAM, 1951.
Mario Capellino, Omaggio al senatore Ermenegildo Bertola, Vercelli, 2009.
Marco Neretti, Ermenegildo Bertola, in Caterina Simiand (a cura di), I deputati piemontesi all'Assemblea Costituente, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 53-55.
Enrico Pagano (a cura di), Tra i costruttori dello stato democratico, Vercelli, Piccolo Studio, 15 marzo 2008. Atti del convegno, Varallo, Istituto della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, 2010.