Tra i grandi poeti postbellici italiani, Elio Filippo Accrocca visse sempre a Roma. Il 19 luglio 1943, in piena seconda guerra mondiale, la casa e l'intero quartiere di San Lorenzo a Roma dove viveva con la famiglia vennero bombardati e distrutti: due anni più tardi, sull'avvenimento scrisse una poesia, senza titolo, che venne inserita nella sua prima opera, Portonaccio, del 1949, che contiene poesie scritte tra il '42 e il '47.
All'Università fu allievo di Giuseppe Ungaretti, col quale si laureò nel 1947 in Lettere Moderne e Contemporanee discutendo una tesi sulla "Poesia italiana della Resistenza".
La sua importante attività artistica e letteraria nella capitale, la frequentazione e le amicizie con poeti (tra cui Renzo Nanni) e pittori (tra cui Renzo Vespignani) dette vita al cosiddetto "Gruppo di Portonaccio": allievi delle lezioni di Ungaretti, gli artisti romani tra la fine della guerra e i primi anni cinquanta ebbero in Accrocca l'esponente di riferimento.
Fu titolare della cattedra di Storia dell'Arte all'Accademia di belle arti di Foggia, di cui fu anche direttore.
Negli anni 1983-85 diresse la Rivista trimestrale di poesia Carte d'Europa, Tordinona-Rive Gauche, Ed. Il Ventaglio, con il contributo di qualificati autori italiani e stranieri, nonché i Quaderni di Carte d'Europa, pubblicando opere di Rodolfo Carelli, Franco Compasso, Aldo De Jaco, Luce D'Eramo e Gabriella Sobrino, Nicola Stanescu e altri.
La sua vita fu costellata di lutti: la madre scomparsa a soli 31 anni nel 1931, quando Accrocca era bambino; l'unico figlio Stefano morto nel 1973, a soli 18 anni, in un incidente motociclistico (e cui Accrocca dedicò Il superfluo). In seguito perse anche la moglie, affetta da un male incurabile.
Tematiche
Il primo momento poetico di Accrocca (soprattutto nel Portonaccio) riflette le esperienze luttuose della sua vita (la distruzione della guerra, la morte, il dramma sociale) in un'ottica vicina, per esperienze, al neorealismo: in essa comunque confluiscono in modo evidente sia la lezione ungarettiana che le esperienze, più generali, dell'ermetismo, in una ricerca stilistica che lo porta verso la ricerca di una moralità, un senso poetico, un linguaggio e un tono stilistico personale.
Dice di lui Ungaretti nella prefazione al volume [1] che la sua poesia è (...) è densa d'affetti di tenerezze, quasi silenziosa. Tuttavia, questa prima lettura, non rende merito alla sua carriera che seppe discostarsi dal lirismo iniziale e, dal post-ermetismo delle origini, seppe coniugare il linguaggio poetico con la realtà degli anni a venire, con le lezioni di Montale e Quasimodo.
Europeista convinto, viaggiatore instancabile, ebbe un importante rapporto anche con l'arte pittorica, cercando una via comune della parola e del segno che traghettasse la poesia italiana verso il nuovo millennio.