Le Consuetudines Cartusiæ (anche dette Statuta Guigonis, in italiano Consuetudini della Certosa; in francese Coutumes de Chartreuse) sono un documento scritto tra il 1121 e il 1128 da Guigo I, monaco certosino e quinto priore della Grande Chartreuse. Senza avere la forma di “regola” o di “costituzione”, è tuttavia considerato il primo testo normativo fondamentale dell'Ordine certosino.[1]
Origini
Sebbene sia chiaro che san Bruno sia l'ispiratore dell'ideale di vita certosino, non sembra che egli abbia mai avuto l'intenzione di fondare un ordine religioso. Lui stesso è all'origine di due soli monasteri, la Grande Chartreuse e l'eremo di Torre in Calabria, che nel XVI secolo divennero la Certosa di Serra San Bruno dove, dopo servizi resi a papa Urbano II che lo aveva chiamato come consigliere a Roma (1091-1092), si ritirò e trascorse i suoi ultimi anni. Fu sotto Guigo I, detto il Certosino, quinto priore della Grande Chartreuse, che l'ordine si espanse con il sorgere di diverse comunità o gruppi di eremiti che chiesero di poter seguire i costumi della comunità certosina.[2]
Su richiesta dei priori e dei monaci di queste nuove case (Portes, Saint-Sulpice en Bugey, Meyriat) che chiedevano aiuto e consiglio, Guigo mise per iscritto ciò che consisteva nella pratica quotidiana e consueta del primo monastero dell'ordine, la Grande Chartreuse, nelle Consuetudines Cartusiæ.
Si diede all'ordine certosino una sua coesione ed una sua fisionomia; rimase un riferimento spirituale costante, anche se il testo delle Consuetudines fu escluso dall'ordinamento legislativo certosino a favore di testi aggiornati dai capitoli generali successivi. A partire dal Concilio Vaticano II, gli statuti rinnovati dei certosini hanno riportato alla luce gli usi descritti da Guigo sotto forma di citazioni importanti.[3]
Struttura e contenuto
Le Consuetudines Cartusiæ sono composte da un prologo e ottanta capitoli o titoli di lunghezza disomogenea:[4][5]
- capitoli 1-14: dopo un breve prologo, questi capitoli trattano dell'uso liturgico: quello che viene definito il “rito certosino”. Le cerimonie sono improntate alla sobrietà (nessuna processione);
- capitoli 15-16: l'ufficio del priore e del ministro generale. Viene sottolineato con forza che anche chi ha compiti temporali deve assicurare il “riposo contemplativo”;
- capitoli 17-21: contatti con il mondo esterno, ospiti e poveri. L’ospitalità è sacra, ma la solitudine va tutelata: clausura rigorosa.
- capitoli 22-27: ammissione dei candidati, loro formazione e professione finale. Il noviziato si svolge “in cella”. Insistenza sull'obbedienza per evitare i pericoli dell'indipendenza dell'eremita nella cella;
- capitoli 28-35: dettagli sulla vita in cella. Abbigliamento, lavoro (soprattutto come copista), cucina (ognuno deve prepararne in determinati giorni), lettura, programma giornaliero di esercizi spirituali, ecc., Es. dal capitolo 31: «l'eremita sta in una cella come un pesce nell'acqua»;
- capitoli 36-41: l'amministrazione del monastero. Il possesso dei beni temporali deve essere limitato. Nessuna terra può essere troppo lontana dal “deserto” (della Certosa). Evitare a tutti i costi “imbarazzi degli affari”. Ai malati viene prestata una cura attenta, perché sono altri Cristo;
- capitoli 42-76: la vita dei fratelli laici. Un corpus completo di statuti riguardanti i frati, dall'ufficio divino (ridotto) all'organizzazione del lavoro (nel silenzio) e ai rapporti con il mondo esterno. Primato del progresso della vita spirituale. Proteggono l'eremitismo dei padri, ma va tutelata anche la loro solitudine;
- capitoli 77-79: il numero degli abitanti del monastero è limitato a tredici padri e sedici fratelli. Le risorse sono limitate e i monaci non possono mendicare;
- capitolo 80: l'ultimo capitolo è un elogio della vita solitaria: riposo contemplativo, silenzio, desiderio ardente dei beni celesti. Nostro Signore nel deserto è il modello. Altri esempi sono presi dall'Antico e dal Nuovo Testamento. Vengono citate grandi figure del monachesimo cristiano: Paolo di Tebe, Antonio abate, Ilarione di Gaza e Benedetto da Norcia.
Adozione degli usi
A partire dal 1128, varie case certosine adottarono ufficialmente l'usanza preparata da Guigo. Il primo capitolo generale dei Certosini, nel 1140, approvò le Consuetudines Cartusiæ e ne diede così ufficialità nell'ordine. Esse resteranno sempre il riferimento primario della legislazione certosina, anche se il loro stesso testo è stato escluso dalla normativa aggiornata dai capitoli successivi.[2]
Nel 1510 fu stampata per la prima volta un'edizione completamente rivista di tutti gli statuti dell'ordine.
Gli statuti furono interamente rivisti alla luce del Concilio Vaticano II e del nuovo codice di diritto canonico del 1983. Nel 1987, il capitolo generale dell'ordine approvò un nuovo testo a cui diede il titolo di Statuta Ordinis Cartusiensis (Statuti dell'Ordine certosino).[3]
Note
Bibliografia
- (IT, LA) Guigo I, Le Consuetudini della Certosa, Testo originale, Ora et Labora, Certosini.info.
- (FR) Guigo Chartreux, Coutumes de Chartreuse, a cura di Maurice Laporte, collana Sources Chrétiennes, 2^ ed. corretta, Cerf, 2001 [1984], ISBN 978-2-204-06833-8, OCLC ocm48389863. URL consultato il 31 agosto 2024.
- Emanuela Garibaldi, Lettura e vita contemplativa: l'esperienza certosina da s. Bruno alle Consuetudines (PDF), in Biblioteche e circolazione libraria nella provincia certosina di Toscana. Definizione del profilo culturale e ricostruzione storico-bibliografica, Ph.D., Roma, Dipartimento di lettere e culture moderne, Università La Sapienza, 2020, pp. 1-9.
Collegamenti esterni