Consuetudines Cartusiae

Consuetudini della Certosa
Titolo originaleConsuetudines Cartusiae
Altri titoliStatuta Guigonis
Giuseppe Vermiglio, San Guigo I, 1600/1649, Museo della Certosa di Pavia. Guigo è raffigurato intento a scrivere le Consuetudines, come riportato dall'inscrizione latina "STATVTA GVIGONIS" sul libro.
AutoreGuigo I
Periodo11211128
Editio princeps1128 circa
Generecostituzione
Sottogenereregola monastica
Lingua originalelatino

Le Consuetudines Cartusiæ (anche dette Statuta Guigonis, in italiano Consuetudini della Certosa; in francese Coutumes de Chartreuse) sono un documento scritto tra il 1121 e il 1128 da Guigo I, monaco certosino e quinto priore della Grande Chartreuse. Senza avere la forma di “regola” o di “costituzione”, è tuttavia considerato il primo testo normativo fondamentale dell'Ordine certosino.[1]

Origini

Sebbene sia chiaro che san Bruno sia l'ispiratore dell'ideale di vita certosino, non sembra che egli abbia mai avuto l'intenzione di fondare un ordine religioso. Lui stesso è all'origine di due soli monasteri, la Grande Chartreuse e l'eremo di Torre in Calabria, che nel XVI secolo divennero la Certosa di Serra San Bruno dove, dopo servizi resi a papa Urbano II che lo aveva chiamato come consigliere a Roma (1091-1092), si ritirò e trascorse i suoi ultimi anni. Fu sotto Guigo I, detto il Certosino, quinto priore della Grande Chartreuse, che l'ordine si espanse con il sorgere di diverse comunità o gruppi di eremiti che chiesero di poter seguire i costumi della comunità certosina.[2]

Su richiesta dei priori e dei monaci di queste nuove case (Portes, Saint-Sulpice en Bugey, Meyriat) che chiedevano aiuto e consiglio, Guigo mise per iscritto ciò che consisteva nella pratica quotidiana e consueta del primo monastero dell'ordine, la Grande Chartreuse, nelle Consuetudines Cartusiæ.

Si diede all'ordine certosino una sua coesione ed una sua fisionomia; rimase un riferimento spirituale costante, anche se il testo delle Consuetudines fu escluso dall'ordinamento legislativo certosino a favore di testi aggiornati dai capitoli generali successivi. A partire dal Concilio Vaticano II, gli statuti rinnovati dei certosini hanno riportato alla luce gli usi descritti da Guigo sotto forma di citazioni importanti.[3]

Struttura e contenuto

Le Consuetudines Cartusiæ sono composte da un prologo e ottanta capitoli o titoli di lunghezza disomogenea:[4][5]

  • capitoli 1-14: dopo un breve prologo, questi capitoli trattano dell'uso liturgico: quello che viene definito il “rito certosino”. Le cerimonie sono improntate alla sobrietà (nessuna processione);
  • capitoli 15-16: l'ufficio del priore e del ministro generale. Viene sottolineato con forza che anche chi ha compiti temporali deve assicurare il “riposo contemplativo”;
  • capitoli 17-21: contatti con il mondo esterno, ospiti e poveri. L’ospitalità è sacra, ma la solitudine va tutelata: clausura rigorosa.
  • capitoli 22-27: ammissione dei candidati, loro formazione e professione finale. Il noviziato si svolge “in cella”. Insistenza sull'obbedienza per evitare i pericoli dell'indipendenza dell'eremita nella cella;
  • capitoli 28-35: dettagli sulla vita in cella. Abbigliamento, lavoro (soprattutto come copista), cucina (ognuno deve prepararne in determinati giorni), lettura, programma giornaliero di esercizi spirituali, ecc., Es. dal capitolo 31: «l'eremita sta in una cella come un pesce nell'acqua»;
  • capitoli 36-41: l'amministrazione del monastero. Il possesso dei beni temporali deve essere limitato. Nessuna terra può essere troppo lontana dal “deserto” (della Certosa). Evitare a tutti i costi “imbarazzi degli affari”. Ai malati viene prestata una cura attenta, perché sono altri Cristo;
  • capitoli 42-76: la vita dei fratelli laici. Un corpus completo di statuti riguardanti i frati, dall'ufficio divino (ridotto) all'organizzazione del lavoro (nel silenzio) e ai rapporti con il mondo esterno. Primato del progresso della vita spirituale. Proteggono l'eremitismo dei padri, ma va tutelata anche la loro solitudine;
  • capitoli 77-79: il numero degli abitanti del monastero è limitato a tredici padri e sedici fratelli. Le risorse sono limitate e i monaci non possono mendicare;
  • capitolo 80: l'ultimo capitolo è un elogio della vita solitaria: riposo contemplativo, silenzio, desiderio ardente dei beni celesti. Nostro Signore nel deserto è il modello. Altri esempi sono presi dall'Antico e dal Nuovo Testamento. Vengono citate grandi figure del monachesimo cristiano: Paolo di Tebe, Antonio abate, Ilarione di Gaza e Benedetto da Norcia.

Adozione degli usi

A partire dal 1128, varie case certosine adottarono ufficialmente l'usanza preparata da Guigo. Il primo capitolo generale dei Certosini, nel 1140, approvò le Consuetudines Cartusiæ e ne diede così ufficialità nell'ordine. Esse resteranno sempre il riferimento primario della legislazione certosina, anche se il loro stesso testo è stato escluso dalla normativa aggiornata dai capitoli successivi.[2]

Nel 1510 fu stampata per la prima volta un'edizione completamente rivista di tutti gli statuti dell'ordine.

Gli statuti furono interamente rivisti alla luce del Concilio Vaticano II e del nuovo codice di diritto canonico del 1983. Nel 1987, il capitolo generale dell'ordine approvò un nuovo testo a cui diede il titolo di Statuta Ordinis Cartusiensis (Statuti dell'Ordine certosino).[3]

Note

  1. ^ Garibaldi, p. 9.
  2. ^ a b Garibaldi, p. 3-9.
  3. ^ a b (LA) Statuta Ordinis Cartusiensis (PDF), Liber 1-4, Certosa di Pleterje.
  4. ^ Guigo I, Consuetudini, Prologo, capitoli 1-80.
  5. ^ Laporte, 2001.

Bibliografia

Collegamenti esterni

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