Il sito, in posizione dominante sulla valle, è stato storicamente rilevante sia dal punto strategico, sia da quello rituale; scavi archeologici ne documentano la frequentazione già in epoca preistorica, proseguita anche durante l'epoca romana e l'alto Medioevo. È possibile che qui sia sorta una fortificazione di qualche genere, così come un luogo di culto altomedievale[1][2][3].
La parte più antica della chiesa odierna, corrispondente all'abside e alla prima parte della navata, venne eretta nell'ultimo quarto del XII secolo, poi l'edificio venne ampliato nel secondo o terzo decennio del Trecento raggiungendo le dimensioni attuali[1][3]. Come si desume dagli interventi strutturali e decorativi, dalla fine del XIII secolo e fino a tutto il Trecento la chiesa dovette assumere grande rilevanza ed essere una popolare meta di pellegrinaggio[2][3]; a fine Duecento venne steso un primo ciclo di affreschi, in gran parte coperto da un altro nel corso del Trecento; negli anni 1330 o 1340 la navata venne raddoppiata in lunghezza per riuscire a contenere l'importante afflusso di fedeli; segue qualche anno dopo l'affrescatura della parte nuova, e a inizio Cinquecento quella dell'abside e dell'arco santo[3].
Alla fine del Trecento o all'inizio del Quattrocento risale anche la costruzione del vicino romitorio[3], secondo una tradizione fondato da Siccone II Castelnuovo (morto nel 1404 o 1408), a scioglimento di un voto fatto in pericolo di vita durante una battuta di caccia avvenuta nei pressi (a Siccone viene attribuita anche la fondazione della chiesa, ma ciò evidentemente non è possibile)[1][2]. L'eremo era di proprietà della confraternita di San Lorenzo della parrocchiale di Borgo (la stessa a cui si deve la fondazione dell'ospedale San Lorenzo di Borgo); il primo eremita di cui si abbia notizia fu don Paolo Corradi nel 1451, mentre l'ultimo fu Antonio Franceschini, che nel 1788 rimase a viverci nonostante l'ordine di soppressione emanato da Giuseppe II; per tre mesi in estate l'edificio è ancora abitato dai custodi della chiesa[1][2][4].
Descrizione
La chiesa sorge su un terreno erboso a 1182 m s.l.m., verso la cima di un dosso alle pendici del monte Armentera, che divide la Valsugana dalla val di Sella; è orientata verso nord-est e vicino ad essa, poco più in alto, si trova il romitorio[1][2]. Si presenta con facciata a capanna, aperta dal portale d'accesso centinato e, in alto, da un'apertura a croce greca; la linea del tetto è interrotta sulla cima dal grosso campanile a vela, che ospita due campane nell'apertura centinata ed è dotato a sua volda di un tettuccio a due falde[1]. La facciata è ornata da un affresco estremamente degradato sul lato destro (Crocifisso con san Lorenzo, la Madonna e san Giovanni, ignoto frescante veneto della metà del Trecento)[3] e da una meridiana assai scolorita appena sopra al portale.
Le fiancate sono lisce; quella destra è dotata di un accesso laterale, anch'esso centinato, e di due finestre, e quella sinistra è aperto da una sola monofora, mentre l'abside è cieca[1].
L'interno è a navata unica, a pianta rettangolare leggermente irregolare, coperta da un soffitto a cassettoni in legno; l'arco santoa pieno centro introduce alla piccola abside semicircolare, in cui si trova una mensa d'altare in pietra e muratura[1]. Lo spazio interno è lungo 17 metri circa (19 con l'abside), largo 4,50 e alto 2,75[3].
Affreschi dell'interno
Le pareti interne sono in gran parte ricoperte da affreschi, realizzati da vari aristi in epoche diverse, eseguiti tra l'ultimo ventennio del Duecento e il primo quarto del Cinquecento. Dei più antichi, che furono in gran parte coperti da altri nel Trecento, restano visibili solo alcuni frammenti: si tratta di una testa sporgente dalla scena dell'Ultima Cena sulla parete sinistra, forse appartenente a un san Cristoforo, e di due personaggi coronati assieme a una dama con volatile sulla parete destra, rovinati dall'apertura di una finestrella nel Cinquecento: sono databili all'ultimo ventennio del Duecento e sono opera di un pittore itinerante di ambito veneto-trentino, stilisticamente vicino al cosiddetto "maestro di Ceniga"[3]. A destra delle figure coronate si trova un'immagine di san Lorenzo, eseguita qualche decennio dopo da un pittore di ambito veneto-bizantino che operò anche nella chiesa di San Biagio di Levico; nel 1592 questo dipinto venne "rinfrescato" da Francesco Naurizio, che probabilmente apportò anche delle modifiche stilistiche[3].
Sempre nei primi decenni del Trecento si collocano altri affreschi eseguiti, secondo Nicolò Rasmo, dal cosiddetto "maestro della Valsugana", un modesto pittore di formazione veneta: si tratta della Madonna tra i santi Giacomo e Corona e dell'Ultima Cena, sulla parete sinistra, e del Martirio di san Lorenzo e della Carità di san Lorenzo su quella destra: l'immagine della Carità era inizialmente sovrapposta alle figure coronate, ed è stata fissata su un pannello mobile dopo essere stata strappata[3].
La controfacciata e la parete settentrionale sono occupate in gran parte da un ciclo di affreschi risalente agli anni 1350-60, con scene della vita e del martirio di san Lorenzo tratte dalla Legenda aurea. L'autore, detto "maestro dell'Armentera", è di formazione giottesco-padovana (numerosi sono i richiami agli affreschi della cappella degli Scrovegni), che mostra però anche influenze veronesi (Pseudo Jacopino) e una familiarità con gli allievi di Vitale attivi nel santuario dei Santi Vittore e Corona presso Feltre. Le scene raffigurate sono: San Lorenzo presenta i suoi "tesori" (i poveri e gli ammalati) all'imperatore Decio; Sisto II condannato a morte si accomiata da Lorenzo, che viene a sua volta arrestato; San Lorenzo in carcere battezza e guarisce il cieco Lucllo; San Lorenzo trascinato fuori dal carcere per consegnare i tesori e sacrificare agli dei; San Lorenzo picchiato e straziato con ferri infuocati; San Lorenzo converte e battezza il soldato Romano; San Lorenzo sulla graticola, con Decio che osserva il martirio dal suo palazzo. La seconda e la terza scena sono assai degradate e di difficile lettura[3]. A sé stante dagli altri affreschi della navata è il San Giacomo accanto all'ingresso laterale, opera di un pittore veneto di fine Trecento-inizio Quattrocento[3].
Gli ultimi affreschi in ordine cronologico, eseguiti nel 1523 dal "secondo maestro della Valsugana", sono l'Annunciazione sull'arco santo e il Trono di Grazia con simboli degli evangelisti nel catino absidale. Sullo specchio dell'inginocchiatoio della Vergine è a malapena leggibile la scritta [...] ano del nostro / Signore / 1523 / [...] fea depenger que / sta capela in Honor / de Dio e de S. Lorenzo / [...] iando (M) assaro[3].
Graffiti con varie data (dal Quattrocento al Seicento) su alcuni degli affreschi
Sugli affreschi sono presenti numerosissimi graffiti d'epoca, realizzati con chiodi, punteruoli, gessetti o altro, di grande valore storico; alcuni di essi sono stati fatti a sfregio dei personaggi malvagi raffigurati nelle scene, i cui volti ad esempio sono stati cancellati[3].