Il giudice Julien Lamy si trova di fronte a tre casi giudiziari con imputati dei minorenni; Francis Lanoux, un ladro di 15 anni, allontanato dai nonni i quali vivevano in promiscuità, mette incinta la sua giovane amica Sylvette e ruba un portafoglio nello spogliatoio di uno stadio; viene mandato nel centro rieducativo di Terneray. Il secondo caso è quello di Alain Robert, un giovane piromane orfano che, fuggito dalla fattoria in cui lavorava e a cui ha dato fuoco, con la speranza che il suo gesto riportato sui giornali permetta ai suoi genitori di rintracciarlo. L'ultimo caso riguarda Gérard Lecarnoy, abbandonato dalla madre, che troverà la sua strada diventando un funambolo con un'amica di sua madre. Il giudice Lamy non potrà fermare il destino di Francis e Sylvette che, dopo l'evasione dal centro rieducativo e in procinto di essere arrestati, moriranno annegati.
«[...] Delannoy [...] ci avvertiva di non voler cercare nel suo film la pretesa di un «problema» dell'infanzia abbandonata e molto meno la pretesa d'una sua soluzione, precisando che s'era mosso col semplice intento di accertare una delle tante miserie umane, e piangerla con noi. Ma proprio il pianto è di quelle cose che il film non dà; mentre abbonda di cose tenere, graziose e sorridenti. Rinunciando alla polemica [...], Delannoy non ha saputo sostituirla con la poesia. [...] Intenzionalmente impostato sui ragazzi infelici, proprio qui il film è mancato, cadendo nel rigido, nel generico e anche nel falso (quel Francesco, babbo principiante!), mal distinguendosi dalle infinite pellicole che si fanno sulle comunità forzate; dove si è invece benissimo concretato nel «ritratto», del resto non peregrino, del giudice pietoso Lamy-Gabin.[1] Il nerbo del film, la sua forza emotiva, più che dai ragazzi, qua e là falsetti e manierati, è espressa dal giudice Lamy del tribunale dei minorenni, colui che è chiamato, dal cuore prima ancora che dall'ufficio, a esplorare dentro a quelle piccole anime offese. Lamy è un Jean Gabin d'irresistibile comunicativa, e il film risulta come soggiogato dalla sua bravura. Su un altro piano, notevole anche la prestazione di Dora Doll, Gabriele Tinti, Robert Dalban e Anne Doat.[2]»
«Legate dal personaggio del giudice, le storie dei quattro ragazzi danno vita a una storia abbastanza unitaria, ben recitata dai piccoli interpreti e ancor meglio sceneggiata da Jean Aurenche e Pierre Boat. Ma la sostanza del film, in ultima analisi, è molto limitata per colpa del personaggio del giudice, il cui atteggiamento, in fondo, è quello di un bonario scettico, portato a risolvere nel modo migliore i casi dei piccoli perché pensa che essi, in sostanza, non sono responsabili delle circostanze; atteggiamento evasivo, che impedisce al regista Jean Delannoy (che per altri motivi ha firmato una delle sue opere migliori) di inquadrare l'argomento in una visione realistica più ampia.»
«Cani perduti senza collare è frutto di una attività coproduttiva tra francesi e italiani, ma in esso i caratteri particolari del film transalpino e lo stile di Delannoy, che richiama a Dio ha bisogno degli uomini ed a Ragazzo selvaggio, sono perfettamente rimasti, e in maniera inconfondibile [...]. Francese, sono in questo film, il dialogo, che spesso ha espressioni tipicamente locali [...], francese il paesaggio, dove ritroviamo le chiatte dell'Atalante o degli Amants du Bras Mort; francese la mentalità dei diversi personaggi e i volti dei giovani attori [...]. Il regista Delannoy [...] non si è occupato di loro con sentimentalismo, con spirito di eccessiva carità: avrebbe sicuramente mancato, con questa chiave più facile, lo scopo prefisso ed a volte addirittura con un realismo così spinto che non rinuncia a qualche crudo effetto: e se nell'incendio della fattoria il racconto, nella sua allucinazione favolosa, è perfetto, meno efficace è quello che forse doveva essere il pezzo forte del film, e cioè la morte della fanciulla [...] Un mondo profondamente umano, uno stile elevato, caratterizzano questa pellicola, in cui regia e interpretazione si fondono armoniosamente. I ragazzi e i grandi che vivono accanto a loro, sono sobriamente espressivi, adeguandosi al tono che Delannoy ha dato al film. [...]»