Fra il lago d'Idro e il lago di Garda, il confine passava poco a nord del primo, lungo il corso del fiume Caffaro e della Val Vestino. Da lì, verso nord si estendono le Valli Giudicarie che, lungo il corso del fiume Chiese, consentivano di liberare il lato orientale del Passo del Tonale, ovvero scendere su Trento. Fra i due laghi, d'altra parte, non esisteva altra strada percorribile con artiglierie e la sponda orientale del lago di Garda era tenuta dalle fortezze di Verona e dalla superiorità navale austriaca.
Il 3 luglio Garibaldi aveva conquistato prima la forte posizione sul monte Suello (nei combattimenti lo stesso generale era stato ferito alla coscia e si muoveva in carrozza), e una parte dell'austriaca Valvestino, poi i paesi della valle del Chiese (Lodrone, Darzo e Storo sino a Condino), mentre l'avanguardia garibaldina si era installata a Cimego, col suo ponte sul Chiese, circa 20 km a nord del Caffaro.
Lì aveva sostenuto la battaglia di Condino, un importante assalto austriaco, poi rientrato sulle posizioni di partenza.
L'obiettivo di Kuhnenfeld era di fermare i volontari italiani, impedendo loro di raggiungere Trento.[3]
La presa di Locca
Il 21 luglio alle 4 del mattino le truppe di Montluisant levarono il campo per portarsi su due colonne nella Val Concei, verso Lenzumo. Benché la marcia avvenisse molto lentamente ed in fila indiana, l'attacco di Montluisant poté godere dell'effetto sorpresa.
Giunti sul posto, gli assalitori si suddiviserono in tre colonne d'attacco: Julian von Krynicki all'ala sinistra, Philipp Graf Grünne a destra e il Montluisant al centro con l'artiglieria; in breve agganciarono i volontari a Lenzumo e li ricacciarono oltre Enguiso, sino a Locca.
Il paese di Locca, posto sulla cima pianeggiante di un ponticello che chiude la Val Concei verso sud, con la chiesa di Santo Stefano isolata ed il cimitero racchiuso da un muro di cinta, era fortemente presidiato dal 5º Reggimento del colonnello Giovanni Chiassi, provvisto di tre cannoni. La posizione venne bombardata dalle batterie austriache. I garibaldini tentarono di aggirare gli assalitori da Pieve di Ledro verso le alture ad est di Locca, ma vennero bloccati.
La chiesa di Locca, difesa con accanimento, venne assalita e presa, dopo che era stato ferito a morte il comandante, colonnello Chiassi.[4] Caddero in mano austriaca circa 600 prigionieri, quasi un intero battaglione del 5º Reggimento volontari.
La caduta di Bezzecca
I volontari restavano asserragliati a Bezzecca, ove vennero investiti in pieno dal fuoco di artiglieria, assaliti e spinti alla fuga. Vi furono altri 500 prigionieri.
Gli austriaci avevano occupato anche la selletta di Monte Vies, che sopra Bezzecca metteva in collegamento Lenzumo direttamente con Tiarno.
Nel frattempo Garibaldi, partito all'alba da Storo in carrozza, era giunto sul posto con il 9º Reggimento, comandato dal figlio Menotti Garibaldi, proprio mentre i suoi uomini stavano cedendo sotto l'impeto del nemico ed avevano abbandonato Bezzecca, ripiegando sulla chiesetta di Santa Lucia, a metà strada tra Tiarno e Bezzecca. Garibaldi stesso, sconsolato da quanto accadeva, si trovò alle Fornaci del rio Sacher bersagliato dagli uomini di Julian von Krynicki e fu trascinato via a braccio dai suoi stessi volontari.
Ripresosi dallo sgomento, egli stabilì che la chiave della giornata fosse il controllo del borgo di Bezzecca e comandò a Menotti di guidare il 9º Reggimento da Tiarno di Sotto sulla destra del nemico, al colonnello Pietro Spinazzi da Molina di Ledro sulla destra austriaca, il 7º Reggimento e i resti del 5° e dei Bersaglieri sul centro.
L'azione, tuttavia, non poté svolgersi con sufficiente rapidità e gli austriaci ebbero il tempo di rafforzare le posizioni conquistate, sistemando artiglierie sulle alture retrostanti per investire con forza decisiva le linee dei Cacciatori. Il bombardamento colpì lo stesso Garibaldi, visibile perché si muoveva in carrozza: la vettura venne investita, un cavallo e la sua guida, Giannini, uccisi ed il generale estratto di forza dalla scorta.
La controffensiva italiana
Garibaldi, sempre lucido, ordinò allora a due battaglioni del 9º Reggimento di occupare le alture dietro l'abitato e all'artiglieria del maggiore Orazio Dogliotti, rinforzata della batteria di riserva, di piazzarsi sulla piccola altura di Santa Lucia, sita prima del paese, e far convergere tutto il fuoco sul centro dello schieramento nemico, per battere gli austriaci nel loro punto di avanzata.
Il fitto bombardamento raggiunge l'obiettivo di scompigliare i reparti che andavano riorganizzandosi e, unitamente ad un contrattacco del 9º Reggimento, di spingere le truppe che già avanzavano a ripiegare sul paese. Nel frattempo, gli altri reparti garibaldini, ripreso fiato, riorganizzavano i ranghi.
Come consueto nelle sue battaglie, al momento decisivo Garibaldi comandò una carica alla baionetta. A mezzogiorno i comandanti presenti (Menotti e Ricciotti Garibaldi, Stefano Canzio, Bedeschini, Rizzi, Antonio Mosto, Antongini, Francesco Vigo Pelizzari) agirono alla garibaldina: riunirono tutti gli uomini abili di tutti i corpi e li guidarono al passo di corsa sul villaggio, in un corpo a corpo.
Il paese venne liberato e gli austriaci che ripiegavano seguiti d'appresso sino oltre Enguiso e Lenzumo, sotto il Monte Pichea, da dove erano discesi. Gli austriaci tennero la sella sino al giorno successivo, a protezione dei feriti e delle retroguardie.
Sull'estremo fianco destro italiano, due compagnie austriache si portarono a Molina di Ledro, ma non ingaggiarono combattimento e retrocessero su Pré, da dove vennero respinte su Biacesa. Da lì attraversarono il Monte Pari e giunsero a Campi per unirsi alle truppe che avevano ripiegato. Da lì la compagnia venne comandata a scortare i 1.100 prigionieri italiani catturati nel corso della battaglia sino a Trento, ove giunse il 23 luglio.
Esito della battaglia
In effetti, il conte Montluisant aveva quasi esaurito le munizioni dell'artiglieria, né si poteva contare su agevoli rifornimenti, stante i difficili collegamenti stradali. Il sacrificio del Chiassi e della guarnigione di Bezzecca era almeno servito a questo essenziale fine. Garibaldi poteva, probabilmente, contare su ingenti rinforzi tra Tiarno e dalla strada di Ampola.
Le perdite austriache ammontarono a 6 ufficiali e 19 uomini morti, 7 ufficiali e 75 uomini feriti, ed un centinaio di prigionieri; gli italiani ebbero perdite molto superiori 121 morti, fra cui 6 ufficiali, 451 feriti e 1070 prigionieri.[5]
L'offensiva austriaca, che aveva come obiettivo di arrestare l'avanzata di Garibaldi, si fermò. Nelle fasi finali della battaglia Kuhnenfeld e Montluisant, oltre ai rinforzi di Garibaldi, dovevano gestire anche una massa di oltre 1 000 prigionieri. Ritenendo di aver conseguito il loro obiettivo strategico, decisero di ritirarsi.[6]
Garibaldi rimase padrone del campo e perciò reclamò a sé la vittoria: questa affermazione - pur contrastata da alcune ricostruzioni postbelliche da parte austriaca - è tuttora ampiamente maggioritaria nella storiografia militare italiana. Purtuttavia, i garibaldini subirono numerose perdite (1 450 uomini, il 9,6% degli effettivi). Rispetto agli austriaci si trattava di un rapporto di perdite di 14:1. Questo convinse il generale italiano a procedere con più cautela nella sua avanzata verso Trento.[7]
La parallela avanzata nella Valle del Chiese
Nel frattempo la seconda colonna austriaca, quella del generale Carl Kaim von Kaimthal affiancata dalle truppe del tenente colonnello Heribert Höffern von Saalfeld, scese la Valle del Chiese pressappoco con il medesimo schema della precedente battaglia di Condino.
Gli italiani vennero agganciati solo oltre il ponte di Cimego che, questa volta, i volontari non avevano occupato, preferendo insediarsi saldamente lungo la sponda sinistra del Chiese. Cimego venne rioccupata, un contrattacco di 200 uomini respinto da una carica di nove ulani del tenente Torresani. Ma l'avanzata venne sospesa di fronte alle rinforzate linee garibaldine.
Nel frattempo la colonna di Heribert Höffern von Saalfeld risalì di nuovo il monte alle spalle di Cimego, raggiunse di nuovo la Val Giulis ed occupò Castel Condino. Ma le antistanti terrazze di Brione erano fortemente presidiate, anche con artiglieria che effettuava un efficace bombardamento: l'avanzata venne interrotta e la truppa ripiegò su Roncone.
Curiosità
Questa sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.
Attualmente, la portantina di cui Garibaldi si servì durante la battaglia, è conservata in Austria, presso il Tiroler Kaiserjäger Museum di Innsbruck.[8]
^La battaglia di Bezzecca viene vista generalmente come una vittoria italiana. Tuttavia secondo lo storico Giovanni Cerino Badone l'intento di Franz Kuhn von Kuhnenfeld era quello di fermare o rallentare Garibaldi, impedendogli di raggiungere Trento. Secondo Badone quindi la vittoria austriaca sarebbe da attribuire al fatto che i volontari italiani furono temporaneamente fermati e Garibaldi fu costretto a rivalutare la sua tattica (prima dell'ordine di ritirata e del celebre "obbedisco"), soprattutto a fronte delle gravi perdite subite, nonostante la conquista di Bezzecca (Cfr. Giovanni Cerino Badone, L'esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito dall'esperienza del campo di battaglia, Trieste 2012, pp. 12-13; vedi note e bibliografia per l'opera bibliografica completa).
^ Giovanni Cerino-Badone, L’esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito dall’esperienza del campo di battaglia, in G. Nemeth e A. Papo (a cura di), Unità italiana e mondo adriatico-danubiano, Trieste, 2012, p. 12.
^ Lino Bertagnolli e Cesare Cesari, Bezzecca, su Enciclopedia Italiana (1930). URL consultato il 15 novembre 2024 (archiviato il 21 settembre 2021).
^ Victor Pacor von Karstenfels und Hegyalja, Das Gefecht von Bezzecca am 21. Juli 1866, in Österreichische militärische Zeitschrift, vol. 1, 1908, pp. 204.
Ugo Zaniboni Ferino, Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda, Trento 1966.
Corpo dei Volontari Italiani (Garibaldi), Fatti d'armi di Valsabbia e Tirolo, 1867.
Giuseppe Garibaldi, Le memorie, Nella redazione definitiva del 1872, a cura della reale commissione, Bologna-Rocca S. Casciano, 1932.
Gianpaolo Zeni, La guerra delle Sette Settimane. La campagna garibaldina del 1866 sul fronte di Magasa e Val Vestino, Comune e Biblioteca di Magasa, 2006.
Pietro Spinazzi, Ai miei amici, Stabilimento tipografico di Genova 1867.
Carlo Zanoia, Diario della Campagna garibaldina del 1866, a cura di Alberto Agazzi, in "Studi Garibaldini", n. 6, Bergamo 1965.
Osvaldo Bussi, Una pagina di storia contemporanea, Tipografia Franco-Italiana, Firenze 1866.
Virgilio Estival, Garibaldi e il governo italiano nel 1866, Milano 1866.
Gianfranco Fagiuoli, 51 giorni con Garibaldi, Cooperativa Il Chiese, Storo 1993.
Supplemento al n. 254 della Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia (15 settembre 1866).
Giovanni Cerino Badone, L'esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito dall'esperienza del campo di battaglia, in G. Nemeth e A. Papo (a cura di), Unità italiana e mondo adriatico danubiano, Trieste, 2012, pp. 253-286.
Giovanni Cerino Badone, Gli ultimi centro metri. Il volto della battaglia da Solferino alla Marna, Trieste 2013.
Giovanni Punzo, Der Gebirgskrieg di Franz Kuhn von Kuhnenfeld: i precursori del caso italiano nella guerra in montagna, in Virgilio Ilari (a cura di), Antologia Militare, Storia Militare Moderna, Numero 3, Fascicolo 11, Giugno 2022, pp. 805-852.
Victor Pacor von Karstenfels und Hegyalja, Das Gefecht von Bezzecca am 21 Juli 1866, in Österreichische militärische Zeitschrift, vol. 1, 1908.