Si sposò con Italia Bidischini dall'Oglio con cui ebbe sei figli:
Anita (1875-1961)
Rosita (1877-1964), sposata con il conte Vittorio Ravizza d'Orvieto
Gemma (1878-1951)
Giuseppina (1883-1910)
Giuseppe "Peppinello" (1884-1886)
Giuseppe (1887-1969)
Morì a Roma, per aver contratto la malaria, all'età di 62 anni, ma le sue spoglie furono trasportate nella tomba di famiglia, nota anche come Tomba di Menotti Garibaldi. Era infatti stata fatta costruire da lui stesso nell'odierna frazione Carano Garibaldi, all'epoca nel comune di Velletri e dal 1936 in quello di Aprilia. Gli furono tributati solenni funerali di Stato ai quali partecipò, in qualità di ammiratore del padre Giuseppe, anche Gabriele D'Annunzio e ai quali si associò ufficialmente il governo francese.[2]
A Velletri è ancora ricordato per aver dato importanza alla cittadina, facendovi spostare o riuscendo a mantenervi sedi di organi statali e per aver fondato la "Cantina sperimentale del vino di Velletri". Prese in enfiteusi perpetua una vasta tenuta dell'Agro Romano (oggi Aprilia), idea che anni prima era stata proposta dal padre, ma che allora non aveva trovato seguito, divenendo un apprezzato imprenditore agricolo[3].
«Spiegò capacità ed intelligenza rimarchevole durante la campagna conducendo il proprio reggimento in delicate ed importanti operazioni ; si segnalò per colpo d'occhio pari alla risoluzione ed al valore nel combattimento il cui successo gli fu in gran parte dovuto. Bezzecca, 21 luglio1866[4]» — 6 dicembre 1866
I funerali furono di Stato, la folla occupava tutta piazza Vittorio Emanuele II dove abitava Menotti; innumerevoli le autorità presenti e i rappresentanti delle varie associazioni provenienti da tutta Italia.
Alle diciassette in punto, il colonnello Vittorio Elia varcò il portone del numero 110 di piazza Vittorio, portando con sé il berretto, la sciabola e la camicia rossa di Menotti, seguito da otto garibaldini che trasportavano la bara, la quale fu collocata su un affusto di cannone trainato da sette cavalli, montati da soldati di artiglieria. Sulla bara furono sistemate le corone del re Vittorio Emanuele e della Repubblica Francese.
Il corteo funebre fece un lungo percorso nel quartiere umbertino per arrivare a porta San Giovanni, dove si tenne l’orazione funebre. A nome del governo parlò il ministro degli esteri, ammiraglio Enrico Morin.
La salma non fu portata in chiesa. Alle venti e trenta di martedì 25 agosto, il corteo funebre in forma privata partì da porta San Giovanni e dopo quattro ore arrivò ad Albano.
La mattina seguente, dopo che i Sindaci e le popolazioni dei Castelli Romani ebbero reso omaggio al Generale, il corteo mosse per Cecchina. Ad attenderlo nei pressi della stazione c’era Gabriele D'Annunzio, a cavallo, partito la sera precedente da Anzio, con un ramo di quercia in mano. Avvicinatosi depose il ramo sulla bara, poi al galoppo si diresse verso Carano.
La salma arrivò a Carano alle tredici; ad attenderlo c’erano un gruppo di butteri in rappresentanza dei proprietari dei fondi limitrofi e le rappresentanze comunali dei dintorni. La bara, trasportata da otto persone tra cui Gabriele D’Annunzio, percorse il viale e fu depositata nel mezzo del mausoleo, dove già riposava il figlio Beppino.
Fu lo stesso Gabriele D’Annunzio a pronunciare l’orazione funebre con un bel discorso, il cui testo è affisso all’interno della tomba.
La tumulazione avvenne nel pomeriggio di mercoledì 26 agosto 1903. Da allora riposa nella sua Carano, da lui bonificata, e per la quale trovò la morte.
Parole di Gabriele D'Annunzio in morte di Menotti Garibaldi:
«Non convengono molte parole a questo eroe che tra le sue virtù ebbe il culto del silenzio vigile e della brevità possente. Anche nell'Assemblea Nazionale, dinanzi alla facondia dei mestatori, egli stette sempre come una mole di volontà raccolta, troppo in discordia con la viltà dei tempi.
Ora, più che un discorso verboso, deve essere cara ai suoi mani una fronda di quercia robusta. E noi l'abbiamo portata con animo religioso venendo per la grande campagna che egli volle fecondare col sudore dell'opera per renderle ancora la parente alma delle biade, dopo che tanto sangue garibaldino, l'aveva fecondata per la messe ideale.
Qui gli piacque essere sepolto sul campo di battaglia da bravo guerriero; qui rimanga il primogenito di Giuseppe Garibaldi. Egli non è lontano da suo padre; poi che se le ossa venerande sono custodite dal granito insulare, l'eterno spirito è sempre vivo sul vento che soffia dal Tirreno su questo Lazio divino e terribilmente di febbre e di fati.
Un giorno, quando la patria sentirà più vibrante la dignità e la bellezza della memoria, un giorno da Roma a Carano sarà aperta una delle vie sacre su cui il popolo rinnovellato celebrerà i trionfi delle virtù esemplari.
Innanzi alla tomba del primogenito di Garibaldi, ogni cuore italiano - nella presente miseria nostra - fa voti che quel giorno non sia troppo lontano.»
^ Bernardino Tofani, Aprilia e il suo territorio nella storia dell'agro romano e pontino, Aprilia, 1986.
Bibliografia
Marco Formato, Menotti Garibaldi. Un eroe di due mondi, Paolo Sorba Editore (2015).
Antonio Fappani, La Campagna garibaldina del 1866 in Valle Sabbia e nelle Giudicarie, Brescia 1970.
Gianpaolo Zeni, La guerra delle Sette Settimane. La campagna garibaldina del 1866 sul fronte di Magasa e Val Vestino, Comune e Biblioteca di Magasa, 2006.
Bernardino Tofani, Aprilia e il suo territorio nella storia dell'agro romano e pontino, Aprilia, 1986.